Ai dotati di un solo briciolo di
buonsenso già era sembrato stupefacente che il sottosegretario alla Pubblica
Istruzione Davide Faraone esaltasse il ruolo formativo delle occupazioni
studentesche, nel silenzio opportunistico o connivente dei colleghi di governo
e della maggioranza di allora. Ora abbiamo il titolare del Ministero
dell’Interno, di cui tutti conosciamo la funzione, che spensieratamente
legittima scioperi e autogestioni. Tutte e due le iniziative compromettono lo
svolgimento delle lezioni (e stendiamo un velo sull’uso improprio del termine
“sciopero”), ma soprattutto le seconde sono, nella maggioranza dei casi, delle
occupazioni mascherate, estorte ai presidi che le concedono (comprensibile
errore) per potere almeno conservare il controllo della scuola; e si risolvono
quasi sempre in un festival di banalità. Il bello è che contestualmente Salvini
ribadisce, ignaro della contraddizione, che dall’anno prossimo ci saranno 33
ore di educazione civica (e speriamo che nei nuovi programmi non si forniscano
i rudimenti per le attività care a lui e a Faraone).
Si conferma così la trasversalità
della deplorevole ricerca del consenso giovanile al più basso livello; e
colpisce il ricorso di tutti e due ai propri trascorsi giovanili a supporto di
queste esternazioni: “Io ho
maturato la mia voglia di fare politica proprio durante un’occupazione”, disse
tra l’altro il sottosegretario. “A
15 anni ho fatto tante autogestioni, ho fatto scioperi per la Palestina e per
l’Afghanistan. Tutti a 15 anni hanno voglia di esprimersi, basta che non
facciano vandalismi, qualche giorno di autogestione non fa male a nessuno”,
dichiara Salvini (che poi,
nella stessa giornata, ha rincarato la dose facendosi fotografare in rapporti
cordiali con alcuni dei peggiori esponenti della curva milanista,
pluricondannati per spaccio e violenze e dei quali conosce di sicuro le imprese).
Ma diventare anagraficamente
adulti e continuare a strizzare l’occhio al ribellismo giovanile significa
tradire la propria funzione di guida delle nuove generazioni, che hanno bisogno
sì di comprensione (e a questo può servire la propria esperienza personale), ma
anche di chiarezza di giudizio e di fermezza nell’indicare i comportamenti
sbagliati.
Giorgio Ragazzini
“Corriere Fiorentino” 19 dicembre 2018