mercoledì 28 agosto 2019

LA VERA EMERGENZA


In un Paese che tenesse davvero al futuro dei giovani l’inizio dell’anno scolastico dovrebbe essere un momento solenne. Se così fosse, il Presidente della Repubblica si rivolgerebbe agli allievi di ogni età per ricordare l’importanza di padroneggiare l’italiano, di conoscere la storia, la geografia e le scienze; l’importanza, insomma, di quanto l’umanità che ci ha preceduto ha nei secoli indagato, scoperto, costruito e regalato. Ma — da buon padre di famiglia — dovrebbe aggiungere che per avere risultati e soddisfazioni l’arma decisiva è la perseveranza, cioè l’impegno costante di chi non si arrende alle difficoltà. Le attitudini sono importanti, ma, come può testimoniare qualsiasi atleta, la dote che possiamo anche chiamare costanza, tenacia, grinta o determinazione vale più di ogni altra cosa.
Purtroppo sono tutte parole scomparse dal lessico scolastico e dai documenti ministeriali. Si è diffusa l’idea di una scuola in cui solo divertendosi si impara, mentre alle più svariate «competenze» si dà sempre più risalto rispetto ai contenuti disciplinari. Il 14 agosto scorso, per esempio, leggendo sul Corriere della Sera il documento «L’educazione sfida centrale anche per il mondo produttivo», firmato da un folto e qualificato intergruppo parlamentare, mi ha colpito questo passo davvero sorprendente: «È nostra convinzione che per contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica possa essere efficace l’introduzione della metodologia didattica delle “non cognitive skills” (amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale) nel percorso didattico delle scuole medie e delle scuole superiori». Ben venga, certo, la «coscienziosità» in una scuola in cui troppo spesso si tollerano l’irresponsabilità, la pigrizia e la mancanza di puntualità, anche se ha poco a che fare con la didattica e la può ottenere solo una scuola che non si scorda di richiamare gli allievi alle loro responsabilità.
Ma proporre come obbiettivi didattici nientemeno che l’«amicalità» e la «stabilità emotiva» conferma quanto l’istruzione, cioè il cuore del sistema scolastico, venga sempre più eclissata e spodestata dalle più disparate «educazioni» che evito di elencarvi. Quanto all’apertura mentale, non è sempre stato (ed è) il risultato dello studio approfondito delle materie, del rapporto con docenti intelligenti e preparati, insomma di una scuola che funzioni?
Con tutto il rispetto per gli estensori di un documento per altri aspetti sensato, proporre come rimedio all’impreparazione e all’insuccesso scolastico di tanti ragazzi le «abilità non cognitive» di cui sopra, rischia di servire soltanto a distogliere l’attenzione da quelli che sono i veri provvedimenti necessari a risollevare il nostro sistema scolastico, in particolare nel settore professionale. Tanto per fare un esempio, lo sanno bene gli autori del Manifesto, che da qualche anno è frequente che entrino in ruolo docenti di materie professionali senza mai, sottolineo mai, aver lavorato nel settore di riferimento? Naturalmente questo è possibile grazie all’esistenza di un sistema di reclutamento raffazzonato e indegno di un Paese moderno. La vera emergenza è quella di formare e selezionare con serietà insegnanti competenti nelle loro materie, nella didattica, nella psicopedagogia, nel saper comunicare. Insegnanti esigenti, ma dotati delle necessarie attitudini relazionali e affettive, impegnati ad aggiornarsi e consapevoli di quanto anche attraverso l’esempio si insegni ai propri allievi. Purtroppo però all’orizzonte non si vede una forza politica in grado di affrontare la crisi della scuola (una crisi che pesa sui progetti di vita di milioni di giovani), con un concreto programma di serietà e di rigore che riguardi tutti: insegnanti, dirigenti, studenti.
Valerio Vagnoli
(Editoriale del “Corriere Fiorentino”, 28 agosto 2019)

giovedì 1 agosto 2019

CALENDA, LA SINISTRA E LA SCUOLA


Qualche sera fa l’ex ministro Carlo Calenda, ospite di una trasmissione televisiva, ha ribadito più volte che il primo grande problema da risolvere in Italia è quello scolastico, perché una scuola scadente come quella certificata dalle ultime prove Invalsi contribuirà come nessun altro fattore a minare per molto tempo il nostro futuro. Lo ha detto con una convinzione che da anni nessuno del suo partito aveva, a mia memoria, espresso. Purtroppo gran parte di questo paventato rischio si è già realizzato. Tuttavia siamo obbligati a sperare che alle sue parole seguano i fatti. Il primo dei quali dovrebbe consistere nel rivolgere le sue amare considerazioni direttamente al suo partito e in generale alla sinistra (politica e sindacale), che tanta responsabilità ha avuto nel ridurre la scuola – in cui è stata egemone – nelle condizioni in cui versa, non senza la gentile collaborazione di quasi tutto lo schieramento politico. Ed è ridotta com'è perché dalla riforma Berlinguer, da cui molto del suo declino è iniziato (Autonomia scolastica, Statuto delle studentesse e degli studenti), non ha conosciuto che improvvisati raffazzonamenti, spesso opera delle medesime persone che da anni hanno guidato, direttamente o indirettamente, gran parte della politica scolastica, passando, spesso senza alcun merito, da una “cadrega” all'altra. Persone del genere, per troppo ovvie ragioni, è raro che abbiano interesse a confrontarsi con chi fa proposte e analisi del sistema scolastico diverse dalle loro. E non a caso in questi anni e ben prima dei dati Invalsi a nulla sono serviti gli appelli, le indagini demoscopiche e perfino i dati dell’Ocse. I quali ci dicono che la scuola sta da anni scivolando in una crisi irreversibile, che riguarda non solo la preparazione degli studenti, ma anche la loro coscienza civile. Vorrei inoltre ricordare a Calenda che la situazione è più grave di come la dipingono i dati Invalsi, che nulla dicono a proposito della qualità dei docenti e dei dirigenti e neppure sullo stretto rapporto tra rispetto delle regole e apprendimento. Occorre agire con la massima urgenza perché il tempo è oramai quasi scaduto. E per poter salvare la scuola occorre prima di qualsiasi altra cosa selezionare una classe docente preparatissima, in grado di dare il meglio di sé e di pretenderlo dagli allievi. I quali dovranno imparare che la conoscenza è sempre conseguenza di impegno, dedizione, fatica e rispetto degli altri e di sé stessi. E per favore smettiamo di credere, come sostiene la quasi totalità degli addetti ai lavori di cui sopra, che basteranno le Flipped Classroom, il Role Playng, il Cooperative Learning o il Circle Time ad alzare il livello dei nostri studenti. Purtroppo la politica scolastica dell'attuale governo non ci rassicura affatto, in quanto quasi esclusivamente preoccupata di raccogliere senza tanti sforzi, al pari di tanti altri governi, i consensi del mondo scolastico, assumendo decine di migliaia di docenti e impiegati senza alcuna seria verifica sulla loro professionalità. Un mondo scolastico ormai abbandonato a sé stesso e non più in grado di garantire un futuro alle nuove generazioni. E pensare che grazie alla scuola del dopoguerra, come ci ricorda lo storico Adriano Prosperi nel suo bellissimo saggio Un volgo disperso, “figli e nipoti dei contadini di un tempo sono diventati altro: operai, commercianti, industriali, insegnanti, impiegati”. Molti ragazzi socialmente svantaggiati di oggi, invece, non possono aspirare a niente del genere, neanche a poter diventare operai specializzati, perché la scuola non funziona come dovrebbe. Speriamo che Calenda pensi anche a questo, visto che da decenni la sinistra non si è preoccupata di farlo.
Valerio Vagnoli