martedì 29 settembre 2015

UN RICORDO DI GIORGIO ISRAEL

Giorgio Israel è stato un acuto e attrezzatissimo critico militante delle politiche scolastiche degli scorsi decenni e degli ultimi anni in particolare. Non era però una delle tante voci “contro” condizionate da ragioni di schieramento politico, spesso con l’aggravante di una conoscenza superficiale delle cose scolastiche. Israel si distingueva invece per una approfondita competenza in materia, per la lucidità unita alla passione e per  l’indipendenza di pensiero anche rispetto a governi da cui pure era stato chiamato a fornire un contributo di idee in commissioni ministeriali, come nei casi della riforma dei licei e del percorso formativo dei futuri insegnanti.
Per noi del Gruppo di Firenze, Israel è stato fin dall’inizio un importante  punto di riferimento e un prezioso sostenitore di tutte le nostre iniziative, a cominciare dalla lettera aperta  del 2008 Scuola, un partito trasversale del merito e della responsabilità, di cui fu uno dei primissimi firmatari. La presentazione del documento al Liceo Visconti fu l’occasione per conoscersi anche di persona. Da lì cominciammo a scriverci e a sentirci per segnalare o commentare l’ennesima sciocchezza ministeriale, per scambiarci documenti oppure per suggerire lui a noi qualche iniziativa o noi a lui di intervenire su una questione all’ordine del giorno. 
Israel ha più volte messo in guardia sull’acritica esaltazione delle tecnologie informatiche (“la faccenda dei nativi digitali è un'immensa bufala, forse inventata dai venditori di materiali informatici”, ci scrisse una volta). Ha criticato più e più volte le pretese di valutazione “oggettiva”, per non parlare delle notissime polemiche sull’Invalsi e sul rischio di orientare l’insegnamento alla soluzione dei test. Ha difeso il ruolo della scuola pubblica e combattuto la tendenza a metterla al servizio degli utenti (“la cultura e la conoscenza non sono prodotti e servizi e nell'istruzione l'interesse sociale e nazionale deve imporsi sugli interessi specifici”). Ha denunciato “l’ideologia della sostituzione della scuola delle conoscenze con la scuola delle ‘competenze’ promossa da un network di pedagogisti e di dirigenti ministeriali”, con la conseguente inondazione di griglie e documenti di certificazione, fino all’ultimo uscito, in cui “si procede fino all’esclusione di ogni possibile valutazione negativa del rendimento dello studente”. Sarebbe molto lungo l’elenco completo dei temi affrontati da Giorgio Israel nei suoi interventi. Ma sarà bene andare spesso a rileggerli sul suo blog. Ne sentiremo un po’ meno la mancanza.

lunedì 21 settembre 2015

IL BAMBINO E L'ACQUA SPORCA NELLA SCUOLA ANNI '70

Dedicato a quel gruppo di colleghe e colleghi di Via dei Bassi che negli anni Settanta,  pur coltivando nei bambini lo straordinario strumento della fantasia, non vennero tuttavia  mai meno al rigore e alla necessità di contrastare alcune idee, non di rado  distruttive, della didattica imperante.

Finalmente si riscopre il dettato. Naturalmente accade all'estero, precisamente in Francia,  ma non è detto che prima o poi ritorni ad essere, soprattutto alle elementari, l'esercizio chiave, un tempo quotidiano, della nostra scuola di base, quello che ha permesso d'insegnare l’italiano agli italiani. L'averlo ridotto ai minimi termini ha contribuito, come ha scritto recentemente Tullio De Mauro, a formare un impressionante numero di disgrafici, dietro al quale forse non mancano operazioni di carattere speculativo. Al dettato aggiungerei anche il riassunto, esercizio anch'esso di primaria importanza per abituare i bambini a strutturare i loro pensieri e le loro competenze, non solo linguistiche. La consequenzialità dei fatti, l'ordine della struttura grammaticale, soprattutto dei tempi verbali, la necessità di scegliere le parole giuste e progressivamente diverse rispetto a quelle presenti nel testo da riassumere, trasferiscono nella mente dei bambini un bagaglio di strumenti indispensabili per  affrontare tutte le materie con una maggior sicurezza; una sicurezza che da decenni non riusciamo quasi più a trovare in molti dei nostri studenti delle superiori e delle stesse università. Da molti anni, inoltre, prendiamo purtroppo atto della sempre più scarsa attenzione per la calligrafia e ciò, oltre a non dare ordine e struttura ai nostri pensieri e alle nostre parole, contribuisce senz'altro a creare ulteriori disgrafici. Se un docente delle superiori si “picca” di pretendere la scrittura in corsivo, è facile che nel giro di pochi giorni spunti fuori una certificazione di dsa che oggi mi sembra non si neghi a chiunque ne faccia richiesta. Devo tuttavia far presente, almeno per la mia esperienza di docente di lettere nelle superiori in tempi in cui i dsa erano meno di moda, che non sempre i miei colleghi erano disposti a stabilire un tempo entro il quale l'allievo doveva imparare il corsivo, pena una pessima valutazione dei compiti. Mi è capitato frequentemente d'incontrare all'esame di Stato ragazzi che ancora non erano in grado di scrivere in corsivo e che dovevano quindi concentrare i loro sforzi, piuttosto che sui contenuti,  nello scrivere in modo leggibile, talvolta senza neanche riuscirvi.
Ma anche la tradizione letteraria era sotto tiro in quegli anni. Come dimenticare una collega  di un  istituto superiore livornese  che al posto dei Promessi sposi faceva leggere l'autobiografia di un calciatore considerato, allora, impegnato!  Quando incontro invece  qualche mio ex allievo, a volte sono stato benevolmente rimproverato perché non gli avevo fatto studiare a memoria altri canti della Commedia o di Leopardi, avendo nel frattempo verificato quanto sia importante, nella vita e nel lavoro, avere una memoria ben sviluppata e allenata. Purtroppo l'ondata “progressista” dei docenti entrati con me nella scuola negli anni settanta voleva rivoluzionare tutto quello che sapeva di stantio, di passato, di borghese, senza nemmeno chiedersi se, insieme a una didattica senz'altro da buttare, vi fosse una tradizione da mantenere. Una tradizione che aveva saputo trovare e conservare strumenti di base fondamentali per insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto anche a bambini i cui retroterra culturali e sociali non avevano nulla da invidiare (si fa per dire) a certi contesti del nostro attuale terzo mondo.  Non riuscì a far riflettere i nostri pedagogisti e il nostro mondo scolastico (smettiamola di pensare che i docenti non abbiano delle responsabilità sulla decadenza della scuola e che siano sempre vittime degli psicopedagogisti o dei governi di turno!) quello che è considerato il testamento spirituale di Italo Calvino, un modernissimo che, poco prima di morire, aveva voluto lasciare agli uomini del nuovo secolo questi consigli: “Se tutto è fantasia non si realizza niente. Imparare poesie a memoria, fare calcoli a mano e combattere l'astrattezza del linguaggio. Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro”. (Valerio Vagnoli)

lunedì 14 settembre 2015

L'ETERNO SESSANTOTTO (“Il Corriere Fiorentino”, 13 settembre 2015)

Caro direttore, è legittimo indire per il primo giorno di scuola un’assemblea sindacale, come quella di martedì 15 a Firenze, di quattro ore sulla legge di riforma? Certamente lo è, dato che le norme lo consentono. È stata opportuna questa iniziativa dei sindacati? In merito sono state espresse fondate valutazioni critiche da diversi punti di vista. Non si è tenuto conto dell’importanza del primo giorno di scuola per gli allievi, soprattutto quelli delle prime; appare una scelta furbesca, uno sciopero mascherato che mette in difficoltà molti genitori senza la trattenuta sullo stipendio; è un autogol dei promotori, che rischiano di perdere credibilità e simpatie penalizzando soprattutto le famiglie dei lavoratori. La faccenda si fa ancora più seria se si tiene conto che, nelle intenzioni dei sindacati scuola, questa  vuole essere solo la prima mossa di una “resistenza attiva” alla legge di riforma. La Gilda, ad esempio, invita i docenti a “non accettare la nomina a coordinatore di classe, dipartimento, coordinamento per materia, responsabile di laboratorio, l´incarico di responsabile di plesso, la nomina a staff della dirigenza e quella di collaboratori del dirigente,  oltre che a ostacolare l’elezione del comitato di valutazione degli insegnanti. In pratica, a paralizzare la scuola. “Tuttoscuola” parla di “strappo istituzionale” e sottolinea che “piaccia o no, ora la 107/15 è legge e, come tale, va applicata, soprattutto da parte di chi (dirigenti e personale) ha l’obbligo di farlo. Se vi sono nella legge norme di dubbia legittimità, esistono forme e strumenti per impugnarle”. Per esempio, sul punto forse più contestato della riforma, quello che consente ai presidi di nominare almeno una parte dei docenti, è in corso la raccolta di firme per un referendum abrogativo promosso da Giuseppe Civati.
Ancora una volta sembra che certo mondo scolastico non riesca a scrollarsi di dosso un eterno ‘68, incurante dell’esempio che, come educatori e servitori dello stato, si dovrebbe dare ai ragazzi, innanzitutto quello del rispetto delle leggi. Salvo pensare che questa sia una riforma liberticida e che ciò sia sfuggito ai parlamentari e al Capo dello Stato.
Succede poi spesso che una parte di chi aderisce alle assemblee poi non partecipa, usandole di fatto come permesso, tanto il preside per legge non può controllare le presenze. E in passato, in qualche scuola, la riunione è stata perfino annullata perché non c’era nessuno. Serietà vorrebbe che  questi incontri, importanti sotto il profilo democratico e professionale, si tenessero al pomeriggio. La scuola non è una fabbrica e le riunioni pomeridiane fanno parte della normalità. Ne guadagnerebbero in prestigio i sindacati e gli insegnanti, e si eviterebbe anche uno dei tanti tagli alle lezioni durante l’anno scolastico. 
Giorgio Ragazzini e Valerio Vagnoli
Gruppo di Firenze per la scuola
del merito e della responsabilità