lunedì 30 giugno 2008

A CHE SERVE NASCONDERE I VOTI?

("TuttoscuolaFOCUS" n. 246)
Sta suscitando pareri discordanti la decisione, presa dall'ex ministro Fioroni e rafforzata dal suo successore Gelmini, di cancellare il voto dall'esposizione dei risultati finali dell'Esame di Stato.
Fioroni aveva disposto che sui tabelloni si scrivesse soltanto "Diplomato" o "Non diplomato", ma il ministro Gelmini ha ora disposto di sostituire queste dizioni con "Esito positivo" o "Esito negativo". In entrambi i casi i provvedimenti sono stati assunti per venire incontro alla richiesta delle associazioni dei disabili di evitare che i tabelloni rendano riconoscibili gli studenti portatori di handicap gravi, che non ricevono un diploma, ma solo un attestato, senza voto. La dizione "Esito positivo" o "Esito negativo" taglia la testa al toro perché l'esito può essere positivo anche per lo studente disabile grave che non consegue il diploma ma raggiunge gli obiettivi indicati nel suo piano di studi individuale.
Contro questa decisione hanno protestato molti insegnanti anche attraverso lettere inviate ai giornali. Il "Gruppo di Firenze", noto per le sue posizioni spesso polemiche nei confronti del permissivismo postsessantottino, fautore di una scuola selettiva e meritocratica, rilancia ora queste proteste criticando apertamente la linea Fioroni-Gelmini e chiedendosi se queste decisioni facciano l'interesse dei ragazzi disabili, e se "davvero si fa qualcosa per la loro integrazione rendendoli il più 'invisibili' possibile". Si tratta, dice il Gruppo, di provvedimenti "politicamente corretti" ma inutili per i presunti beneficiari, perché ottengono il risultato opposto a quello sperato: "più imbarazzo e ipocrisia invece di una serena e rispettosa accettazione".
La scuola paga inoltre un prezzo troppo elevato in termini di mancanza di trasparenza delle valutazioni, sia degli scrutini finali che degli esami: forse non si comprende, dice il Gruppo, che "in questa completa opacità, nella totale assenza di quel controllo da parte di tutti che la pubblicità dei risultati assicura, vengono 'segretate' anche eventuali decisioni arbitrarie, come promozioni immeritate o ingiuste bocciature".
Ci sembrano tesi meritevoli di un ampio e pubblico dibattito.

domenica 29 giugno 2008

ARRIVARE ALL’ESAME SENZA AVER LETTO NÉ DANTE NÉ MONTALE

In una scuola che affoga tra "educazioni" e progetti ci si può trovare, come è capitato a un collega in una scuola toscana, di fronte ad un'intera classe che sostiene l'esame di stato, alla quale per cinque anni è stato negato quanto segue:
un verso di Dante, in cinque anni neanche un verso del più importante poeta italiano;
la lettura, per intero, di almeno un romanzo di un qualsiasi autore della letteratura italiana;
un verso, neanche un verso di Eugenio Montale, ragion per cui nessun studente di quella classe ha potuto svolgere la prima traccia e, cosa ancor più grave, ha potuto assimilare una qualsiasi "vibrazione" esistenziale da parte di uno dei massimi poeti del novecento.
Quello che più sconcerta è la quasi certezza che non si tratti di un caso isolato e che proprio per questo forse è opportuno tornare ad essere, nei programmi, coraggiosamente più prescrittivi.
(GdF)

sabato 28 giugno 2008

LA "MICRO-INDISCIPLINA" E I RISULTATI SCOLASTICI

In una lettera al "Tempo" si parla del "rumore di fondo" che è la normalità per molte classi e pregiudica spesso l'efficacia didattica.

(27 giugno 2008)



mercoledì 25 giugno 2008

COMUNICATO STAMPA - I VOTI SEGRETATI E LA DITTATURA DEL POLITICAMENTE CORRETTO

Di buone intenzioni è lastricato l’inferno, recita l’arcinoto aforisma di Samuel Johnson, e quello che da anni succede nella scuola italiana in tema di pubblicazione dei risultati di scrutini ed esami ne è una limpida dimostrazione. Dopo che ormai da anni i voti dei respinti sono stati cancellati, per evitare a quegli studenti irreparabili traumi, a marzo un’ordinanza di Fioroni ha imposto di cancellare il voto dai risultati finali dell’Esame di Stato e di scrivere solo “Diplomato” o “Non diplomato”; qualche giorno fa il Ministro Gelmini ha disposto di sostituire queste dizioni con “Esito positivo” o “Esito negativo”. Entrambi i provvedimenti nascono dalla richiesta delle associazioni dei disabili di evitare che siano “riconoscibili” sui tabelloni gli studenti portatori di handicap gravi, che non ricevono un diploma, ma solo un attestato, senza voto.
La prima questione che si pone é: davvero queste decisioni sono nell’interesse dei ragazzi disabili? Davvero si fa qualcosa per la loro integrazione rendendoli il più “invisibili” possibile? O non si tratta piuttosto di quella piccola e comoda logica politicamente corretta secondo la quale un problema lo si risolve occultandolo e la realtà è meglio negarla che affrontarla? Verrebbe da dire che secondo questa logica è meglio che un ragazzo disabile se ne stia a casa, così nessuno sa della sua condizione, piuttosto che frequenti la scuola, dove il suo handicap diviene ovviamente noto a compagni e professori. Per di più questi provvedimenti non solo sono inutili per i presunti beneficiari, ma ottengono il risultato opposto a quello sperato: più imbarazzo e ipocrisia invece di una serena e rispettosa accettazione. Lo stesso vale per le penose contorsioni lessicali – come “diversamente abile” – con cui si pensa di edulcorare la realtà dell’handicap.
La seconda questione è il prezzo che la scuola paga per così discutibili esigenze con una totale mancanza di trasparenza delle valutazioni, sia degli scrutini finali che degli esami, che si è ormai deciso di considerare questioni strettamente private. Tutti nella scuola, dirigenti, insegnanti, studenti, considerano questa logica del tutto surreale, ma come per altre questioni la subiscono passivamente. E forse non ci si rende conto che senza trasparenza, e quindi nella totale assenza di quel controllo da parte di tutti che la pubblicità dei risultati assicura, vengono “segretate” anche eventuali decisioni arbitrarie, come promozioni immeritate o ingiuste bocciature.

Per il Gruppo di Firenze
Andrea Ragazzini

DUE BAMBINI DOVRANNO RIPETERE LA PRIMA ELEMENTARE. E "IL GIORNALE" PUBBLICA UNA CRONACA CHE GRONDA PREGIUDIZIO VERSO LE INSEGNANTI

L'articolo comincia con un falso nel titolo: "SONO TROPPO SOMARI". BOCCIATI DUE ALUNNI IN PRIMA ELEMENTARE di Nino Materi. Si scopre subito infatti che le parole virgolettate sono solo una (malevola) traduzione del cronista di questa affermazione: "Non hanno raggiunto gli obbiettivi minimi e così dovranno ripetere l'anno".
Il resto dell'articolo trasuda prevenuta biliosità verso i docenti in genere. Un sentimento sparso a piene mani negli scorsi decenni da certi esperti sempre "dalla parte dei bambini".

Seguono due interviste che ristabiliscono un po' di equilibrio, abbastanza simili anche se rubricate una come "favorevole", l'altra come "contrario". Anche il secondo titolo (Un metodo che danneggia l'autostima) è una forzatura, se lo si confronta con il testo, molto più cauto.

Fa riferimento en passant anche a questo caso un commento di Giordano Bruno Guerri nella prima pagina dello stesso quotidiano, centrato sul merito nella scuola e nell'università: MA CHI BOCCIA IL PROF CHE COPIA?

(GR)

sabato 21 giugno 2008

I MAESTRI DI “SCUOLA” DELLA SINISTRA di Valerio Vagnoli

Bene ha fatto il ministro Gelmini a citare, a proposito del tema della scuola, uno dei padri storici della sinistra italiana, dimostrando così che si può cominciare ad uscire dagli schemi rigidi e oppositivi che tanto hanno penalizzato la storia politica, e non solo, dell’Italia dalla sua unità ad oggi. Quello che stupisce è che esponenti politici della sinistra, sullo stesso tema, non hanno mai fatto il minimo sforzo per indicare in qualche esponente della cultura di destra un punto di riferimento interessante e sul quale poter operare qualche seria riflessione. Eppure non mancano eminenti personalità appartenenti a quella cultura politica che hanno scritto sulla scuola pagine ancora attuali e assai stimolanti anche per chi si riconosce in ben altri orizzonti culturali e politici: un nome per tutti è quello di Luigi Einaudi. Non solo ciò non è avvenuto e ahimé difficilmente avverrà, ma da decenni gli intellettuali di sinistra che si occupano di scuola, salvo rarissimi casi, hanno perfino cancellato dai loro interessi gli scritti sulla scuola di personalità che non poco hanno contribuito a creare, pur nelle loro diversità, una coscienza nazionale, laica e progressista anche in virtù del loro contributo diretto e indiretto dato al tema della formazione e dell’istruzione. Alcuni nomi: Gramsci, appunto, e poi Salvemini, Concetto Marchesi, Ernesto Rossi, Tristano Codignola.
Invece citatissimo in questi decenni, sia dai politici che s’interessano direttamente di scuola che dai sindacalisti che sulla scuola hanno un potere che deborda dalle loro competenze, sia da parte della quasi totalità del “partito” dei pedagogisti, è il nome di don Milani, affiancato a onor del vero negli ultimissimi anni a quello di Edgar Morin e, negli ultimi mesi con una certa revanscistica insistenza, anche dal redivivo Berlinguer (Luigi).
Lasciando da parte quest’ultimo ed Edgar Morin, i cui contributi si condensano spesso in qualche slogan consolatorio e ad “effetto”, quello che non finisce di stupire è stato l’ostinato appiattirsi, da parte della sinistra, sulla personalissima e irripetibile esperienza del sacerdote fiorentino. L’appiattimento nasce essenzialmente dall’ostinazione con la quale si è voluto santificare don Milani. Santificarlo e, nello stesso tempo, snaturarlo rispetto a quello che fu il suo “messaggio” pedagogico unico e irripetibile come lo è ogni esperienza legata ad un solo individuo, che finisce spesso col consumarsi nella storia e nei contesti a cui essa fa riferimento. L’averlo tolto da quel contesto, l’averne data una visione frequentemente edulcorata e snaturata rispetto alla complessità del personaggio, ha finito col tradire il personaggio stesso e col dimenticare od emarginare altri pensatori che rappresentano pur sempre, questi sì, una parte essenziale delle radici della sinistra. Ma a quanto pare la sinistra in fatto di scuola le proprie radici le sta andando sempre più a trovare anche in Berlinguer (Luigi) e c’è da scommettere che, grazie alla sua (in realtà pessima) proposta del cosiddetto “concorsaccio”, alla fine gli verrà riconosciuta la primogenitura della riscoperta del valore del merito e della serietà negli studi e nella scuola in generale: altro che Gramsci e Salvemini!

venerdì 20 giugno 2008

SE CONSIDERIAMO LA SCUOLA COME UN'AZIENDA LA PORTIAMO ALLA ROVINA di Giorgio Israel

(dal giornale telematico "L'Occidentale")

Giorgio Israel ricapitola magistralmente i temi dei suoi numerosi interventi degli ultimi mesi: il ruolo dei pedagogisti e dei presunti esperti di scuola, il rifiuto dell'idea dell'istruzione come un prodotto qualsiasi sottoponibile a indici di gradimento, i vari problemi relativi alla valutazione (di cui invece molti scrivono senza incertezze come del toccasana per la scuola), l'assenso condizionato all'assunzione diretta dei docenti da parte degli istituti scolastici, la follia della personalizzazione totale dei percorsi di apprendimento (o, peggio, di autoapprendimento), i programmi e le "indicazioni", i limiti a cui devono sottostare anche le richieste dei cattolici.
È da mesi che scrivo incessantemente sui problemi dell’istruzione e ho incontrato reazioni di vario tipo. Inutile nascondere che le più gratificanti sono state quelle favorevoli, tra cui moltissime lettere di insegnanti e di genitori preoccupati per la drammatica crisi della scuola e dell’università, ma anche seriamente intenzionati a non arrendersi.
Poi ci sono stati gli insulti, particolarmente rivolti ai firmatari dell’“appello per la scuola del merito e della responsabilità” (promosso dal Gruppo di Firenze) che il ministro Gelmini ha fatto suo. Siamo stati gratificati di ogni appellativo: ignoranti, pistoleri, don Ferrante, gente che non sa cos’è la scuola e via dicendo. Siamo stati invitati da un sindacalista a dimostrare in che modo siamo andati in cattedra. L’ex-ministro Berlinguer – un giurista che ancora ricopre l’incarico di presidente di commissioni per la promozione della cultura scientifica e musicale, un caso unico al mondo – ci ha definiti “relitti del passato, tagliati fuori dalla storia”, “laudatores temporis acti”, una “casta” crociano-gentiliana legata a un “cultura morta e deduttivistica”, insensibili alla “rivoluzione epistemologica in atto” che – come proverebbero le “scienze pedagogiche, cognitive e psicometriche” – permette di riconciliare emisfero destro e sinistro, mentre noi li vogliamo tener separati.
Debbo però riconoscere che Berlinguer non si è sottratto a un confronto radiofonico in cui ho potuto cortesemente spiegargli che la sua visione della scienza non sta né in cielo né in terra, che la buona scienza è “deduttivistica”, che i laboratori vanno bene per una concreta acquisizione e comprensione dei principi scientifici ma che rimestando in laboratorio non esce fuori nulla, così come il computer senza qualche idea da metterci dentro non macina neppure numeri. E debbo riconoscere a Giuseppe Bertagna, unico tra tutti i pedagogisti, di aver volentieri accettato un confronto diretto, pacato e approfondito.
Trovo invece intollerabile l’atteggiamento di coloro che fanno orecchie da mercante e che, interpellati sulle idee e teorie cui più tengono, non se ne danno per intesi e continuano ostinatamente a ripeterle, senza neppure provare a rispondere alle obiezioni, evidentemente convinti che quel che conta è il fatto di ricoprire posizioni di potere che consentono loro di infischiarsene altamente delle critiche.
Ad esempio, sono mesi che siamo in molti a martellare sul fatto che la scuola e l’università non sono aziende e servizi, che la cultura e l’istruzione non sono “prodotti”, che l’efficienza aziendalistica è assolutamente inappropriata e inefficiente in questo contesto, che l’idea di concepire alunni e famiglie come “utenti” è devastante, che il termine “customer satisfaction” andrebbe proscritto in questo contesto, salvo la valutazione di edifici, gabinetti e servizi accessori all’insegnamento propriamente detto. Non si è avuto l’onore di una risposta, salvo un “esagerato” che sul mio blog ha sostenuto che tutto al mondo è un’azienda, anche la Chiesa e la Via Lattea. Ci si potrebbe rallegrare di tanto silenzio: è la prova evidente che non v’è uno straccio di argomento di risposta. Il guaio è che poi si continua impavidamente a usare questi concetti, come se fossero verità di per sé evidenti, al pari dell’esistenza dei piedi con cui camminiamo e, in mezzo a molte cose pregevoli, rispunta fuori la “customer satisfaction” anche nelle relazioni alle Camere del ministro Gelmini.
Un altro esempio clamoroso è dato dalla questione della valutazione. Sono mesi che scriviamo e riscriviamo sul tema, mettendo in luce tutti i problemi che esistono in merito, criticando il modo con cui operano docimologi e valutatori, fornendo esempi concreti, mettendo in discussione l’idea di misurabilità delle competenze, nonché la consistenza stessa del concetto di competenza. Potevamo attenderci una stroncatura dallo stuolo di docimologi e di valutatori che si affollano in ogni angolo del sistema, e vista la passione che il mondo dei pedagogisti nutre per la valutazione. Silenzio assoluto. Però si continua a pontificare con immutata prosopopea.
Il Libro bianco sulla scuola prodotto dal precedente governo, la cui produzione è stata coordinata da Fabrizio Barca, ha proposto un baraccone allucinante composto da 400 persone e dotato di un finanziamento megagalattico. A parte la felicità di coloro che sarebbero assunti ci piacerebbe sapere quali sarebbero La “felicità” che ne ricaverebbe il sistema dell’istruzione. Sarebbe interessante sapere come opererebbero i 400 valutatori. Per esempio, mettendo in opera la procedura della distribuzione gaussiana? In genere la racconto ai miei colleghi matematici quando desidero metterli di buon umore, anche se al riso subentra l’incredulità che una bestialità del genere sia vera e non una trovata umoristica. È con la distribuzione gaussiana che si lavorerebbe nel baraccone? E si valuterebbero quantitativamente le competenze anche se i pedagogisti ammettono che sono vent’anni che tentano di darne una definizione misurabile e non ci riescono? Oppure si userebbe la procedura proposta da Giorgio Allulli, cioè misurare la dispersione scolastica e premiare con maggiori finanziamenti le scuole che più la limitano? In altri termini – abbiamo osservato in molti – ciò significa premiare coloro che promuovono tutti, perché questa è la via maestra per arrestare la dispersione scolastica…Così come il degrado dell’università è largamente dovuto alla sciagurata idea di misurarne l’efficienza in termini di laureati in tempo. Tutto ciò è stato detto ma gli Alti commissari della valutazione non si degnano di rispondere. Sono esenti da valutazione e non perché si sentano sicuri di sé – al contrario! – ma perché sanno di essere insediati nella stanza dei bottoni.
Di fronte alle critiche Fabrizio Barca ha enunciato sul Corriere concetti oscuri e vaghi, parlando di “diagnosi valutative”, di “obbiettivi di progresso” e di “azioni rimediali”… Debbo dire che questa aggettivazione burocratico-espertese mi mancava. E aggiungerei che una proposta avanzata parlando di “azioni rimediali” andrebbe cestinata su due piedi. Chi pretende di parlare di istruzione deve pure dar prova di saper usare l’italiano a un livello minimale.
Ma anche il Grande Ufficiale della Repubblica, prof. Francesco Giavazzi – che pure ha il merito di aver stigmatizzato la fumosità del Libro bianco – si è particolarmente distinto per l’arroganza con cui continua a propinare ricette su questioni di cui visibilmente capisce poco, ignorando superbamente le critiche che sono state ripetutamente mosse ai suoi articoli sulla Stampa da più parti e ultimamente da Paola Mastrocola su La Stampa.
Giavazzi continua a parlare ostinatamente di “valutazione” come se si trattasse di cosa ovvia e come se non fosse necessario specificare come vada messa in opera. Parla di valutazione da fare scuola per scuola e non a campione, ma non dice se vada fatta a distanza, dai terminali dei baracconi mediante test a risposta chiusa (Dio ce ne scampi, è il modo di somministrare ciò che si vuole), alla maniera di Allulli (Dio ce ne scampi doppiamente) o con commissioni d’ispezione non si bene come composte. In realtà egli sembra affidare tutto al meccanismo di concorrenza e con ciò mostra di non capire una banale differenza: tra due supermercati l’utente sceglie quello che offre il miglior prodotto al minor prezzo, tra due scuole sceglie quella che promuove di più al minor costo di studio, a meno che questo utente non sia dotato di un senso etico paragonabile a quello di Catone il Censore. Sono mesi che andiamo dicendo queste cose, inutilmente. Non si tratta di obiezioni teoriche ma di osservazioni che hanno una portata eminentemente pratica. Che un Grande Ufficiale non abbia orecchie per ascoltarle e discuterle torna soltanto a suo demerito; che vengano prese sul serio idee tanto superficiali è invece molto inquietante.
Un’altra questione serissima è quella del reclutamento. Personalmente sono abbastanza favorevole all’idea di concedere alle scuole il diritto di reclutare direttamente, a tre condizioni: che ciò venga fatto entro una lista nazionale chiusa derivante da trasparenti e rigorosi processi di “verifica”; che il singolo istituto e i docenti vengono rigorosamente “valutati” (e ci risiamo); che vengono garantiti meccanismi di mobilità e la carriera del docente (vincolata al merito) non si svolga tutta all’interno di un singolo istituto, altrimenti si produrranno delle situazioni clientelari. Anche questi punti andrebbero analizzati in dettaglio tenendo conto della realtà, come ha osservato Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, che ha accusato Giavazzi di non sapere quel che dice, poiché da anni non esistono più concorsi d’ingresso alla scuola: per entrarvi ormai semplicemente “ci si accoda” e la promessa di assunzione di 50.000 precari rende risibile qualsiasi progetto di nuove forme di assunzione. Ma tant’è, queste miserie non possono sfiorare la mente di un Grande Ufficiale.
Il quale, al contrario, fa un passo avanti a dir poco audace proponendo una flessibilità dei percorsi di studio secondo cui gli insegnanti sarebbero liberi di progettare i loro corsi, decidendo individualmente cosa insegnare. La proposta non è nuova e riprende in pieno i capisaldi della pedagogia dell’autoapprendimento che, già nelle forme limitate in cui è stata applicata alla scuola italiana, nelle riforme Berlinguer e Moratti, è responsabile dei guasti di fronte a cui ci troviamo. Certo, per i pedagogisti la scuola italiana è ancora troppo “rigida” e loro vorrebbero personalizzarla in toto, ma sono sotto gli occhi di tutti gli effetti devastanti di una mano libera che permette di insegnare a scuola la “legge dissociativa” dell’addizione o trasformare le lezioni di storia alle primarie di un’interminabile odissea attorno agli orologi o ai concetti di mattina e pomeriggio.
La scuola deve fornire una preparazione di base uguale per tutti. È assolutamente inaudito che all’università sia normale stabilire quali sono le nozioni base imprescindibili di analisi matematica o algebra – la possibilità che in un corso di laurea in matematica non si studino mai i numeri reali è considerata aberrante – e a scuola questo principio sia invece disatteso. La possibilità di percorsi individuali implica che uno studente che non ama la matematica o la sintassi possa essere esentato dallo studiarle, o quantomeno che gliene venga proposta una versione alleggerita. Mi dispiace, ma una proposta che apra la strada anche solo al rischio che in una classe si studino le equazioni di secondo grado e in un’altra soltanto quelle di primo, è un’autentica follia. Il bello è che negli Stati Uniti si sta rimettendo in discussione questa pedagogia dell’autoapprendimento personalizzato riscoprendo le virtù dell’approccio disciplinare. L’abbiamo ricordato all’“americano” Giavazzi, ma pare che egli preferisca il più ortodosso pedagogismo antiautoritario di stampo sessantottino.
Al riguardo vogliamo dire una parola chiara a quei cattolici che sono sinceramente preoccupati dell’autonomia scolastica, della parità scolastica e di non vedersi imposti dei programmi uniformi magari di stampo laicista. Siamo sensibili a queste esigenze ma allora cominciamo col dire che bisogna impegnarsi contro ogni risorgere della pedagogia che espropria la famiglia delle sue funzioni educative. Colpisce assai vedere molti cattolici impegnati sul fronte della difesa della famiglia e, in completa incoerenza, difendere i corsi di “convivenza civile” e di “affettività”, che sono poi quella trovata zapaterista contro cui si battono i cattolici in Spagna.
Nel rivendicare la libertà educativa il Papa ha detto: «È legittimo infatti domandarsi se non gioverebbe alla qualità dell’insegnamento lo stimolante confronto tra centri formativi diversi suscitati, nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti, da forze popolari multiple, preoccupate di interpretare le scelte educative delle singole famiglie. Tutto lascia pensare che un simile confronto non mancherebbe di produrre effetti benefici». Il Papa non sa che è ormai considerata una bestemmia parlare di “programmi” e che si possono soltanto enunciare “indicazioni” che poi la scuola attua in autonomia… Ma anche i cattolici più “modernisti”, dopo aver perdonato l’uso di questa sciagurata parola, vorranno consentire che queste non sono le parole di un accanito laicista bensì del Papa… Parole sacrosante. Perché quel che vogliamo è una scuola critica e aperta. Per esempio, vorremmo una scuola in cui si spieghi la teoria dell’evoluzione mostrando i pro e i contro, le questioni aperte e discusse e quelle acquisite – il che può farsi benissimo e anche in maniera didatticamente efficace (si veda ad esempio, il libro di Juncker e Scherer, “Evoluzione. Un trattato critico”, Gribaudi). Invece non ci piace per niente l’idea di una scuola darwinista e di una scuola creazionista, di una scuola in cui s’insegna la storia a orientamento di destra e un’altra di sinistra, una scuola in cui si esalta la tecnologia ed un’altra in cui si denigra, e via esemplificando. L’idea che uno nasca in una famiglia di fascisti o di comunisti e debba frequentare una scuola fascista o comunista è orripilante. È giusto invece che la famiglia abbia il diritto di scegliere una scuola avente un orientamento religioso e morale ben definito, in cui l’alunno venga educato non soltanto alla conoscenza delle religioni ma anche in un contesto cattolico (o ebraico o protestante). Per il resto, come dice il Papa, programmi (pardon, indicazioni) nazionali validi per tutti.
È giusto liberalizzare l’istruzione ma è irresponsabile gettare alle ortiche quelle conquiste che hanno condotto all’abbattimento dell’analfabetismo e a una formazione culturale di base che offra gli strumenti per pari opportunità nella vita associata. Non a caso la decadenza è iniziata con il prevalere di quella pedagogia di stato che mira a sminuzzare, parcellizzare e libanizzare l’istruzione e che non paga mai il prezzo dei suoi insuccessi né mai viene chiamata a rendere conto delle proprie azioni.
Ma anche queste saranno parole al vento. Circolano troppi apprendisti stregoni che hanno un solo argomento: il potere, certamente non quello delle idee.

LA NOTTE DOPO GLI ESAMI di Franco Garelli

("La Stampa")
Un rito di passaggio deve essere una cosa seria. Invece di entrare in ansia per loro, dotiamoli per tempo di una appropriata cassetta degli attrezzi, in modo che sappiano cavarsela negli esami e nella vita.

Mercoledì mattina è tornato l'incubo della maturità. Se n'è fatto portavoce il Giornale Radio delle 8, quello che dà il ritmo a tutta la giornata. Vi erano notizie particolari, non solo perché l'Italia del pallone la sera prima aveva sconfitto la Francia. Ma anche perché iniziava l'esame di maturità, uno dei pochissimi riti di passaggio che ancora persistono nella modernità avanzata; quelli che permettono a una generazione di crescere, di misurarsi con difficoltà adeguate alla propria età, in vista delle prove impegnative che li attendono nella vita.

Da molti anni si guarda a questo rito con apprensione pubblica, e anche il notiziario radiofonico rifletteva questo cliché. Il cronista ci ha ricordato che c'era il tema di italiano, «assai temuto» dagli studenti. Inoltre, il solito studente romano, intervistato su quale tema si era preparato, ha biascicato: «Beh!, l'ambiente, la società multietnica, ciò che va di moda». «E se esce altro?», gli è stato chiesto. «Beh, vuol dire che mi consegno al fato».

Amo pensare che queste immagini segnino la fine di un'epoca, quella della lamentazione per gli esami di fine ciclo, dell'apprensione per le verifiche di rilievo dell'iter scolastico, di commentatori e di adulti (anche ministri della Repubblica) più preoccupati nella circostanza di dare una copertura affettiva ai giovani che di richiamarli alle sfide importanti della vita. Si è vicini agli studenti non tanto rassicurandoli e proteggendoli in astratto, quanto offrendo loro credenziali formative adeguate per affrontare le prove impegnative, quelle che aiutano a irrobustirsi, a saggiare le proprie capacità, a verificare la corrispondenza tra sforzi e risultati. Una parte dei giovani studia poco e male, magari riceve un debole supporto dalle strutture scolastiche; e poi chiama in causa il destino per giustificare quel che succede nella vita, per compensare una preparazione lacunosa o lasciata al caso. Il fortunato film Notte prima degli esami è bello da vedere al cinema, ma è triste trovarlo rispecchiato nella realtà. Certo, da tempo l'esame di maturità è al centro di pareri controversi, tra quanti lo depotenziano perché mettono in discussione il valore legale dei titolo di studio, altri che non ne comprendono la funzione o lo ritengono troppo nozionistico, altri ancora che lo valorizzerebbero solo dentro una riforma complessiva del sistema scolastico e del rapporto scuola-mondo del lavoro. Ogni posizione ha frammenti di verità, ma il continuo esercizio del dubbio non fa che indebolire il quadro in atto e disincentivare i giovani a mettersi alla prova anche per allenarsi a superare gli esami della vita.

Da qualche tempo a questa parte si sta lottando a vari livelli per contrastare questi messaggi allarmanti o eccessivamente comprensivi nei confronti dei giovani, degli studenti in particolare. In questa linea si era mosso l'ex ministro dell’Istruzione Fioroni, che ha operato per dare più smalto all'esame di maturità, per reintrodurre i debiti formativi per quanti hanno lacune, per richiamare tutti a un maggior impegno non soltanto selettivo ma anche formativo. Su questo solco sembra agire anche il nuovo ministro Gelmini, la cui denuncia che gli insegnanti italiani sono i meno pagati d'Europa è stata letta da molti come la volontà di ricordare a tutti (anche al ministero del Tesoro) che l'investimento nella formazione dei giovani - sia pure in tempi difficili per le casse dello Stato - è una priorità per un Paese che intende recuperare in efficienza e innovazione. Varie forze sociali (ad esempio Chiesa e Confindustria) individuano nell'emergenza educativa una delle sfide più importanti del tempo presente.

Si risponde a questa emergenza anche guardando alle verifiche che gli studenti devono sostenere (come gli esami di maturità) con serenità e fiducia. Superando l'idea che siano prove off limits, che producono grande disagio, che richiedono virtù e sostegni (o fortuna) del tutto particolari. Lo stress non manca, in questi casi, ma è un fattore che rientra nella posta in gioco. Dipende dalla cassetta degli attrezzi che i giovani sono riusciti ad acquisire (e che la scuola è riuscita loro a fornire), per una prova di rilievo che può rafforzare il loro presente come il loro futuro.

E a proposito delle apprensioni (e delle pretese) di alcuni genitori, recuperiamo una lettera pubblicata ieri dal "Corriere della Sera", a cui risponde Sergio Romano:

PRESSIONI DEI GENITORI

Caro Romano, anche quest'anno l'attività scolastica si è conclusa annoverando tentativi delle famiglie di modificare dall'esterno i giudizi espressi in classe dagli insegnanti con i voti. Alle deficienze intellettuali dei figli sono giunte in soccorso, talvolta con iniziative indecorose, le pressioni dei genitori sui docenti. Fra le motivazioni addotte spiccano, per citare solo quelle meno inconfessabili, il tentativo di evitare frustrazioni da un possibile insuccesso scolastico o la preoccupazione di non danneggiare le vacanze organizzate da tempo. I mezzi utilizzati per condizionare l'operato dei docenti variano dai reiterati approcci al di fuori delle sedi istituzionali alle lettere recapitate poche ore prima dell'inizio degli scrutini.

Auspico che il ministro della Pubblica istruzione sappia predisporre strumenti adeguati per limitare l'ingerenza delle famiglie sugli insegnanti. Questa pratica così diffusa a ogni fine anno scolastico mortifica qualsiasi discorso sul merito e si ritorce infine sugli studenti: non aiuta i mediocri a crescere, condanna i migliori, contribuisce in modo irreversibile ad accrescere il declino dell'istruzione nazionale.

Francesco Salerno , fra.salerno@tin.it

Risponde Romano: Temo che dietro queste pressioni dei genitori vi sia molto egoismo. Non vogliono rinunciare alle vacanze e non vogliono impiegare il loro tempo seguendo più attentamente il lavoro dei figli. Dicono di temere per i riflessi di un giudizio negativo sulla psicologia dei ragazzi, ma è la loro psicologia che mi preoccupa.

mercoledì 18 giugno 2008

ANCORA SULL'ARTICOLO DI GIAVAZZI

Paola Mastrocola non è per nulla d'accordo sulla proposta di lasciare liberi i singoli docenti di stabilire curricoli differenziati; Pierluigi Magnaschi contesta l'idea di far assumere gli insegnanti direttamente dalle scuole.
(GdF)
http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=IG1HI&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1 ("La Stampa")
http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IG2ZQ&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1 ("Italia Oggi")

martedì 17 giugno 2008

DOTTOR BARCA, CI SPIEGA IN PAROLE POVERE QUALE SAREBBE LA "PROPOSTA OPERATIVA" PER L'ASSUNZIONE DEGLI INSEGNANTI DI CUI SCRIVE OGGI SUL "CORRIERE"?

Sul "Corriere della Sera" a p. 37 una replica all'articolo di Giavazzi Il tabù dei concorsi nella scuola da parte di Fabrizio Barca, coordinatore del Quaderno bianco sulla scuola prodotto dal precedente governo. Che fa una proposta alternativa; peccato che sia scritta in un'incomprensibile "espertese". E' l'illeggibile neolingua che usano quasi tutti quelli che, per conto del governo o meno, si occupano di scuola (ma è diffusissima anche in altri settori). Lanciamo un sondaggio in proposito qui a fianco.

Passi decisi per migliorare la qualità della scuola richiedono un dibattito serrato, ma anche rigoroso e concreto. Per questo motivo mi preme di segnalare ai lettori del Corriere che il Quaderno bianco sulla scuola predisposto nel 2007 dalle Amministrazioni pubbliche dell'economia e finanze e della pubblica istruzione propone un metodo innovativo per selezionare gli insegnanti di una scuola, così da evitare di essere costretti ad «accettare il primo della graduatoria che ha raggiunto quel posto solo per anzianità». Su questo aspetto, fondamentale per un vero cambiamento, il Quaderno non solo non è «reticente» — come si legge nel fondo del professor Francesco Giavazzi di domenica 15 giugno — ma suggerisce una soluzione operativa. Essa poggia sulla costruzione di un «sistema nazionale di valutazione» — uno dei pilastri del disegno formulato nel Quaderno e incentrato su un rinnovato Istituto nazionale di valutazione — dove si affianchino, da un lato, rilevazioni annuali, censuarie dei livelli di apprendimento e di competenza degli studenti di diversi gradi e, dall'altro, l'azione continua di «team esterni di supporto» (un insegnante senior e un esperto) che visitino e lavorino in ogni scuola del Paese, per un periodo congruo, almeno una volta ogni tre anni. La nuova modalità di selezione potrebbe così prendere a riferimento la «diagnosi valutativa» e gli «obiettivi di progresso» che il team avrà elaborato con la scuola. Il team potrebbe identificare «con la scuola, fra le azioni rimediali, le caratteristiche dei nuovi insegnanti» — scrive il Quaderno. Si procederebbe quindi alla «raccolta di un numero di candidati largamente in eccesso rispetto al numero di insegnanti richiesti», offrendo anche «integrazioni retributive legate agli obiettivi di progresso». La scelta degli insegnanti avverrebbe infine «all'interno di quella rosa di candidati, anche in base agli esiti di colloqui e di lezioni tipo». È una proposta che — scrive il Quaderno — «richiede ulteriori approfondimenti», anche in relazione al sistema di formazione iniziale, ma ha il pregio di porre a fondamento della selezione da parte delle singole scuole elementi «oggettivi», in grado di sottrarla a derive improprie che potrebbero manifestarsi nel chiuso dei contesti locali. Nella stessa direzione va la previsione del Quaderno di incentivi legati al conseguimento degli «obiettivi di progresso» per i dirigenti scolastici, responsabili ultimi della selezione. C'è veramente da augurarsi che su questo tema parta un confronto concreto che sappia utilizzare le diagnosi e le idee maturate in questi anni in molte pieghe del pubblico impiego e nelle esperienze innovative di tante scuole.

Fabrizio Barca

Per la cronaca pubblichiamo la risposta di Giavazzi:

Avevo scritto «Sul tema dei concorsi, il Libro Bianco è reticente». Fabrizio Barca lo conferma. Il Libro Bianco non ha il coraggio di dire che il sistema dei concorsi deve essere abbandonato, né che vanno abolite le graduatorie. E come sempre accade quando non si ha il coraggio di affrontare le questioni con chiarezza (forse perché il Libro Bianco doveva avere il placet dei sindacati della scuola?), si scrive che il problema «richiede ulteriori approfondimenti».

Francesco Giavazzi
Post scriptum: a proposito di chiarezza del "linguaggio in generale, mi scriveva pochi giorni fa Annalisa Camellini, psicologa:
"Ogni disciplina pare acquisire un vocabolario che diventa un codice: se non sei un esperto, non capisci quello che gli "esperti" dicono o scrivono; un vocabolario specifico può essere utile per sintetizzare e rendere più veloci le comunicazioni fra addetti ai lavori ma non deve diventare una barriera per chi addetto non lo è; in questo modo si usa il linguaggio solo per creare un sistema che si autolegittima, si autoalimenta e si protegge da novità, stimoli, scossoni; diventa uno strumento che alimenta una casta e un potere, per far sentire "qualcuno" a chi evidentemente fuori da un ambiente si sente di contare poco".
(GR)

lunedì 16 giugno 2008

IL MINISTRO SULLE ASSUNZIONI e TRE ARTICOLI SULLA SCUOLA SERIA

Quattro articoli dalla Rassegna stampa di oggi del Ministero della pubblica Istruzione: una risposta del Ministro al professor Giavazzi (ma siamo ancora piuttosto sul vago) e tre interventi sulla "fine del buonismo" di Zecchi, Niffoi e Fioroni, che rivendica (giustamente) il merito della svolta sui debiti formativi. Certo qua e là qualche affermazione non è condivisibile e qualche contraddizione c'è. Ma anche solo un paio d'anni fa questo clima "antibuonista" non c'era e pochi avrebbero scommesso che sarebbe arrivato. (GdF)

GELMINI: PROF E ASSUNZIONI, CONCORSI TROPPO RIGIDI di Lorenzo Salvia (“Corriere della Sera”)

http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+precedente&numart=IFA6G&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

CHE BELLO, QUEST’ANNO CI SONO TANTI BOCCIATI di Stefano Zecchi (“Il Giornale”)

http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IF9PK&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

«E’ FINITA L’ERA DEL BUONISMO: NON POSSIAMO FORMARE ASINI» intervista a Salvatore Niffoi di Eleonora Barbieri (“Il Giornale”)

http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+precedente&numart=IF9OM&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

« MIGLIAIA DI RIMANDATI? TUTTO MERITO MIO» intervista a Giuseppe Fioroni di Antonella Rampino (“La Stampa”)

http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IFA7Y&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

domenica 15 giugno 2008

SCUOLA, IL TABU' DEI CONCORSI di Francesco Giavazzi

("Il Corriere della Sera")

Ha fatto bene il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, a porre la questione della motivazione, anche economica, degli insegnanti. Nessuna azienda privata penserebbe mai di aver successo con dipendenti sfiduciati, senza entusiasmo per il loro lavoro. Tanto meno la scuola che ha il compito di formare il capitale umano e sociale (cioè insegnare le regole di una convivenza civile), beni che non si producono senza motivazione, dedizione, orgoglio per il proprio mestiere. Sono pagati troppo poco i nostri insegnanti? A Milano forse sì, a Noto, dove la vita costa la metà, non so. Ma se gli stipendi fossero davvero così bassi, perché ci sono le code ai concorsi, perché cinquantamila precari premono per essere assunti nella scuola anziché cercare lavoro altrove?

La realtà è che la scuola oggi offre un contratto perverso: un salario modesto in cambio di nessun controllo, neppure se l'insegnante è evidentemente incapace, neppure se passa da una assenza per malattia all'altra. Gli ottimi insegnanti, e sono moltissimi, in particolare negli asili e nelle scuole elementari, non lo sono per effetto di un sistema di incentivi ben disegnato. Sono semplicemente dei «santi». Questo, ognuno lo vede, non può essere il criterio sul quale fondare un sistema scolastico. Prima ancora di affrontare il problema dei criteri con i quali determinare le retribuzioni degli insegnanti, la scuola deve chiedersi se il modo in cui oggi li assume sia adatto a selezionare gli insegnanti migliori.

Perché se si assumono le persone sbagliate non c'è alcun sistema di valutazione capace di rimediare a quell’errore. Persino le aziende di modesta dimensione oggi dedicano grande attenzione alla selezione del personale; e la scuola invece che fa? Si affida ai concorsi pubblici, un sistema palesemente incapace di evitare l'assunzione di persone che non dovrebbero fare gli insegnanti. In un concorso pubblico chi sceglie, cioè la commissione preposta al concorso, non subisce le conseguenze di una scelta sbagliata. Nella migliore delle ipotesi i commissari si limitano alla verifica dei requisiti formali, non si chiedono se il candidato sia adatto all'insegnamento, tanto meno all'insegnamento in una particolare scuola — né d'altronde potrebbero, dato che lo stesso vincitore è assegnato indifferentemente ad una scuola media di un quartiere ad alta immigrazione e difficili problemi di integrazione, o ad un liceo scientifico sperimentale in cui si insegna matematica avanzata.

Il primo passo per una riforma della scuola è quindi l'abbandono dei concorsi pubblici e la loro sostituzione con un sistema in cui le assunzioni vengono decise da chi poi sopporta le conseguenze di un'eventuale decisione sbagliata, in primo luogo i presidi di ciascuna scuola. Come ha scritto Andrea Ichino su http://www.lavoce.info/, il maggior limite del Libro Bianco sulla Scuola pubblicato dal governo Prodi è la sua reticenza sui concorsi, frutto di un'ideologia che fa fatica ad accettare che gli incentivi, il «mercato » possano funzionare meglio dello Stato. Spero che il nuovo ministro sia più coraggioso. Chiamiamoli pure concorsi locali, stabiliamo pure alcuni requisiti formali, ma lasciamo spazio ad una valutazione discrezionale da parte del preside; se vuole offrire un corso di biologia deve poter assumere, magari a tempo parziale, un dottorando biologo, non essere costretto ad accettare il primo della graduatoria che ha raggiunto quel posto solo per anzianità.

Oltre ai casi di negligenza e assenteismo, anche un insegnante che si limita alla noiosa routine quotidiana crea un danno irreparabile perché viene meno al suo compito di formare un cittadino responsabile. Un bravo preside deve saper scoprire se il candidato sia un buon insegnante, talento che non tutti hanno in egual misura e che nessuna scuola di formazione professionale può insegnarti se non lo possiedi. Concorsi locali si svolgono da alcuni anni nell'Università, con risultati disastrosi. Ma l'errore, nell'Università, non è stata l'abolizione dei concorsi nazionali e la loro sostituzione con concorsi locali. L'errore è non aver accompagnato questa riforma con un serio sistema di valutazione. I presidi di scuola e le facoltà devono poter assumere gli insegnanti che ritengono più adatti, ma se sbagliano devono subire le conseguenze dei loro errori. Altrimenti, come accaduto nell'Università, assumeranno i raccomandati o i figli e i nipoti dei colleghi. La selezione e i poteri dei presidi devono evidentemente cambiare.

Oggi i dirigenti scolastici sono di frequente burocrati senza potere: non è quindi sorprendente che siano spesso scadenti. Stabilizzare cinquantamila insegnanti precari, come il ministero si appresta a fare, è un errore che avrebbe conseguenze irreparabili sulla scuola. Magari sono tutti ottimi insegnanti, ciascuno il più adatto per la scuola in cui insegna, ma questo deve essere deciso dai presidi, non dall'automatismo delle graduatorie. La valutazione (obbligatoria per tutte le scuole, non effettuata a campione su poche scuole) è complemento essenziale dell'abolizione dei concorsi. Ma valutare le scuole senza averle prima poste nella condizione di scegliere i propri insegnanti non ha alcun senso. Né ha senso valutare le scuole senza aver prima introdotto maggior flessibilità nei percorsi di studio. Siamo davvero sicuri che il ministro o una commissione ministeriale siano capaci di scegliere i programmi migliori? Non funzionerebbe meglio—come dimostra l'esperienza dei Paesi anglosassoni e scandinavi — un sistema nel quale gli insegnanti, investiti della responsabilità di progettare i loro corsi, decidano che cosa insegnare e in che sequenza?

Percorsi differenziati valorizzano la professionalità degli insegnanti. Introducono anche un po' di concorrenza fra le scuole e richiedono che le famiglie si informino sui percorsi offerti dalle varie scuole e sulla loro qualità. Allo Stato rimane il compito di valutare ex post. Oggi invece accade l'esatto contrario: nessuna autonomia degli insegnanti e nessuna, o quasi, valutazione conseguente. Il risultato sono i test PISA dai quali le scuole italiane (con importanti eccezioni, come le scuole del Trentino Alto Adige, della Valle d'Aosta e di alcune province lombarde) emergono fra le peggiori d'Europa. Ma la valutazione non basta, neppure se accompagnata da forti incentivi alle scuole migliori. Per essere efficace l'informazione sulla qualità deve essere disponibile alle famiglie e queste devono poter scegliere in che scuola iscrivere i propri figli.

Il sistema dei «buoni scuola» che una famiglia può spendere nell’istituto che preferisce, pubblico o privato, può funzionare, purché accompagnato da verifiche indipendenti e severe. Altrimenti, come è accaduto in alcune regioni durante le esperienze effettuate dal ministro Moratti, i «buoni» sono solo un regalo alle scuole private che promettono facili promozioni (vedi Tullio Jappelli e Daniele Checchi su www.lavoce.info). Questa settimana il governo approverà un progetto triennale per i conti pubblici. Come sempre accade in queste occasioni, i vincoli di spesa imposti dal ministro dell'Economia si scontrano con i programmi dei suoi colleghi, in primis del ministro dell'Istruzione, dal quale dipende quasi la metà di tutti i dipendenti pubblici. L'esperienza di molti esercizi simili svolti da governi passati — incluso il precedente governo Berlusconi — è che in assenza di riforme radicali del modo di agire delle amministrazioni pubbliche questi numeri sono cifre scritte sull'acqua e presto dimenticate. Il ministro Gelmini difende la scuola, ma per essere credibile deve avere il coraggio di abbandonare il tabù dei concorsi pubblici.

Commento. Dall'editoriale di Giavazzi si intuisce soprattutto una cosa: non esistono ricette miracolose per innalzare il livello della scuola italiana. I concorsi sono un mezzo in parte inadeguato, ma è anche vero che una bella fetta degli insegnanti italiani è entrato addirittura senza farne uno (cioè ope legis). E la probabile "stabilizzazione" di altri precari sarebbe purtroppo solo l'ultima di una serie. Per allontanare gli insegnanti incapaci e assenteisti (non molti per altro) c'è bisogno dell'assunzione diretta + un efficace sistema di valutazione? Speriamo proprio di no, altrimenti fanno a tempo a andare in pensione... Anche il sistema dei buoni scuola può funzionare, dice Giavazzi, "purché accompagnato da verifiche indipendenti e severe".... Noi ci permettiamo di ripetere per l'ennesima volta a bassa voce quanto chiede l'appello degli intellettuali fatto proprio dal Ministro: "restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo, intervenendo però con tempestività e rigore nei casi (pochi, ma negativi per l’immagine della scuola) di palese negligenza o inadeguatezza.I dirigenti scolastici infine andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti." Intervenire subito, quindi, dando strumenti ai dirigenti e pretendendo che se c'è da usarli lo facciano. Soprattutto per tutelare e riconoscere il merito dei tanti bravi e seri colleghi, che sono la grande maggioranza (nocet bonis qui parcet malis). Quanto alle possibili reazioni, basta vedere il consenso che cresce, anche dentro la pubblica amministrazione, verso il neo-ministro Brunetta, che invece di avvolgere la sua iniziativa in cautelose perifrasi, ha parlato chiaro e ha creato così la base per la sua politica; e ha giustamente sottolineato le responsabilità che devono assumersi i dirigenti.
Infine, Giavazzi non cita l'importanza di una formazione seria in entrata, selettiva anche sul piano attitudinale: non per avere superdocenti, si capisce, ma per far sì che persone disturbate o troppo fragili siano indirizzate verso altre professioni. (GR)

Da LA DERIVA di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo

A proposito di valutazione, più di una volta abbiamo fatto notare che prioritariamente si dovrebbe far sì che nella scuola non possano più esserci casi come quelli raccontati da Rizzo e Stella (uno riguarda un docente, l'altro un custode), per i quali non sembra che ci sia bisogno di raffinati criteri "scientifici", ma solo di minori tutele sindacali.
E il professore che fa lezione dando le spalle agli studenti? Marco Imarisio nel suo libro [Mal di scuola] ha riportato il verbale dell'ispettore. Terrificante. Si spiega che il docente insegna a voce bassissima, faccia al muro, le mani abbandonate lungo i fianchi, e che gli studenti, dopo avergli urlato per settimane "alza la voce!", alla fine si sono stufati e hanno cominciato a lasciarlo solo nell'aula vuota. Che soffre di "incapacità didattica conclamata". Che "la sua conoscenza della materia si è totalmente diradata nel tempo". Che agli allievi che lo implorano di spiegare di nuovo qualcosa perché non hanno capito niente risponde: "Stessero attenti, imparerebbero. Io spiego, e a chi non segue metto un due sul registro". Insomma, un disastro. Ma niente da fare: la richiesta di "dispensa dal servizio" viene bloccata da un ricorso. E il professore resta lì, a bisbigliare faccia al muro con le spalle rivolte agli studenti. Prova provata che l'unica cosa che conta è la marmorea intoccabilità sindacale del suo posto. E i ragazzi cui viene impedito di imparare? Chi se ne fotte...
[...]
Per non parlare di un bidello sporcaccione. Condannato per "numerosi atti sessuali nei confronti di allieve tutte minori di anni 14, tra cui una in condizioni di minorità psicofisica", tutti "all'interno dell'istituto scolastico". Sapete come è stato punito? Con una "sospensione della retribuzione per un periodo di due mesi", poi ancora con un'altra di "10 giorni dal servizio", quindi un'altra ancora "per giorni 3" e infine il trasferimento. In un carcere? No, in un'altra scuola.

venerdì 13 giugno 2008

DALLA RELAZIONE DEL MINISTRO GELMINI: FACCIO MIO IL MANIFESTO-APPELLO DEL GRUPPO DI FIRENZE

Dalla relazione del Ministro della Pubblica Istruzione davanti alla Commissione cultura della Camera di martedì 10 giugno:

"Signor Presidente, onorevoli deputati,
mi avvio ormai a concludere. Prima delle elezioni un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza (Gruppo di Firenze) si è riunito per proporre agli italiani e alle forze politiche in particolare un manifesto-appello.Vorrei farlo mio e impossessarmi del suo messaggio più importante: “Sia le riforme, sia il governo e la vita della scuola a tutti i livelli dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità. L’aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell’istruzione superiore, l’autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari principi dell’etica pubblica e privata”.
Dobbiamo “offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento”.
Dobbiamo “restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo, intervenendo però con tempestività e rigore nei casi (pochi, ma negativi per l’immagine della scuola) di palese negligenza o inadeguatezza. I dirigenti scolastici infine andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti”.
Ai firmatari di questo appello, (a Giorgio Allulli e Remo Bodei, a Gian Luigi Beccaria e Piero Craveri, a Giorgio De Rienzo e Giulio Ferroni, a Ernesto Galli della Loggia, Sergio Givone, Giorgio Israel, Mario Pirani, Lucio Russo, Giovanni Sartori, Aldo Schiavone, Sebastiano Vassalli, Salvatore Veca) voglio rivolgermi chiedendo loro aiuto.
Sono convinta che invertire la tendenza al degrado della scuola richieda un grande sforzo nazionale alla quale è chiamato il Parlamento, sono chiamate nelle loro definite responsabilità le parti sociali, è partecipe il mondo della cultura, i giovani e le loro famiglie.
Ho bisogno, abbiamo bisogno di una grande “alleanza per la scuola” che restituisca al Paese la parola speranza.
A chi ha sottoscritto quel documento, ai tanti che in queste settimane mi hanno dato utilissimi consigli, chiedo collaborazione".

giovedì 12 giugno 2008

PROGRAMMI O INDICAZIONI? PIU' VALUTAZIONE O PIU' CONTROLLI?

Rispettivamente su "Liberal" e su "Libero", Paolo Francini e Giorgio Israel approfondiscono temi essenziali su cui prendere decisioni chiare. Il primo, nell'articolo intitolato MA NON E' UN PAESE PER MANAGER, si schiera per più di una ragione a favore di un modello che garantisca una maggiore unitarietà di contenuti culturali da trasmettere alle nuove generazioni. Il secondo (L'OCCASIONE IRRIPETIBILE PER LIBERARE LA SCUOLA DAL DOMINIO DEL SINDACATO) sottolinea la necessità di controlli diretti seri e frequenti nelle scuole e ribadisce il suo scetticismo verso le "griglie di valutazione".
Francini
: http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+precedente&numart=IE02D&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1
Israel
:http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IDWN6&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

mercoledì 11 giugno 2008

LE PROPOSTE CHE ABBIAMO INVIATO AL MINISTRO GELMINI

Gentile Ministro,
sappiamo che sono in molti a scriverLe in questi giorni e non vorremmo risultare importuni. Tuttavia, avendo noi promosso, durante la campagna elettorale, una lettera aperta sulla necessità di incardinare la vita della scuola sui criteri di merito e responsabilità, firmata da noti studiosi e commentatori, ci è sembrato quasi doveroso indicare quali dovrebbero essere secondo noi alcuni passi concreti per passare dai princìpi ai fatti, ovviamente senza nessuna pretesa di completezza o di organicità.
Ci permettiamo di sottoporli alla Sua attenzione, accompagnandoli con un caloroso incoraggiamento a lavorare per una scuola seria e rigorosa, che sia messa in grado di porre riparo ai gravissimi guasti causati negli scorsi decenni da una deriva lassista e falsamente egualitaria. Si tratta, come ormai riconoscono in molti, di un’esigenza vitale per la nostra società.
Con molti auguri di buon lavoro,

Sergio Casprini,
docente di Storia dell’Arte

Andrea Ragazzini,
docente di Storia dell’Arte

Giorgio Ragazzini,
docente di Lettere
nella scuola media

Valerio Vagnoli,
Dirigente scolastico


SUL COMPORTAMENTO DEGLI ALLIEVI

Premessa. La necessità di ristabilire in tutte le scuole un clima di serietà, di impegno, di rispetto delle regole è la condizione preliminare di qualsiasi riforma della scuola. A questo proposito ci sembra indispensabile sottolineare quanto sia diffusa l’idea che la sanzione sia alternativa all’educazione. In una visione non distorta ideologicamente la sanzione è invece uno degli strumenti dell’educazione, in particolare sotto il profilo della prevenzione. Se un comportamento scorretto ha molte probabilità di venire punito, è più difficile che venga messo in atto.

Statuto degli studenti. Va riformata in modo più radicale di quanto abbia fatto (meritoriamente) il Ministro Fioroni la parte disciplinare dello Statuto degli studenti: va garantito il requisito educativo essenziale di una sanzione, cioè la tempestività. Oggi, per l’eccessivo garantismo dello Statuto, questo è possibile solo violando la legge.
Inoltre dovrebbe avere un maggior peso sull’ammissione all’anno successivo o agli esami una valutazione negativa in condotta. Attualmente la ripetenza per comportamento scorretto è prevista solo in casi gravissimi ( articolo 4 comma 9-bis: “nei casi di recidiva, di atti di violenza grave, o comunque connotati da una particolare gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale, ... la sanzione è costituita dall'allontanamento dalla comunità scolastica con l'esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del corso di studi”).

Scuola primaria
. È ormai indispensabile introdurre anche nella scuola primaria l’obbligo di un regolamento di disciplina con le relative sanzioni: crescere vuol dire anche imparare che chi si comporta male ne paga le conseguenze.

Riconoscimento del comportamento corretto
. Bisogna decidersi a valorizzare il comportamento corretto e l’impegno. Per le scuole superiori, ad esempio, proponiamo che all’interno del credito scolastico per l’Esame di Stato, sia riservato un punteggio premiale per il comportamento corretto: che cioè per ciascuno degli ultimi tre anni di corso 1 punto di credito scolastico venga assegnato ai candidati che abbiano conseguito un voto di condotta di almeno 9/10.

Assenze
. Una scuola seria deve chiedere ai suoi allievi anche una frequenza regolare. Attualmente un limite alle assenze esiste solo nella scuola secondaria di primo grado. Il decreto legislativo 59 del 2004 ha infatti introdotto il tetto di un quarto dell’orario complessivo, con possibilità di deroghe. In pratica una legalizzazione dell’assenteismo.
Proponiamo che in tutti i gradi dell’istruzione venga stabilito che l’anno scolastico non è valido se viene superato il 10% dei giorni ( o meglio delle ore) di assenza, cioè circa venti giorni, che sono già molti. Questo limite potrà essere superato (in misura da stabilirsi) esclusivamente per certificati motivi di salute.

Giustificazioni dei maggiorenni
. Succede in non pochi istituti che gli studenti che hanno compiuto diciotto anni entrano ed escono (magari in occasione di un compito) a loro piacimento, approfittando della facoltà di giustificare le proprie assenze. A noi sembra evidente che, almeno fino a quando i figli vivono in famiglia a carico dei genitori, a questi ultimi debba essere riconosciuto il diritto-dovere di vigilare anche sulla frequenza dei figli a scuola. Bisogna quindi estendere anche ai maggiorenni l'obbligo di firma o almeno di controfirma del padre o della madre sulle giustificazioni delle assenze.

DOCENTI
Accesso alla professione
. Il merito deve essere un punto di riferimento essenziale nell’accesso alla professione (studi e reclutamento). Prima ancora di valorizzare le eccellenze, bisogna che il sistema funzioni bene sotto questo profilo e non immetta nella professione persone impreparate o inadatte dal punto di vista attitudinale.

Demerito
. L’esperienza ci dice che la maggioranza dei docenti già in servizio è seria e preparata e ha solo bisogno di essere sostenuta e valorizzata. Tuttavia rimane indispensabile eliminare le eccessive tutele che impediscono di intervenire tempestivamente nei confronti di chi non faccia il proprio dovere (ciò vale ovviamente anche per il personale non docente) o si riveli palesemente inadeguato.
Nuove figure professionali
.
Le scuole hanno bisogno di nuove figure per poter funzionare in regime di autonomia. È un’occasione per creare nuove articolazioni della funzione docente, valorizzando così talenti ulteriori rispetto all’insegnamento. Progettazione di curricoli, aggiornamento e ricerca, tirocinio per i nuovi docenti, servizi alla didattica: oggi questi compiti o vengono svolti – spesso alla bene meglio – da insegnanti volonterosi per poche lire o vengono del tutto trascurati.
Libertà metodologica. In questi ultimi decenni la scuola italiana è stata sottoposta alla deleteria influenza di un ceto di pedagogisti e pseudo-esperti di didattica, che si sono fatti portatori di dogmi calati dall’alto, con il solo risultato di avvilire la gran parte dei docenti, regolarmente trattati come incompetenti da rieducare. È quindi di fondamentale importanza che Lei ribadisca la libertà e la responsabilità del docente nelle sue scelte metodologiche, già sancita nel regolamento dell’autonomia, mettendo definitivamente fine ai tentativi diretti e indiretti di imporre ortodossie metodologiche di Stato. Nella scuola devono ricominciare a circolare il buon senso e il valore dell’esperienza. Il metodo migliore è quello che funziona.

Aggiornamento
. Al posto dell’aggiornamento calato dall’alto, che in molti ha prodotto il rifiuto di ogni aggiornamento di carattere non individuale, deve essere stimolata la creazione da parte delle scuole di un ambiente professionale in cui si possano comunicare e discutere, con metodo seminariale, esperienze positive, difficoltà, proposte, senza prevedere obbligatoriamente la presenza di esperti. Oltre ai temi di carattere disciplinare e metodologico, dovrebbe essere dato particolare rilievo al profilo educativo del rapporto docente-allievo.

Linguaggio.
Ormai da molti da anni si è largamente diffusa una sorta di peste linguistica, il didattichese o pedagogese, che ha reso illeggibile quasi ogni libro, articolo, testo ( a cominciare da quelli ministeriali) che tratti di scuola. Ecco un esempio: “In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi...”(dalle recenti Indicazioni per il curricolo). È una deriva che va combattuta con ogni mezzo, a favore di un italiano chiaro ed essenziale, capace di comunicare esperienze e riflessioni in modo semplice e diretto.
Valutazioni di fine anno
. Bisogna far sì che le valutazioni di fine anno, nel rispetto della libertà di insegnamento, vengano formulate basandosi sugli effettivi risultati conseguiti dai singoli allievi e seguendo rigorosi criteri di equità e di merito, senza obbedire alle tante pseudomotivazioni di carattere psicologico e sociale messe in giro dalla cultura del buonismo.

ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE
Nei primi anni delle scuole superiori si verifica, com’è noto, un altissimo numero di abbandoni e di bocciature. Si tratta in molti casi di ragazzi che si gioverebbero moltissimo di una seria e qualificata formazione professionale, impostata sull’operatività e anche sull’alternanza scuola-lavoro. La sua mancanza viene tra l’altro lamentata anche da molti settori del sistema produttivo.
Nuove possibilità di soddisfacenti percorsi scolastici potrebbero essere assicurate anche da una riforma dei curricoli degli istituti professionali, il cui carattere para-liceale è certamente tra le cause dell'elevato numero di abbandoni (circa il 25%). Si dovrebbe ridimensionare il numero di materie, in modo da rendere meno faticoso e frammentato l’iter formativo, ma oltre a diminuire le ore di scuola complessive, è indispensabile aumentare il numero di quelle dedicate ai laboratori d'indirizzo, favorendo così quegli allievi che hanno difficoltà ad integrarsi in percorsi scolastici tradizionali.

CURRICOLI / PROGRAMMI
Criteri per la loro redazione


1. Gran parte dei docenti ritiene essenziale che siano indicati con chiarezza per ogni materia gli obbiettivi e gli argomenti fondamentali, quelli che dovrebbero fare parte del bagaglio culturale di ogni cittadino italiano, lasciando alle scuole e ai singoli docenti la responsabilità di integrarle secondo quote prefissate. Dovrebbe essere cioè riconosciuta la loro natura di “programmi”, a cui si affiancherebbe un certo numero di “indicazioni” per la loro integrazione a livello regionale o di istituto. Questo per garantire una certa omogeneità nella formazione di base delle nuove generazioni, accanto al riconoscimento delle esigenze (reali, però) delle regioni, delle scuole e delle realtà economiche con cui esse si trovano in contatto.
2. Molti considerano inutile o addirittura dannosa la moltiplicazione di concetti scarsamente distinti tra loro, quali abilità, competenze, obbiettivi specifici di apprendimento, eccetera; e d’altra parte ci consta che i pedagogisti non si sono ancora accordati né sulla definizione né sulla valutazione delle competenze, per fare un esempio.
Si sente l’esigenza di una semplificazione terminologica, magari ricorrendo al termine generico di obbiettivi di apprendimento: alcuni indicheranno conoscenze, altri abilità o competenze. Poco importa se il risultato potrà non essere giudicato "pedagogicamente corretto" da qualcuno.
3. Bisogna abolire le inutili, verbosissime e illeggibili (e infatti non lette dai più) parti introduttive di “filosofia dell’educazione”.
4. Quanto al linguaggio, la stesura definitiva dovrà essere improntata a criteri di essenzialità, semplicità e chiarezza. Un testo breve e comprensibile, accessibile anche alle famiglie e, almeno entro certi limiti di età, agli studenti.


L'AUDIZIONE DEL MINISTRO GELMINI alla Commissione Cultura della Camera

Ieri mattina si è svolta alla Camera, nella commissione Cultura, l'audizione del Ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini, che ha esposto le sue linee programmatiche. I giornali di oggi ne danno ampiamente conto.
Da apprezzare particolarmente il fatto che il Ministro verso la fine del suo discorso abbia letto quasi integralmente proprio la Lettera aperta Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità, dichiarando di farla propria e chiedendo aiuto e collaborazione ai sedici firmatari. Per chi volesse rileggerla: http://gruppodifirenze.blogspot.com/2008/03/scuola-un-partito-trasversale-del_19.html. Per ascoltare l'audizione del Ministro: http://www.radioradicale.it/scheda/255769/commissione-cultura-scienza-e-istruzione-della-camera.
Tra le varie sintesi prendiamo quella di Giulio Benedetti sul "Corriere della Sera": GELMINI:STIPENDI PIU' ALTI AI PROFESSORI (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=IDHOF&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1). Dallo stesso quotidiano un articolo di Lorenzo Salvia, che fa capire quanto chiare siano le idee nel campo della valutazione, di cui tutti parlano: E SUI CRITERI DI VALUTAZIONE TUTTI DIVISI (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IDHPC&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1).
Utile anche la sintesi-commento di Andrea Ricciardi sul "Riformista": STIPENDI DA FAME E FAME DI SCUOLA (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IDJ68&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1). Sul "Mattino" Paolo Pombeni, in NON C'E' SVOLTA SENZA MERITO (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=IDJT8&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1), parla tra l'altro di serietà dello studio come "premessa per ritrovare la serietà della vita".

LA SCUOLA DICE ADDIO AL '68 di Giovanni Belardelli

("Il Corriere della Sera")
In Italia sono probabilmente troppe le cose che non dovrebbero dipendere da un responso della magistratura, eppure ne dipendono. Così, è appena accaduto che una decisione del Consiglio di Stato, respingendo un ricorso dei Cobas contro l'obbligatorietà del recupero dei debiti formativi disposta dall'allora ministro Fioroni, abbia indirettamente confermato una svolta importante nella nostra politica scolastica. Sulla decisione di rendere finalmente obbligatorio il recupero dei debiti scolastici stavano addensandosi da qualche tempo dubbi e perplessità più o meno strumentali, che lasciavano temere che tutto potesse restare come prima. Ma sembra ormai che così, appunto, non sarà, visto che il neoministro Mariastella Gelmini, confortata anche dalla decisione del Consiglio di Stato, ha dichiarato di volersi muovere nella direzione, intrapresa dal suo predecessore, di un ripristino della serietà (e dunque di un minimo di severità) nello studio. Ci verrà perciò risparmiato l'ulteriore spettacolo di una scuola che per anni ha preteso di svolgere una funzione educativa insegnando contemporaneamente alle nuove generazioni che i debiti formativi, cioè null'altro che le proprie lacune di preparazione, si possono pure non sanare, che, se si vuole, si può non sentirsi responsabili per ciò che a scuola si è o non si è fatto. Ripristinare il principio banale che a scuola, guarda un po', si deve studiare, che le insufficienze non possono essere accettabili oltre un certo limite di tempo, ebbene questo, se confermato, segnerebbe davvero una rivoluzione di portata eguale e contraria rispetto a quella — insieme antimeritocratica e antiselettiva — che venne veicolata quarant'anni fa (non solo in Italia, ma specialmente in Italia dove la cultura del merito è stata sempre assai debole) dai movimenti del Sessantotto. Attraverso la contestazione di una scuola e di una università per molti versi effettivamente autoritarie, attraverso richieste come il voto collettivo o la facoltà d'essere interrogati solo su argomenti scelti dallo studente, si affermò allora l'idea di una sostanziale illegittimità di tutto ciò che avesse a che fare con la valutazione individuale e la selezione. Ogni differenza nel merito diventò sinonimo di discriminazione sociale, come tale dunque inaccettabile. Si trattò di una vera e propria catastrofe culturale, che coincise per una buona misura con una trasformazione che allora si verificò nei ranghi della sinistra italiana. Da tempo nella cultura del Partito comunista si era affermata un'idea dello studio come fatica e impegno individuali: ogni buon militante doveva avere come modello Antonio Gramsci che nel carcere fascista, in condizioni di salute drammatiche, si era dedicato a una intensa attività di studio; doveva avere come modello quanti, inviati da Mussolini al confino, vi avevano organizzato corsi e scuole di livello universitario (uno dei primi libri sulla politica economica del fascismo, «Il capitale finanziario in Italia» di Pietro Grifone, poi pubblicato da Einaudi, era nato dalle dispense scritte per i confinati politici di Ventotene). Quella cultura, che avrà avuto mille difetti ma non quello di considerare come una specie di «diritto» la conservazione dei propri debiti formativi (cioè della propria ignoranza), finì però per entrare in crisi di fronte alla contestazione studentesca, portatrice di valori sostanzialmente antimeritocratici. Si affermò così quel «sessantottismo » come cultura diffusa, come nuovo senso comune, che doveva segnare sempre più la sinistra italiana e soprattutto molti degli insegnanti che mano a mano si sarebbero trovati a rinnovare il corpo docente del Paese. Ancora oggi un tale disastroso modo di pensare (di molti insegnanti, ma per fortuna ancora non di tutti) emerge nelle parole con le quali i Cobas hanno denunciato il pericolo che si possa affermare la «tendenza a bocciare alunni con più di due debiti gravi, con incremento notevole dell'abbandono scolastico». Quasi che il fine primario della scuola superiore non stia nel contrastare l'ignoranza degli studenti italiani (elevatissima, secondo tutte le statistiche internazionali) ma, appunto, l'abbandono scolastico. Quarant'anni dopo, è da augurarsi che il lungo Sessantotto italiano sia davvero prossimo alla fine.

TEST DI GRADIMENTO? LA SCUOLA NON E' UN DISCOUNT di Giorgio Israel

("Libero")
Nulla da eccepire contro una gestione efficiente e "manageriale" delle scuole pur di aver chiari i limiti entro cui ciò ha senso. Entro tali limiti si possono anche accettare i test di "customer satisfaction" vantati su Libero dallo stimatissimo preside Mario Rusconi.
Possono esser utili se si tratta di sondare i pareri di studenti e famiglie circa le strutture scolastiche (aule, gabinetti), l'efficienza dell'amministrazione e l'organizzazione delle gite scolastiche o delle altre (sempre troppe) iniziative "culturali" annesse ai POF (piani di offerta formativa). Ma sul resto - che poi rappresenta la vera sostanza della funzione della scuola la "customer satisfaction" non dovrebbe neppure mettere il naso. La "customer satisfaction" in un supermercato è definita abbastanza bene da quella nozione che gli economisti chiamano "massimizzazione dell'utilità": è ottenere il prodotto migliore e più desiderato al minimo costo. A scuola ciò si traduce nell'ottenere il massimo voto e la promozione con il minimo sforzo. Anche uno sprovveduto dovrebbe capire che la cosa non funziona affatto, per il semplice motivo che la cultura e la conoscenza non sono prodotti e servizi e nell'istruzione l'inte resse sociale e nazionale deve imporsi sugli interessi specifici. Chiunque - singoli o gruppi - si limiti a difendere il proprio particolare non ha alcun vantaggio ad accettare questo fatto, al contrario; e la debolezza di chi governa (a tutti i livelli) ha come effetto il cedimento alla pressione degli interessi particolari. Pertanto, la "customer satisfaction" applicata non ai gabinetti ma alla conoscenza è fonte di colossale inefficienza e di degrado.
Gli esempi sono innumerevoli. Laurearsi in tempo è qualcosa che soddisfa tutti: governanti e "utenti" (termine che occorrerebbe proscrivere quando si parla di educazione). Ma per ottenere questo risultato basta abbassare il livello dell'istruzione. Come ha osservato Angelo Panebianco, coloro che si ostinano a lodare la riforma universitaria del "3+2" (laurea triennale e specialistica) ripetono che ora ci si laurea in minor tempo rispetto a prima: ma ciò accade al costo di «un drammatico abbassamento della qualità" di «una corsa a distribuire lauree triennali anche a gente impreparata». Quando poi questo sfacelo viene testimoniato da sondaggi e statistiche: invece di porsi il problema di "cosa" s'insegna, tutti si affannano ad architettare nuove riorganizzazioni dell'apparato ostinandosi sulla linea della soddisfazione dell'utente e del rispetto di parametri quantitativi. C'è chi se la prende con la pedagogia "tradizionale" che ammaestra i ragazzi a presentarsi come "persone a modo"; come se fosse un male e come se questa pedagogia esistesse ancora, visto che da un trentennio vige il pensiero unico della pedagogia progressista di stato. C'è chi propone di abolire l'ora di lezione e di trasformare ogni scuola in una "comunità educante", in cui un gruppo si raccoglie a parlare di storia, un altro discute dell'impatto antropico sulla biosfera e un altro fa matematica creativa; sul modello del paese dei balocchi di Collodi, in cui «chi passeggiava vestito da generale coll'elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta, chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l'ovo». Questi sono i rimedi che ci vengono proposti, ma di contenuti non parla mai nessuno, per il semplice motivo che ciò condurrebbe a individuare obiettivi imprescindibili indipendenti dalla "customer satisfaction" e ciò urterebbe assai i gruppi d'interesse.
In un recente intervento a favore della "bocciatura" del latino, il presidente di TreElle Attilio Oliva ha osservato che l'obbligatorietà del latino ne fa una delle materie meno amate («snobbata e rifiutata») e che presenta un primato nei debiti formativi. Meglio quindi renderla facoltativa. Con questo ragionamento occorrerebbe rendere facoltativa anche la matematica, essendo di certo una delle materie meno amate, snobbata, rifiutata, anzi detestata... Si dirà che ciò è impensabile in una società moderna. Appunto. Discutiamo allora di cosa sia essenziale per una formazione seria lasciando da parte la "customer satisfaction" e i gusti dell'"utenza".
Un'altra questione delicatissima è quella dell'autonomia, che è in linea di principio un'esigenza sacrosanta, a patto di pensarla in modo razionale e responsabile, tale da non produrre risultati come l'attuale libanizzazione dell'università in 5434 corsi di laurea. A me pare che l'assunzione diretta dei docenti da parte di università e istituti scolastici sia una prospettiva ragionevole a condizione che questa venga fatta all'interno di liste nazionali di idonei risultanti da seri e rigorosi processi di selezione. Si resta invece sconcertati di fronte a proposte che prevedono una carriera dei docenti tutta interna all'istituto. Chiunque capisce che un istituto gestito seriamente potrà anche conseguire livelli di eccellenza, mentre un istituto gestito con criteri poco trasparenti potrà diventare luogo di assunzioni clientelari o famigliari. E non si venga a dire che la concorrenza renderà giustizia ai migliori, perché l'istituto peggiore sarà anche quello che regala voti e promozioni e, offrendo il massimo di soddisfazione all'utente, vedrà le folle assiepate alle sue porte.
Né basta dire che a ciò si porrà rimedio con un processo di valutazione. La valutazione ci vuole, a condizione che sia seria e condotta con criteri qualitativi, ovvero di sostanza. Se invece si tratta dei processi di valutazione proposti dai "docimologi", allora è da attendersi il disastro finale: ci si prospettano baracconi di centinaia di specialisti che valutano lo stato dell'istruzione dai loro terminali sulla base della "somministrazione" di test improbabili, dalle risposte improbabili e stimati in base a teorie improbabili (se non talora francamente improponibili), le quali sono al disopra di ogni valutazione.
Queste tendenze hanno al centro lo svilimento del ruolo del docente e il disinteresse totale per i contenuti dell'insegnamento a favore dell'ossessione per le procedure. Esse emergono anche nelle proposte di sostituire i consigli d'istituto con consigli di amministrazione composti da docenti, amministrativi, ausiliari, famiglie e, al solito, "esperti" esterni. Insomma, una maggioranza di incompetenti con l'aggiunta dei soliti "esperti scolastici", ovvero di quei personaggi che non sanno cosa sia il teorema di Pitagora ma hanno la pretesa di dettar legge su come si deve insegnare. È il momento di lasciar da parte gli interventi di ingegneria istituzionale su una struttura esausta, e di parlare seriamente di contenuti. E occorre che lo faccia chi ha i titoli per farlo, in primo luogo gli insegnanti, che dovrebbero riassumere fino in fondo con gli onori ed oneri relativi - il ruolo di maestri e di educatori, piuttosto che quello di pedine del gioco del piccolo manager.

lunedì 9 giugno 2008

BULLI E PUPI: L'INFANTILISMO ONNIPOTENTE PRODOTTO DALL'EDUCAZIONE "ANTI-AUTORITARIA"

Due articoli su bullismo e dintorni: un commento di Michele Serra su "Repubblica" ai saturnalia di fine anno scolastico (SE LA VIOLENZA DIVENTA NORMALE http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=ICR05&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1) e un articolo sul "Tempo" che dà conto di una ricerca del centro studi dell'Associazione matrimonialisti: RAGAZZI BULLI E VIOLENTI PER COLPA DEI DIVORZI (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=ICQGZ&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1). Nell'analisi degli avvocati matrimonialisti non convince il riferimento alla litigiosità e alla strumentalizzazione dei figli come spiegazione del bullismo, per quanto possa farne parte. C'è un fenomeno più generale, già denunciato dieci anni fa dalla psicoterapeuta Giuliana Ukmar in Se mi vuoi bene dimmi di NO, che è quello dei ragazzi cresciuti senza regole e limiti e diventati per questo piccoli tiranni "onnipotenti" e infelici. Spesso la separazione, con i sensi di colpa che ne seguono, agisce nel senso di incentivare i comportamenti permissivi, soprattutto nei padri, quelli che in genere hanno meno tempo per vederli e sono portati a pensare che accontentare i figli in tutto sia un mezzo per ottenerne l'affetto. L'esperienza dimostra che non è affatto così.

domenica 8 giugno 2008

IL BULLISMO E L'EDUCAZIONE CIVICA di Sergio Casprini

("L'Occidentale", 8 giugno 2008)
Il ministro Gelmini ha colto l’occasione di un convegno a Palermo la settimana scorsa per esprimere per la prima volta una sua valutazione da ministro della Pubblica istruzione sui problemi della scuola ed in particolare sulla questione del bullismo giovanile, di cui quotidianamente i giornali riportano le imprese fuori e dentro la scuola.
Il ministro ha proposto di reintrodurre come materia obbligatoria l’Educazione Civica in tutti gli ordinamenti scolastici e non posso nascondere la mia delusione per una proposta nata vecchia che non esce dal solco di iniziative già prese dai ministri precedenti, velleitarie e non adeguate alla crisi attuale della nostra scuola.
Infatti da anni, quando esplode un’emergenza nazionale, alla scuola viene subito affidato un compito salvifico. Ci sono le stragi del sabato sera: ecco a scuola l’Educazione Stradale; ai delitti di Mafia e Camorra si risponde invece con l’Educazione alla Legalità; contro l’anoressia e la bulimia è necessaria l’Educazione Alimentare, per finire con l’Educazione Sessuale per prevenire stupri e violenze contro le donne. La scuola italiana sembra diventata un oratorio, in cui, al posto della trasmissione della cultura, gli allievi si debbono sorbire sermoni (in genere inutili) sul modo corretto di vivere nella nostra società. Il Ministro inoltre fa confusione tra l’Educazione Civica, che esiste già come materia complementare delle discipline storiche, come studio delle leggi e dell’organizzazione di uno stato moderno, e un’Educazione finalizzata all’acquisizione di un comportamento corretto.
Vogliamo che le scuole contribuiscano a formare cittadini responsabili? Più che aggiungere materie o “educazioni”, è decisivo che la scuola non transiga sul rispetto delle proprie regole interne, quelle che ogni persona di buon senso sa riconoscere come necessarie perché si possa svolgere l'attività didattica; insomma, quella che dai tempi di Pinocchio si chiama la “condotta”. E tanto meno deve transigere nei casi più gravi.
Ma a mio avviso è importante anche riscoprire il valore formativo delle discipline di studio. Per esempio le materie dell’area umanistica (italiano, storia, filosofia, diritto…), con il riferimento costante alla realtà del passato o del presente, mettono in luce i nessi tra produzione culturale e norme ed istituzioni che la società storicamente si dà. Ma direi che tutte le materie, anche quelle scientifiche, educano al rispetto delle regole, nella misura in cui esercitano alla disciplina dello studio con le scadenze periodiche dei compiti e delle interrogazioni e con la necessaria “sanzione” del voto sulla correttezza e la continuità dell’impegno scolastico degli allievi.

giovedì 5 giugno 2008

BASTA SOFISMI, LASCIATECI EDUCARE di Giorgio Ragazzini

Premi e sanzioni fin dalle elementari: le fumisterie sociologiche minano l'autorevolezza dei docenti. Più crediti per la buona condotta, no all'assenteismo e ai "6 politici".

("Liberal")
Caro Ministro,
durante la campagna elettorale un gruppo di autorevoli studiosi e commentatori indirizzò ai partiti e ai candidati una lettera aperta per chiedere che la vita della scuola si fondi sui valori del merito e della responsabilità. Avendo contribuito a promuovere quella lettera con i colleghi del Gruppo di Firenze, mi sembra doveroso cercare di indicare alcuni possibili provvedimenti per passare dai princìpi ai fatti, senza nessuna pretesa di completezza o di organicità.
Negli ultimi tempi sembra farsi strada la convinzione che sia necessario ristabilire nelle scuole un clima di serietà, di impegno, di rispetto delle regole. E questo vale per tutti i protagonisti dell’ “impresa” istruzione: dirigenti, docenti, allievi. Ma è ancora diffusa l’idea, specie quando si parla di ragazzi, che la sanzione sia una sconfitta dell’educazione, quando invece essa costituisce uno dei suoi strumenti, a volte indispensabile per far interiorizzare le regole e prevenire ulteriori mancanze.
È per questo che lo Statuto degli studenti va riformato più radicalmente di quanto abbia fatto – meritoriamente – il Ministro Fioroni, soprattutto per garantire un requisito essenziale di ogni sanzione: la tempestività. Oggi, per l’eccessivo garantismo dello Statuto, questo è possibile solo violando la legge. Gli insegnanti devono essere considerati educatori con tanto di autorità e responsabilità, non come potenziali nemici da tenere a bada con vincoli e pastoie.
Dobbiamo anche fare in modo che la condotta abbia un peso nella valutazione complessiva di ogni studente. E oltre a scoraggiare i comportamenti scorretti, andrebbe finalmente dato un riconoscimento a chi si comporta bene e si impegna. Basta con l’ironica e sussiegosa svalutazione dei ragazzi educati, quelli che spesso subiscono il clima imposto da compagni scorretti che una scuola troppo “comprensiva” non intende punire. E allora, Ministro, Lei potrebbe introdurre un’innovazione fortemente simbolica: stabilire che all’interno del credito scolastico per l’esame di Stato sia riservato un punteggio premiale per il comportamento corretto: che cioè per ciascuno degli ultimi tre anni di corso 1 punto venga assegnato ai candidati che abbiano meritato un voto di condotta di almeno 9/10.
Ancora: la necessità di stabilire regole e limiti non comincia in prima media e neppure i comportamenti inaccettabili. È ormai tempo di introdurre anche nella scuola primaria un regolamento di disciplina con le relative sanzioni. Non è educativo che un bambino possa dire alla maestra che lo rimprovera: “Tanto non mi puoi fare nulla!”
Ma una scuola seria deve anche esigere una frequenza regolare. Un limite alle assenze esiste solo nella scuola secondaria di primo grado; ma è una vera e propria legalizzazione dell’assenteismo. Il decreto legislativo 59 del 2004 ha introdotto infatti il tetto di un quarto dell’orario complessivo: oltre cinquanta giorni, con possibilità di deroghe! Stabiliamo che in qualsiasi grado di istruzione non si possa stare assenti per oltre il 10% dei giorni (o delle ore) previsti dal calendario affinché l’anno sia valido. Un limite superabile in via eccezionale esclusivamente per documentati motivi di salute.
Da molte parti poi si lamenta la mancanza di un valido sistema di valutazione dei docenti. Nell’attesa, però, non c’è bisogno di sofisticate osservazioni per individuare i casi di evidente inadeguatezza o di clamorosa inadempienza, come quello del professore assenteista reso noto da Pietro Ichino. Vogliamo dare ai dirigenti gli strumenti adeguati per risolverli in tempi brevi? La maggioranza dei colleghi è seria e impegnata, ma l’iper-tutela di chi demerita gravemente lede l’immagine di tutta la categoria.
Una responsabilità particolarmente delicata è quella che compete ai docenti in questa fase dell’anno scolastico: la valutazione finale degli allievi. Nel rispetto della libertà di insegnamento, bisogna fare in modo che tali valutazioni vengano sempre formulate basandosi sugli effettivi risultati conseguiti dagli studenti e seguendo criteri di equità e di merito. Troppe volte i 4 diventano 6 in nome di pseudo-motivazioni psicologiche e sociali.
Mi permetto infine di sottoporle con franchezza la questione di chi contribuisce a elaborare le politiche scolastiche. Da alcuni commentatori è stata denunciata – a mio avviso correttamente – l’influenza negativa di un “monopensiero” pedagogico che ha egemonizzato le scelte delle commissioni ministeriali. Per quanto riguarda in particolare la didattica, negli scorsi decenni questi pedagogisti, anziché indicare ai docenti una varietà di possibili opzioni, si sono fatti banditori di dogmi pedagogici e didattici, con il risultato di demotivare la gran parte dei docenti, regolarmente trattati non come professionisti, ma come incompetenti da rieducare. È quindi fondamentale che Lei ribadisca la libertà e la responsabilità del docente nelle sue scelte di metodo, mettendo fine ai tentativi diretti e indiretti di imporre una didattica di Stato. Nella scuola devono ricominciare a circolare il buon senso e il valore dell’esperienza; il metodo migliore è quello che funziona. E di conseguenza, in luogo dell’aggiornamento calato dall’alto, che in molti ha prodotto il rifiuto di ogni aggiornamento, deve essere favorita la creazione di un ambiente professionale in cui si possano comunicare e discutere, con metodo seminariale, esperienze positive, difficoltà, proposte.
Ma le responsabilità degli studiosi (con le dovute eccezioni) non finiscono qui. Ormai da molti anni si è largamente diffusa la peste linguistica del didattichese, che ha reso illeggibile quasi ogni libro, articolo, circolare che tratti di scuola. Ecco un’altra leva del rinnovamento: un italiano chiaro ed essenziale, capace di informare e spiegare in modo semplice e diretto. Cominciamo dai curricoli, rendendoli così accessibili alle famiglie e agli stessi ragazzi.
Con un cordiale “buon lavoro”,
Giorgio Ragazzini

SEGNALIAMO:

LA DITTATURA DEGLI ESPERTI dal blog di Giorgio Israel (http://gisrael.blogspot.com/) pubblicato anche su "Tempi" con il titolo Poveri bambini, in balìa di “esperti” che non sanno quello che fanno.
L'ISTITUTO FANTASMA CHE VALUTA LA SCUOLA di Sergio Rizzo, sull'Invalsi, ovvero l'istituto che sarebbe deputato alla valutazione del sistema istruzione (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IBCG4&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1) dal "Corriere della Sera".
UNA RIFORMA DI UN SOLO ARTICOLO PER UNA REALE PARITA' ("Il Giornale") sul tema caro ai liberali del centrodestra e su cui prima o poi dovremo dire qualcosa anche su questo blog: l'idea di un sistema pubblico fatto da scuole statali e da scuole private tra cui poter scegliere.
http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IB8UZ&tipcod=0&numpag=1&maxpag=2&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1
SCUOLA, E' GIUSTO TORNARE AGLI ESAMI DI RIPARAZIONE? Un gruppo di lettere pubblicate su "Liberal": http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+precedente&numart=IBGXR&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

mercoledì 4 giugno 2008

LATINORUM PRO E CONTRO di Roberto Beretta

http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IB7R2&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1

Comincia il dibattito sulla (malissimo argomentata) proposta dell'Associazione Treellle. Nell'articolo di contrappunto, sempre di Beretta, si schiera per il latino Tullio De Mauro.
Piccola nota benaltrista: è proprio di questa discussione che la scuola ha bisogno in questo momento?


LA DIFESA: MA SUDARE SU TACITO FA MATURARE I BAMBOCCIONI