mercoledì 22 maggio 2019

UN SINDACO EDUCATORE PER FAR CRESCERE IL SENSO CIVICO IN CITTÀ


Dovrebbe essere ovvio che il rispetto dei propri doveri da parte di ogni cittadino è essenziale per la vita di una comunità. Come scrive Luciano Violante nel suo bel libro Il dovere di avere dei doveri, «i diritti hanno bisogno dei doveri per vivere; quando si offusca la categoria dei doveri, l’unità politica si disarticola, prevale l’egoismo degli individui, la democrazia si sfalda». Com’è noto, però, i doveri sono scomparsi dal discorso pubblico.
In ambito educativo fanno capolino di rado e devono sfidare le convinzioni pedagogiche che li associano, se va bene, alle caserme. Non sorprende, quindi, che nella campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione fiorentina manchi qualsiasi riferimento a quel «senso civico» la cui carenza distingue l’Italia da gran parte delle nazioni europee. I politici in genere lo considerano un tema che fa perdere consenso. Ma siamo sicuri che un richiamo al
civismo e al senso di responsabilità non sarebbe un buon investimento anche elettorale? Ci sono tanti cittadini corretti, probabilmente la maggioranza, che con i loro comportamenti assicurano a Firenze, per fare un esempio, un accettabile livello di decoro urbano. Verso questo genere di persone un Comune silenzioso sui vari doveri civici — e negligente nel punire chi sgarra — si comporta un po’ da parassita della loro correttezza. Viceversa, un sindaco che si schieri apertamente con i cittadini perbene e agisca con fermezza non può che guadagnarci in popolarità. Il livello di civismo di una comunità è anche il frutto dell’atmosfera sociale in materia di valori e comportamenti. Ogni adulto deve essere consapevole di avere una responsabilità educativa da spendere in tante circostanze. Si può scommettere, per esempio, sul carattere contagioso del fermarsi davanti alle strisce per far attraversare un pedone e, da parte del pedone, ringraziare con un gesto chi si ferma; anche così si produce il senso di appartenere a una comunità. Ma particolarmente incisiva può essere la funzione educativa delle classi dirigenti e quella del sindaco in modo particolare, soprattutto per la sua competenza sui problemi della vita quotidiana. In vista dunque delle ormai prossime elezioni, sarebbe bene che tutti i candidati sindaci (Bocci, Bundu, De Blasi, Giacomelli, Di Giulio, Lasso, Nardella, Valleri, Watte) facessero sapere cosa intendono dire e fare per: - contrastare e sanzionare chi butta per terra cartacce, scontrini, bottiglie, bicchieri e involucri vari;
- far sì che i fumatori mettano le cicche in una scatolina invece di spargerle ovunque; - sanzionare la minoranza di persone che non raccoglie le cacche dei propri cani e introdurre l’obbligo di portare con sé una bottiglietta d’acqua per lavare il punto in cui il cane ha fatto pipì, sull’esempio di diversi comuni (tra cui Alessandria, Genova, Asti);
- individuare e multare chi imbratta i muri;
- difendere senza se e senza ma la quiete pubblica e in particolare il diritto non negoziabile al riposo, moltiplicando i controlli e la presenza dei vigili, riducendo gli orari e programmando per il futuro lo spostamento della movida in zone non residenziali;
- impedire ai ciclisti di andare contromano, sui marciapiedi e nelle zone pedonali (su questo era stata annunciata «tolleranza zero», ma non si è vista).
Infine: si impegnano a fare periodicamente un resoconto delle iniziative e degli interventi su queste materie e sulle altre che riguardano la convivenza civile?
Ci vorrà tempo, ma con tenacia e fermezza un sindaco «educatore» può contribuire a cambiare mentalità e atteggiamenti, facendo meglio attecchire lo spirito civico e il rispetto delle leggi.
Giorgio Ragazzini
“Corriere Fiorentino”, 22 maggio 2019

martedì 21 maggio 2019

LA POLITICA, LA CRITICA E IL RUOLO DELLA SCUOLA


Pochi giorni fa ha suscitato scalpore la sospensione dall’insegnamento per quindici giorni di una docente palermitana che non aveva corretto il contenuto di un video elaborato da suoi studenti. Nel video tra l’altro si equiparano le leggi razziali fasciste e il decreto sicurezza del ministro Salvini e si sosteneva l’analogia tra il rastrellamento e la deportazione degli ebrei romani nel ’43 e il ricollocamento di migranti dopo lo sgombero di un Centro di accoglienza. La durezza della misura disciplinare, spropositata e paradossale, ha colpito perfino il ministro dell’interno Salvini e quello della Pubblica istruzione Bussetti e ha fatto passare in secondo piano le pur evidenti responsabilità sul piano deontologico
della docente, che non ha corretto le sciocchezze dei suoi allievi durante la preparazione del video e neppure ne ha preso le distanze a lavoro ultimato. Ieri invece analogo scalpore ha suscitato il quadro di uno studente del liceo artistico Russoli di Pisa raffigurante il volto del ministro Salvini costruito unendo tra loro centinaia di microimmagini di barconi, di donne e di uomini scomparsi o a stento sopravvissuti al viaggio nel Mediterraneo. Il lavoro, come quello degli altri studenti che avevano frequentato il corso di potenziamento di arte contemporanea, è stato esposto in una Galleria d’arte esterna alla scuola e sarà il pubblico a giudicarne il valore artistico. Intanto la sindaca di Cascina, dove il liceo ha una sua succursale, lo ha giudicato severamente sul piano politico, ritenendolo un’opera vergognosa e un vero e proprio «falso ideologico» (sic). Esattamente il contrario pensa il critico d’arte Luca Nannipieri, suo ex assessore e anch’egli leghista, che difende pienamente il lavoro dei ragazzi e del loro docente. Siamo comunque certi che non mancheranno in futuro altre discussioni e altri scontri a proposito di quanto più o meno politicamente corretto uscirà dalle scuole, anche perché il dibattito politico è spesso alla ricerca di argomenti su cui strepitare: se l’occasione si presenta, guai a lasciarsela scappare! Indipendentemente da ciò, è veramente opportuno fare tutto il possibile per evitare che le scuole diventino occasione per conflitti e che nelle aule si faccia divulgazione ideologica. La scuola pubblica è per definizione di tutti e non può tornare a essere, come spesso avveniva negli anni ‘70 e ‘80, luogo di propaganda più o meno velata. Benissimo ha fatto la preside del Russoli a vietare che il mosaico su Salvini comparisse sul sito della scuola: pur trattandosi di un lavoro artistico e in quanto tale interpretabile da ciascuno secondo la propria sensibilità, credo sia stato giusto non istituzionalizzarla come espressione di una intera comunità scolastica anziché del solo studente che l’ha pensata e creata. Rispetto ai temi inerenti la politica e ad eventuali rapporti con i politici è bene che le scuole siano prudenti ed evitino che dalle loro aule escano proclami e certezze ideologiche. Si deve però accettare, anzi auspicare, che la scuola sia il luogo per eccellenza della critica, della formazione civile e democratica soprattutto attraverso la conoscenza del passato, del mondo contemporaneo e delle diverse opinioni degli studiosi. In questo senso, solo in questo, essa ricopre il nobile ruolo di educare i giovani alla politica. Senza infine dimenticare che li dovrà accompagnare e aiutare a rendere utili e fruttuose le loro occasioni di «democrazia diretta» come le assemblee: occasioni importantissime per abituarli a essere autonomi e a occuparsi di problemi attuali. Molte volte però prevale in loro la voglia di bruciare le esperienze, anche attraverso le abitudinarie occupazioni. Ben vengano invece dei ragazzi in grado di fare bei quadri e di organizzare delle belle mostre di arte contemporanea, stimolanti e creative.
Valerio Vagnoli
"Corriere Fiorentino", 21 maggio 2019

lunedì 20 maggio 2019

LIBERTÀ E DEONTOLOGIA NEL CASO DEL VIDEO DI PALERMO


È stato detto e scritto molto sul video di alcuni studenti di Palermo e sulla loro docente di storia sanzionata dall’Ufficio scolastico regionale. In prevalenza si sostiene che sono in gioco la libertà di insegnamento, la libertà di opinione e il pensiero critico.
In realtà l’episodio è segnato da un atteggiamento superficiale da parte dell'insegnante, che non ha guidato e corretto il lavoro dei suoi studenti, né se ne è dissociata ex post, nel caso che non lo conoscesse in tutti i particolari. Ne è venuto fuori un video fondato sull’omologazione tra le leggi razziali fasciste e il decreto sicurezza del ministro Salvini; e c’è persino l’equivalenza tra il rastrellamento e la deportazione degli ebrei romani nel ’43 e il ricollocamento dei migranti dopo lo sgombero di un Centro di accoglienza per i richiedenti asilo; affermazioni a dir poco imbarazzanti. Un lavoro, appunto, da ragazzi, superficiale e approssimativo come è spesso il loro lavoro se non è guidato e corretto.
Onestamente la collega ci sembra vittima soprattutto della perdurante assenza nella nostra scuola di una seria riflessione sulla deontologia professionale, che guidi gli insegnanti nelle numerose e delicate responsabilità a cui devono far fronte (e spesso si evita persino di ricordare loro quei doveri che già le leggi stabiliscono). Una responsabilità importante di un docente è quella di aiutare gli allievi a costruirsi un pensiero critico, che è l'esatto contrario della superficialità. E se non vengono aiutati in questa conquista diventeranno degli adulti presuntuosi e in realtà pronti a essere culturalmente e politicamente imboccati dal sentito dire o dalle panzane che leggono su facebook.
Molti di coloro che hanno preso le difese della docente hanno denunciato il mancato rispetto della libertà d'insegnamento. Ma le leggi della scuola fanno certamente salva la libertà dell'insegnante, purché attraverso quella si raggiungano i fini che l'intera normativa scolastica, a partire dalla Costituzione, ci impone. Pensare che ciascun docente possa fare quello che vuole (o non fare quello che deve) è una aberrazione che tuttavia resiste grazie al trionfo negli anni settanta e ottanta di una scuola fortemente politicizzata. La libertà di insegnamento come ogni libertà implica una corrispondente responsabilità e non può esonerare dal correggere le sciocchezze dei propri allievi. Né si può accettare che queste ultime siano difese in nome di un inattaccabile diritto alla libertà di opinione. La scuola non è un luogo come tanti in cui si esprimono pareri personali, ma quello in cui si impara a riflettere, discernere, contestualizzare, in modo da abituarsi a formarsi opinioni fondate e ben argomentate, che occorre correggere quando sono chiaramente insostenibili o tendenziose. Non farlo quando i propri allievi equiparano una pur contestatissima legge dei nostri tempi alle famigerate leggi razziali che portarono alla persecuzione degli ebrei e allo sterminio di migliaia di loro è gravemente sbagliato. Per di più con questo paragone si rischia di banalizzare proprio quel crimine e quella tragedia. Che qualcuno dica a questi ragazzi che le leggi razziali non avrebbero mai portato, come invece accade per il Decreto sicurezza, la firma del Presidente Mattarella.
Detto questo, non ci piace per nulla la severità della sanzione inflitta alla docente: quindici giorni di sospensione dal servizio. Una severità paradossale soprattutto se pensiamo a quanto sia solitamente latitante l'amministrazione scolastica (Usr, ma anche i Dirigenti scolastici) nei confronti di docenti che si macchiano di colpe molto, ma molto più gravi; e lo potrei dimostrare con un gran numero di esempi. L’episodio si sarebbe anche potuto risolvere con un serio e approfondito colloquio col preside e con un successivo ripensamento insieme ai ragazzi. Viene da sospettare che qualcuno abbia approfittato di quanto accaduto per portare acqua al mulino del potente di turno pensando che avrebbe gradito un intervento pesante. In ogni caso la scelta in questo senso ha finito con l'indignare, e non poco, gran parte dell'opinione pubblica. Lo hanno capito tanto il Ministro dell'istruzione quanto lo stesso Salvini, che sembrano addirittura dissociarsi dall'iniziativa presa dall'Ufficio scolastico regionale palermitano. Che si meriterebbe almeno un’ ispezione per indagare sulle attitudini e le competenze necessarie a svolgere il proprio ruolo.
Valerio Vagnoli

venerdì 10 maggio 2019

LA NOSTRA SCUOLA E L’EUROPA

 “Corriere Fiorentino”, 10 Maggio 2019
In questa scialba campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, in realtà quasi esclusivamente incentrata sui problemi di politica interna, c’è una totale indifferenza ai problemi della scuola. Il che non stupisce, visto come da tempo viene «governato» in Italia il sistema scolastico. Ma se la scuola rappresenta l’ istituzione fondamentale per la salvaguardia della lingua nazionale, della cultura e perfino dell’economia di ciascun Paese, l’Unione Europea non potrà fare passi avanti se priva di obiettivi comuni sul piano dell’istruzione. Proprio per questo nel lontano 2000 fu varata a Lisbona una vera e propria strategia per raggiungere entro il 2020 una serie di obiettivi anche in ambito scolastico. Tra questi primeggiava, vista la rapidità delle trasformazioni in tutti i settori, la necessità di un apprendimento per tutto l’arco dell’esistenza, in funzione della piena occupazione, ma anche delle competenze personali, civili e sociali fondamentali per l’acquisizione di una vera e propria «cittadinanza attiva».
Un modo intelligente di essere europei sarebbe quello di far tesoro di ciò che caratterizza in positivo ciascuna nazione. Dovremmo mostrare più attenzione verso altri Paesi in merito alla formazione e al reclutamento dei docenti. In Finlandia, tanto per fare un esempio, solo un aspirante su dieci diventa un insegnante (preparatissimo e rispettatissimo). A proposito della formazione professionale, ci si può ispirare, oltre al sistema tedesco in cui una parte della formazione tecnica e professionale si svolge in azienda, anche a quello di altri Paesi caratterizzati come il nostro da un’economia legata alle medie e piccole imprese. Per combattere l’insuccesso scolastico e rendere più equa e insieme più rigorosa la nostra scuola superiore, il Gruppo di Firenze, ispirandosi appunto all’esperienza di alcuni Paesi europei, ha proposto di basarla non più sul passaggio da una classe a quella seguente, ma sul superamento di corsi successivi nelle diverse materie. Dovremmo confrontarci con l’Europa anche sull’educazione degli adulti e l’orientamento scolastico, quest’ultimo da noi pressoché inesistente, con la conseguenza di molte scelte sbagliate, causa a loro volta di parecchie bocciature. A tale proposito mi preme ricordare come, pochi anni fa, in Toscana venne finalmente firmato un accordo tra l’Ufficio scolastico regionale, la Regione stessa, le Università e le Associazioni di categoria per mettere a regime iniziative di orientamento in tutti gli ordini di scuola.
Dopo la firma dell’accordo e dopo una iniziale formazione a tappeto dei dirigenti scolastici dell’intera regione, fu sufficiente il cambiamento di un direttore scolastico regionale perché tutto passasse nel dimenticatoio. Anche sull’inserimento nella scuola dei ragazzi stranieri c’è molto da apprendere. Praticamente tutti i paesi europei prevedono una varietà di sistemi per far imparare la lingua ai ragazzi stranieri, compresi periodi più o meno lunghi dedicati esclusivamente a questo. Noi non ce li abbiamo, perché prevale la retorica dell’inclusione in classe subito, così spesso l’inclusione diventa solo di facciata. Alcuni aspetti del Programma di Lisbona per fortuna stanno offrendo dei risultati postivi, a partire dai progetti Erasmus che incentivano la mobilità transnazionale dei giovani. Inoltre è stato adottato un sistema di condivisione e certificazione delle competenze in fatto di istruzione e formazione (compresi i diplomi universitari) spendibile in tutti i paesi della comunità. Viene inoltre effettuato un periodico monitoraggio sulle performance di ciascun paese, che vede purtroppo l’Italia in tutti questi settori all’ultimo posto in Europa. Che sia per questo che è meglio non parlarne in campagna elettorale?
Valerio Vagnoli

martedì 7 maggio 2019

PUÒ EDUCARE LA SCUOLA CHE NON PUÒ PUNIRE?


“Primo non punire” è sempre più il principale comandamento della scuola italiana, in cui il condono educativo permanente, come lo ha definito lo psicologo Paolo Crepet, fa da perfetto pendant a quelli che da decenni premiano gli evasori fiscali. Un emendamento dell’ultima ora alla legge che reintroduce l’educazione civica àbroga infatti tutte le sanzioni previste agli articoli 412 e 414 del Regio Decreto del 26 aprile 1928: ammonizione, nota sul registro, sospensione da scuola, espulsione con perdita dell’anno scolastico. Il testo definitivo non è ancora reperibile, ma, in base alla scheda illustrativa che si trova sul sito della Camera, sembra che si possa escludere, come qualcuno ha detto, l’estensione alla primaria dello Statuto degli studenti che contempla pur sempre delle sanzioni. Il chiarimento del Ministero non chiarisce affatto la nuova situazione, sostenendo che il provvedimento “non fa altro che estendere anche alla scuola primaria il Patto educativo di corresponsabilità che già oggi disciplina, in maniera dettagliata e condivisa, i diritti e doveri degli studenti delle scuole secondarie nei confronti delle istituzioni scolastiche, comprese le relative sanzioni". Meraviglia che al Ministero si ignori che le sanzioni non sono affatto contenute nel Patto educativo, ma nel regolamento di disciplina che ogni scuola secondaria elabora sulla base dello Statuto degli Studenti. Il Patto da solo lascia la scuola primaria priva di qualsiasi strumento disciplinare, in quanto consiste – stringi stringi – in una presa d’atto da parte dei genitori delle regole di comportamento che la scuola si è data e delle conseguenze del loro mancato rispetto. Del resto nella stragrande maggioranza (o totalità) dei casi l’innovazione del 2007, com’era prevedibile, si è ridotta a un adempimento formale all’atto dell’iscrizione, dunque di nessuna utilità educativa.
La verità è che si tratta di un’altra iniziativa-manifesto di una pedagogia che ignora l’abc dello sviluppo psicologico e morale e che ha così assestato colpi rovinosi alla capacità educativa della scuola. La sanzione invece (di moltissimi tipi e gradi adatti all’età e alle circostanze) è lo strumento che un educatore può utilizzare quando è evidentemente il solo modo di far presente con chiarezza il limite oltre il quale non si può andare. E tutto questo nell’interesse educativo dei bambini che si comportano male e di quelli che vedono impuniti i comportamenti arroganti e irrispettosi. Sarebbe il caso di dare voce, magari con una seria inchiesta, alle tante maestre che già da anni si sentono dire “tanto non mi puoi fare niente” perfino da alunni di prima che le hanno insultate o, bulletti in erba, hanno fatto i prepotenti con una compagna o un compagno di classe. E c’è davvero da chiedersi quale conoscenza dell’attuale scuola primaria e dei suoi allievi abbiano questi “riformatori”.
Quanto all’Educazione civica (per fortuna si è tornati al vecchio nome), il suo ritorno è opportuno, ma è illusorio pensare che la sola conoscenza delle leggi e della Costituzione, pur necessaria, possa sostituire un’educazione familiare e scolastica che alleni fin da piccoli i bambini al rispetto degli altri, al senso di responsabilità e del dovere, all’idea che la libertà non è assenza di limiti. Sarebbe come pretendere che si possa imparare a giocare a calcio studiando un manuale. E se un allenatore si rende conto che un suo giovane allievo arriva tardi, non si impegna o è insolente, fa benissimo a tenerlo in panchina a chiarirsi le idee su come ci si deve comportare. Ripetiamolo: nel suo interesse.
Giorgio Ragazzini

Sul patto educativo di corresponsabilità si può leggere anche quest’altro articolo: ttps://gruppodifirenze.blogspot.com/2018/04/violenza-in-classe-i-mea-culpa-che.html