domenica 30 gennaio 2022

SUPERFICIALITÀ E IDEOLOGIA SULL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO. E IL MINISTERO TACE

 

Si può diventare cuochi, meccanici, periti tecnici solo studiando la teoria? Evidentemente no. È indispensabile imparare anche attraverso la pratica. Come non si diventa pittori leggendo un trattato. Ed è per questo che esistono i laboratori, i tirocini, l’apprendistato. Eppure la scuola italiana degli ultimi decenni ha subìto la diffidenza verso “l’imparare facendo”, in nome della convinzione che solo più cultura teorica renda uguali. Di qui la “licealizzazione” degli indirizzi tecnico-professionali, causa principale, benché non unica, di un numero stratosferico di insuccessi, di abbandoni e del calo ormai decennale delle iscrizioni. Un parziale ma importante ripensamento si ebbe con la legge 107, che introdusse nell’ordinamento l’Alternanza scuola-lavoro (Asl), attraverso una collaborazione con aziende e istituzioni, per un totale di (almeno) 400 ore nei tecnici e nei professionali e di (almeno) 200 ore nei licei. Probabilmente è stata proprio l’estensione dell’ Asl ai questi ultimi, che non  preparano al lavoro ma agli studi universitari, a suscitare la maggior parte delle critiche. In questi contesti, infatti, non se ne capisce la funzionalità. Anche se fossero sempre esperienze in sé interessanti (ma spesso se ne è lamentata la futilità), questo non basta a giustificare lo sforzo organizzativo e la notevole perdita di lezioni curricolari. E in effetti le lamentele sono state frequenti fra i docenti liceali, ma nelle semplificazioni giornalistiche sembravano provenire da tutti gli indirizzi. Così il Ministro Bussetti ha pensato bene di ridurne le ore ovunque (ora vanno da 90 a 210 a seconda delle scuole), anche dove sono molto utili, purché ben organizzate e armonizzate con l’orario curricolare. Per aumentare l’effetto-cambiamento, l’alternanza è stata ribattezzata con uno degli acronimi che tanto piacciono in viale Trastevere: PTCO, che sta per Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento; così non si capisce più bene di che si tratta. Facendo poi un accenno al rischio di “apprendistato gratuito”, Bussetti ha dato fiato a chi vede nell’Alternanza una pura e semplice forma di sfruttamento generalizzato del lavoro minorile, nonostante la presenza di due tutor, uno aziendale e uno scolastico.  Si arriva così alla disgrazia di questi giorni: un diciottenne viene ucciso da una trave d’acciaio in uno stabilimento metalmeccanico in cui svolgeva non l’alternanza scuola-lavoro, ma le ore di stage (4-500) previste da alcuni corsi “duali” di formazione professionale. L’accertamento di eventuali responsabilità è ovviamente d’obbligo; ma lo sarebbe anche, per l’informazione, fornire notizie corrette e non raccogliere in prevalenza le espressioni più superficiali e ideologizzate delle proteste giovanili. “La Repubblica”, per esempio, cita l’opinione di una studentessa romana: "L'alternanza è un metodo di formazione basata sul precariato. Ci insegna la flessibilità e la schiavitù, ci introduce in un mondo del lavoro senza sicurezza, dove si rischia anche di morire, solo per strizzare l' occhio alle multinazionali”. E questo aprirebbe altre riflessioni sulla sopravvalutazione degli adolescenti come soggetti attivi del dibattito politico. Qui però basterà concludere sottolineando il silenzio del Ministero su questo episodio, diventato il pretesto per processare l’Asl (o PCTO) e chiederne l’abolizione. È la premessa di ulteriori colpi a una vera formazione professionale?

Giorgio Ragazzini