sabato 12 febbraio 2022

LA TRATTATIVA

La vicenda della "trattativa Stato-Maturità", come con acume e humor è stata definita, è un'altra pagina tristemente esemplificativa dell'incapacità della scuola italiana, e in varia misura di tutti i suoi attori,  di ritrovare il senso della sua funzione culturale, educativa e civile. All'inizio del mese il Ministro Bianchi aveva finalmente preso la decisione di reintrodurre due prove scritte per l'Esame di Maturità, anche sulla spinta dei numerosi articoli e appelli che lo avevano richiesto a gran voce, fra cui quello promosso dal Gruppo di Firenze e da numerosi intellettuali nel mese di Dicembre. Una decisione molto apprezzata da chi pensava che i grandi disagi prodotti dalla pandemia non giustificassero affatto l'idea di ridurre l'Esame di Stato a una pura e semplice finzione.

È noto quello che è successo nei giorni successivi. Grandi manifestazioni degli studenti che chiedevano, per voce della Rete degli studenti medi "un elaborato scritto da presentare oralmente, preparato coi docenti, interdisciplinare e che vada oltre i programmi" (sic).

C'è stato poi l'intervento del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che dovrebbe essere un organismo di alta consulenza in materia di istruzione, ma che è composto in larga misura da sindacalisti e ha pensato bene di  appoggiare, almeno in parte, le richieste degli studenti.

Infine l'incontro tra il Ministro e una delegazione studentesca. Poteva e doveva essere esclusivamente un'occasione per spiegare le scelte del Ministro e chiarire a chi non sembra averlo capito il significato e la funzione di un esame che non per caso è previsto dalla Costituzione.  Ma poi Bianchi, sembrandogli forse eccessivo passare per un iscritto al partito della scuola seria, ha prima dichiarato che tutto rimaneva come prima, poi ha riflettuto che forse era meglio dare  alla controparte l'onore delle armi e ha deciso di  portare  il credito scolastico dal 40% al 50% del punteggio. C'è chi ha parlato di un "ragionevole compromesso", ma quando fu approvata la riforma dell'esame, e fino a pochi anni fa, il credito scolastico era il 25%, una percentuale che manteneva comunque alle prove di esame  un peso prevalente, per poter essere una credibile verifica  finale del percorso scolastico, come, è bene ripeterlo, vollero i costituenti. E oltre che nel merito si tratta di  una decisione sbagliata nel metodo, perché di fatto legittima gli studenti come interlocutori in una logica di contrattazione su questioni che devono restare di esclusiva responsabilità dell'istituzione scolastica. 

In ultimo mi pare necessaria una riflessione sui comportamenti di molti studenti, certo non tutti, in questa vicenda.  Detto delle enormi responsabilità degli adulti (insegnanti, genitori, ministri, pedagogisti, politici) per il multidecennale  degrado educativo nella scuola e nella società, si deve pur dire che gli studenti candidati all'Esame di Stato sono tutti maggiorenni, dunque non più  "ragazzi", ma giovani uomini e giovani donne, che possono votare, avere la patente di guida, godere di tutti i diritti che spettano ai cittadini. Nella rivendicazione di un  esame pro-forma, perché di questo si tratta, e al di là dei molti sconclusionati slogan che si sono sentiti, hanno mostrato ben poca responsabilità e maturità e, temo, molta furbizia.

Andrea Ragazzini