La vicenda della
"trattativa Stato-Maturità", come con acume e humor è stata definita,
è un'altra pagina tristemente esemplificativa dell'incapacità della scuola
italiana, e in varia misura di tutti i suoi attori, di ritrovare il senso della sua funzione culturale,
educativa e civile. All'inizio del mese il Ministro Bianchi aveva finalmente
preso la decisione di reintrodurre due prove scritte per l'Esame di Maturità, anche
sulla spinta dei numerosi articoli e appelli che lo avevano richiesto a gran
voce, fra cui quello promosso dal Gruppo di Firenze e da numerosi intellettuali
nel mese di Dicembre. Una decisione molto apprezzata da chi pensava che i
grandi disagi prodotti dalla pandemia non giustificassero affatto l'idea di
ridurre l'Esame di Stato a una pura e semplice finzione.
È noto quello che è successo
nei giorni successivi. Grandi manifestazioni degli studenti che chiedevano, per
voce della Rete degli studenti medi "un
elaborato scritto da presentare oralmente, preparato coi docenti,
interdisciplinare e che vada oltre i programmi" (sic).
C'è stato poi l'intervento del Consiglio Superiore
della Pubblica Istruzione, che dovrebbe essere un organismo di alta consulenza
in materia di istruzione, ma che è composto in larga misura da sindacalisti e
ha pensato bene di appoggiare, almeno in
parte, le richieste degli studenti.
Infine l'incontro tra il Ministro e una delegazione
studentesca. Poteva e doveva essere esclusivamente un'occasione per spiegare le
scelte del Ministro e chiarire a chi non sembra averlo capito il significato e
la funzione di un esame che non per caso è previsto dalla Costituzione. Ma poi Bianchi, sembrandogli forse eccessivo
passare per un iscritto al partito della scuola seria, ha prima dichiarato che
tutto rimaneva come prima, poi ha riflettuto che forse era meglio dare alla controparte l'onore delle armi e ha
deciso di portare il credito scolastico dal 40% al 50% del punteggio.
C'è chi ha parlato di un "ragionevole compromesso", ma quando fu
approvata la riforma dell'esame, e fino a pochi anni fa, il credito scolastico
era il 25%, una percentuale che manteneva comunque alle prove di esame un peso prevalente, per poter essere una credibile
verifica finale del percorso scolastico,
come, è bene ripeterlo, vollero i costituenti. E oltre che nel merito si tratta
di una decisione sbagliata nel metodo, perché
di fatto legittima gli studenti come interlocutori in una logica di
contrattazione su questioni che devono restare di esclusiva responsabilità
dell'istituzione scolastica.
In ultimo mi pare necessaria una riflessione sui comportamenti di molti studenti, certo non tutti, in questa vicenda. Detto delle enormi responsabilità degli adulti (insegnanti, genitori, ministri, pedagogisti, politici) per il multidecennale degrado educativo nella scuola e nella società, si deve pur dire che gli studenti candidati all'Esame di Stato sono tutti maggiorenni, dunque non più "ragazzi", ma giovani uomini e giovani donne, che possono votare, avere la patente di guida, godere di tutti i diritti che spettano ai cittadini. Nella rivendicazione di un esame pro-forma, perché di questo si tratta, e al di là dei molti sconclusionati slogan che si sono sentiti, hanno mostrato ben poca responsabilità e maturità e, temo, molta furbizia.
Andrea Ragazzini
1 commento:
Cose giuste e sacrosante. E' vero che certi sindacalisti hanno accolto, senza se e senza ma, le richieste degli studenti. Anzi, hanno prospettato un grande movimento con loro per " cambiare la scuola pubblica". Da far tremare le vene, anche perchè si tratterebbe di intervenire su ciò che resta di essa, assai poco.
Altri sindacalisti, invece, hanno scritto "La scuola non può svilirsi e distribuire pezzi di carta di scarso o nullo valore".
La demagogia prevale, purtroppo, e la tragedia anche...
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