martedì 30 giugno 2015

PERCHÉ NON È VERO CHE È MEGLIO LASCIARE TUTTO COM’È

In queste settimane di proteste contro la Buona Scuola mi sembra che da parte degli oppositori alla fine la parola d'ordine sia stata una e soltanto una: niente potere ai presidi e nessun futuro controllo sull'operato dei docenti. Comprensibilmente la scelta degli insegnanti da parte del dirigente preoccupa per la possibilità di favoritismi (peraltro dovranno essere esplicitate le motivazioni delle scelte); e la possibilità che l'incarico triennale non sia rinnovato costituirebbe indubbiamente un rischio per la libertà di insegnamento, rischio che però sembra ridimensionato nella versione definitiva della legge. D’altra parte ritengo che, grazie all'autonomia scolastica, sebbene molto parziale, sulla carta qualche potere noi presidi già ce l’abbiamo. Casomai non esiste la possibilità di esercitarlo, mancandoci gli strumenti "effettuali" per poterlo fare. Innanzitutto per il sempre più esagerato e insostenibile carico di lavoro e di responsabilità non supportato, salvo rare eccezioni, da un’adeguata struttura amministrativa, permanendo nella scuola ancora un potere centrale elefantiaco, dominato da una burocrazia da far invidia a quella zarista. Inoltre anche il sottoscritto non è molto entusiasta di sobbarcarsi ulteriori compiti, visto che quelli esistenti sono lontani dal poter essere realmente gestiti. Tuttavia, di fronte all’assoluta mancanza di proposte alternative a quelle governative da parte dei contestatori verrebbe quasi voglia di sottoscrivere in toto il programma renziano. Negare che la scuola stia affogando pian piano nella propria incapacità di mutare pelle significa infatti non voler prendere atto che la struttura e la mentalità scolastica continuano purtroppo ad essere quelle dei decreti delegati del '74. La stesso sbandierare l’inadeguatezza di gran parte dei presidi alla loro funzione e magari il rischio corruzione per gli incarichi ai docenti, significa riconoscere implicitamente che occorre fare qualcosa e quanto prima per rinnovare questo mondo. Essi dimenticano, nella loro foga polemica, che noi dirigenti proveniamo tutti quanti dal ruolo della docenza. Vale la pena di ricordare che ancora oggi sono in servizio molti dirigenti che hanno ottenuto il ruolo grazie a concorsi riservati a chi aveva accumulato punteggi grazie al ruolo di vicepresidi. E quelli della mia generazione sanno che, fino a poco più di un decennio fa, i vicepresidi erano eletti dai collegi dei docenti, in cui era fortissima l'influenza sindacale. Far finta che tutto vada bene, madama la marchesa, è insomma una grave mistificazione. Che ci siano persone che lo fanno in buona fede non si mette in discussione, ma che ce ne siano altre interessate a mantenere lo status quo non vi è dubbio. Ignorare che vi sono docenti impreparati, neghittosi, demotivati, nullafacenti, furbi che se la cavano dando a man bassa sufficienze a tutti per non aver grane da parte della famiglie è da sciocchi o da correi. E ignorare che questi disgraziati fanno danni irreversibili ai ragazzi più svantaggiati è da irresponsabili. La scuola è la struttura fondamentale deputata a garantire la costruzione di una società migliore, più giusta e dominata dalla mobilità sociale. Che su questo non abbiano nulla da dire forze sindacali nate per tutelare i più deboli e i meno garantiti sul piano sociale e culturale è più di un segnale di come il baratro sia a portato di mano, come spesso nella storia è accaduto quando si è pensato che del nostro operato non si debba rendere conto a nessuno.
Valerio Vagnoli
(“Il Corriere Fiorentino”, 24 giugno 2015)

martedì 23 giugno 2015

RISPOSTA ALL'APPELLO "NON BOCCIATE I NOSTRI FIGLI"

Intervista di Eleonora Fortunato su  “Orizzonte Scuola”.
È di qualche giorno fa l'appello dei comitati dei genitori di Modena, rivolto ai Consigli di Classe dei bienni di scuola superiore, a essere meno drastici nelle bocciature. “Nei prossimi giorni sarete chiamati al difficile e delicato compito di valutare i nostri ragazzi e di decidere sul loro futuro”, scrivono i genitori,  che nel prosieguo della loro missiva alludono anche alla discrepanza con i voti alti ricevuti alla fine del primo ciclo. Incuriositi da questa presa di posizione, abbiamo sollecitato le riflessioni di Andrea Ragazzini del Gruppo di Firenze, i cui membri sono impegnati da anni per il riconoscimento del merito e della responsabilità nella scuola.
Prof. Ragazzini, secondo lei è giusto impostare la discussione così come fanno i genitori modenesi? Ci sarebbe un’ipotetica supervalutazione degli alunni nella scuola media che poi si scontra con l’eccessivo rigore dei prof del primo anno delle superiori?
“Non posso che dare un giudizio molto negativo di questo appello, che purtroppo conferma come ormai non pochi genitori concepiscano il rapporto con la scuola e con gli insegnanti in una logica di tipo sindacale, fatto di continue rivendicazioni, di disinvolte e talvolta minacciose  incursioni nella sfera di competenza dei docenti, di indebite pressioni. Mi riesce difficile valutare diversamente una lettera del genere pubblicata la vigilia degli scrutini.I genitori modenesi si presentano come interlocutori dialoganti, ma si guardano bene dal chiedersi se anche loro hanno qualcosa da rimproverarsi. Si legge nella lettera: “Diciamolo, c’è qualcosa che non va. Non nei ragazzi, non nelle loro famiglie, ma nel funzionamento della scuola italiana”.  A sostegno di questa perentoria affermazione non c’è un solo elemento di analisi e soprattutto manca  la consapevolezza che se dirigenti e insegnanti hanno una preponderante responsabilità nel far funzionare la scuola, anche gli studenti e le loro famiglie sono chiamati a fare la loro parte, che non è solo rivendicazione di diritti. In proposito consiglio a questi genitori  come lettura estiva lo splendido discorso che nel 2009 Barack Obama rivolse agli studenti americani all’inizio dell’anno scolastico. Cito solo una frase così come è stata riportata dai quotidiani: “....noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire.” 
Secondo i dati in nostro possesso, riportati anche nella lettera, all’esame di terza media la percentuale dei promossi sfiora il 99 per cento, la metà di loro con punteggi superiori al 7. Gli stessi dati dimostrano che dopo soli 12 mesi gli stessi ragazzi ottengono, invece, voti disastrosi alla fine della prima superiore, soprattutto nei tecnici e nei professionali. Qual è il suo commento a riguardo?
“Secondo le semplicistiche (e non disinteressate) conclusioni degli estensori della lettera, la responsabilità ricade tutta intera sui docenti delle superiori, ma ovviamente il problema dell’alto numero di bocciature nelle prime classi, in particolare negli istituti tecnici e professionali, è un po’ più complesso. Sottolineerei soprattutto due questioni, che sono state molte volte al centro delle iniziative del Gruppo di Firenze. La prima riporta, per contrasto, al discorso di Obama: come è noto, negli ultimi decenni una parte maggioritaria della cultura pedagogica italiana e gli indirizzi del Ministero, con rarissime eccezioni, hanno provveduto a cancellare l’idea che il successo scolastico, quello vero, non può prescindere dall’impegno degli interessati e dalla fatica che spesso comporta misurarsi con  le difficoltà e i limiti che ciascuno di noi si trova inevitabilmente ad affrontare. Si sente spesso ripetere che “la bocciatura è sempre un fallimento della scuola”, con il duplice risultato di colpevolizzare gli insegnanti e di azzerare la responsabilità del discente. Ma l’educazione all’impegno e alla responsabilità dovrebbe stare alla base di ogni percorso didattico e formativo. Il poco credibile 99% di promozioni all’esame di terza media è figlio anche di questo.
C’è una seconda questione che penalizza il nostro sistema scolastico e produce la maggior parte delle bocciature e degli abbandoni nella secondaria superiore. È la questione dell’istruzione professionale, che a partire dai primi anni Novanta e infine con la riforma Gelmini ha subito un continuo processo di licealizzazione, per il pregiudizio tutto ideologico che vede nella cultura “disinteressata” l’unico possibile strumento di compensazione delle disuguaglianze culturali e sociali. Il bel risultato che si è ottenuto è che gli istituti professionali continuano  ad essere considerati delle scuole di serie B, mentre i ragazzi che per attitudini e interessi potrebbero ottenere gratificazioni e risultati positivi in una scuola più orientata al fare, si scontrano con una pletora di materie teoriche e con un numero risibile di ore di laboratorio. E molti di loro naturalmente finiscono per fallire”.
A suo avviso si intravedono soluzioni intelligenti per governare questo fenomeno? Il Gruppo di Firenze cosa proporrebbe?   
“Per quanto dicevo poco fa occorre prima di tutto una riforma dell’istruzione professionale che ne ridefinisca in modo coerente l’identità e il curriculum. In un recente convegno a Firenze, a cui hanno partecipato il Sottosegretario Toccafondi e l’Assessore Regionale all’istruzione Bobbio, abbiamo indicato come prospettiva l’unificazione di istruzione e formazione professionale, secondo un modello in qualche modo affine, anche se non uguale, a quello sperimentato in Trentino, che oltretutto costituirebbe una semplificazione e una razionalizzazione del sistema. Nell’immediato bisogna quanto meno rimettere mano al curriculum degli istituti professionali, rivedendo completamente fin dal primo biennio l’equilibrio tra le discipline teoriche e quelle professionali, in modo da corrispondere davvero alle aspettative e ai talenti dei ragazzi che si iscrivono a questo percorso di istruzione. È indispensabile però anche una forte battaglia culturale perché l’istruzione/formazione professionale abbia il prestigio che ha in altri paesi europei, prima fra tutti la Germania, dove oltretutto questo canale scolastico è in grado di garantire una qualificata occupazione alla quasi totalità degli studenti”.
A quanto pare, nell’ambito del Ddl “La Buona Scuola” si sta discutendo della possibilità di legare la valutazione dei presidi alla loro capacità di incidere positivamente sulla dispersione scolastica. Questo non potrebbe portare all’equazione meno bocciati = più soldi alle scuole? Come si fa a combattere la dispersione senza inaugurare una nuova stagione del 6, o del 7, politico?
“Occorre certamente una piena responsabilizzazione di dirigenti e insegnanti, il che significa anche una seria attività di indirizzo e soprattutto di controllo, tanto dell’operato degli insegnanti da parte dei dirigenti che di quello dei dirigenti da parte del Ministero e dei suoi organi periferici. Nella mia esperienza la maggior parte dei dirigenti scolastici preferisce far finta di nulla o si limita a provvedimenti molto blandi di fronte a inadempienze o scorrettezze anche gravi di qualche docente, anche se è vero che gli strumenti a disposizione sono inadeguati. L’idea di dare più risorse alle scuole che bocciano meno è ovviamente una sciocchezza e sospetto che non sia una sciocchezza in buona fede, dato che, come Lei giustamente osserva, sarebbe un incentivo per  incrementare  le finte promozioni, che già oggi non sono poche. La dispersione, oltre che con quanto abbiamo detto in tema di indirizzi di studio, si combatte con una scuola più seria, che abbia veramente come obiettivo quello di fornire soprattutto a chi parte con uno svantaggio sociale e culturale (“i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”) gli strumenti per affermarsi.
Quanto alla valutazione, abbiamo detto in molte sedi che la priorità non è premiare gli insegnanti più bravi, ma poter intervenire efficacemente nel caso di docenti palesemente  inadeguati o che tengono comportamenti in contrasto con i propri doveri professionali. Si tratta certamente di una ridotta minoranza, ma i loro studenti ne sono gravemente danneggiati”.

martedì 16 giugno 2015

CORRETTEZZA DEGLI ESAMI, DISPOSIZIONI ANCORA INSUFFICIENTI

Nei giorni scorsi è stata diramata dal Miur una circolare, analoga a quella dello scorso anno, in cui si precisa “che è  assolutamente vietato, nei giorni delle prove scritte, utilizzare a scuola telefoni cellulari, smartphone di qualsiasi tipo, dispositivi di qualsiasi natura e tipologia in grado di consultare file, di inviare fotografie ed immagini, nonché apparecchiature a luce infrarossa o ultravioletta di ogni genere;
che è vietato l’uso di apparecchiature elettroniche portatili di tipo palmare o personal computer portatili di qualsiasi genere in grado di collegarsi all’esterno degli edifici scolastici tramite connessioni wireless, comunemente diffusi nelle scuole, o alla normale rete telefonica con qualsiasi protocollo;
che nei confronti di coloro che violassero tali disposizioni è prevista, secondo le norme vigenti in materia di pubblici esami, la esclusione da tutte le prove di esame.” Si aggiunge che “nel corso dello svolgimento delle prove scritte dovrà essere disattivato il collegamento alla rete Internet di tutti gli altri computer presenti all’interno delle sedi scolastiche interessate dalle prove scritte. Saranno, altresì, resi inaccessibili aule e laboratori di informatica”.
Come si vede, non si fa ancora parola del possibile utilizzo di quei rilevatori di cellulari accesi che fu sollecitato per due volte dall’Associazione Nazionale Presidi. Si tratta comunque di disposizioni apprezzabili, ma perché non si premette che è “assolutamente vietato” copiare in tutti i modi possibili e immaginabili e che le conseguenze saranno identiche se si usa un cellulare, un bigliettino o la comunicazione orale tra candidati? La precisazione sarebbe tra l’altro utile per prevenire (per quanto possibile) l’intervento del solito Tar, il quale potrebbe formalisticamente obbiettare che nella circolare si parla solo di apparecchiature elettroniche.
Nessun cenno, ovviamente (sarebbe politicamente scorretto), alle conseguenze disciplinari di eventuali collusioni da parte di chi vigila durante le prove scritte: omessa vigilanza, aiutini, aiutoni. Eppure non sono fatti rarissimi; e in passato ne abbiamo documentati parecchi.  (GR) 
Puoi leggere anche: Esami di Stato. Gruppo di Firenze: commissioni tutte esterne, adottare misure tecniche contro uso smartphone (su “Orizzonte Scuola”)