mercoledì 30 dicembre 2009

ARRIVANO LE COMPETENZE, UN'ALTRA TEGOLA PER LA SCUOLA ITALIANA

Sul sito dell’Associazione Docenti italiani si può leggere lo schema di decreto sulle competenze da acquisire al termine dell’obbligo. Vi si parla (per fortuna) solo delle competenze disciplinari e non di quelle “di cittadinanza” o “di base”, di fronte a cui gli amanti di questo genere letterario attingono l’acme della contorsione mentale, che a sua volta sfocia in un italiano impresentabile (un esempio prodotto da un gruppo di scuole fiorentine: "Segue ed è in grado di partecipare a processi collettivi di elaborazione di regole tenendo conto dell'ambiente, delle relazioni all’interno della comunità scolastica”).
Delle competenze come presunta chiave di volta della scuola abbiamo parlato più volte e ancora più spesso abbiamo dato la parola al professor Giorgio Israel, che sul punto è intervenuto con estrema severità, anche perché chi le magnifica sembra ignorare che il sapere e il saper fare sono da sempre parte, in diversa misura, di tutte le discipline. Infatti, scrive Israel, da sempre c’è “la consapevolezza che conoscere concetti non vuol dir niente se non si sa farne uso fino a riuscire a metterli in opera per risolvere problemi complicati”. Altrimenti, “si introduce l’idea assurda che l’acquisizione assolutamente passiva di concetti sia una forma di conoscenza”. Aggiungiamo che la misurazione delle competenze è difficilissima, come ammettono gli stessi esperti, i quali per giunta non sono neppure d’accordo sulla loro definizione (naturalmente, se per competenza ci si limitasse a intendere un saper fare direttamente legato a una professione - cosa sa fare un cuoco, cosa sa fare un elettricista - la cosa avrebbe senso).
Infine, l’insistenza sulle competenze si accompagna spesso alla svalutazione delle conoscenze disciplinari, viste come nozionismo o astrazione estranea alle nuove generazioni di “nativi digitali”. Accenniamo di sfuggita, solo per completare il quadro, al moltiplicarsi e sovrapporsi di terminologie affini (quali “abilità”,“capacità” e,appunto, “competenza”), del tutto ininfluenti sull’efficacia didattica.
Per il momento invitiamo i frequentatori del blog a dirci cosa ne pensano dopo aver letto l’elenco fissato dal ministero, che per lo meno è relativamente breve (e quindi non soddisferà molti pedagogisti) e limitiamoci a una previsione dettata dall’esperienza: la maggioranza dei colleghi considererà l’innovazione come l’ennesima, irritante e cervellotica imposizione dall’alto e cercherà di sbrigarla alla meno peggio e nel minor tempo possibile, come è accaduto in questi anni di “sperimentazione” (tra virgolette, perché non risulta che sia stato fatto un rilevamento di quello che ne pensano i docenti). Naturalmente questo si tradurrà in perdite di tempo e in ulteriore demotivazione e disorientamento, anche per il fatto di trovarsi a maneggiare due diverse scale di valutazione: i voti da 0 a 10 per le materie e i tre livelli più il “non raggiunto” utilizzato per le competenze. Ma nella scuola italiana, in cui l’esperienza non insegna, si fa così: si impongono degli obbiettivi finali nell’illusione che questo trasformerà a ritroso il modo di insegnare.
Possiamo dunque ragionevolmente concludere che l'introduzione delle competenze risulterà sia inutile che dannosa.
Quanto ai dettagli del modello proposto, alcuni dei quali francamente indecifrabili, converrà tornarci con una nota apposita.

GR

lunedì 28 dicembre 2009

"ADIO PUPA TIO AMATO". OVVERO: LA SCUOLA È POCO ESIGENTE IN FATTO DI LINGUA?

Sostiene di sì il linguista Alberto Sobrero sulla "Gazzetta del Mezzogiorno", uno degli studiosi che in questi giorni hanno commentato un appello della Crusca e dei Lincei per una maggiore tutela e promozione della lingua italiana. C'è chi ha proposto l'istituzione di un "Consiglio superiore della lingua italiana", chi l'inserimento dell'italiano come lingua ufficiale nella Costituzione. Sobrero indica cinque punti di debolezza della scuola italiana, compreso il "timore di dover bocciare o, ancor più, di irritare le famiglie" che ossessiona troppi insegnanti, con la conseguenza di "abbassare la soglia delle prestazioni necessarie per avere la sufficienza". Leggi. [Le parole del titolo citate tra virgolette sono tratte da una foto che appare a corredo dell'articolo].

giovedì 17 dicembre 2009

FORMAZIONE PROFESSIONALE: FARE COME A TRENTO?

Il "Corriere del Trentino" pubblica oggi un articolo sulla nuova situazione della scuola secondaria in quella provincia, la cui amministrazione autonoma ha abolito gli istituti professionali, creando così un sistema a tre rami: liceale, tecnico e professionale. Una riforma su cui dovrebbero riflettere anche molte altre regioni e soprattutto la Toscana, in cui si insiste su una svalutazione di fatto della scuola "più orientata ad acquisire competenze pratiche che teoriche", come si legge nel testo. Ma dovrebbe rifletterci anche il ministro Gelmini, i cui istituti professionali riformati non si differenziano molto da quelli che dovrebbero sostituire; i quali producono attualmente un enorme numero di ripetenze e di abbandoni, insieme a una crescente difficoltà nel "tenere la classe" da parte dei docenti. Un vero cambiamento avrebbe dovuto comportare una chiara prevalenza dei laboratori e degli stage sulle materie teoriche. Una reale uguaglianza delle opportunità si potrà realizzare solo dando pari dignità alla formazione professionale.
Chi volesse saperne di più sulle caratteristiche di questi percorsi nel Trentino, può leggere una guida orientativa preparata dall'assessorato alla pubblica istruzione.

(GR)

giovedì 10 dicembre 2009

UN APPROFONDIMENTO SULL'ABOLIZIONE DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI DECISA DALLA PROVINCIA DI TRENTO

Dal sito dell'ADi (Associazione Docenti italiani) traiamo un approfondimento sulla chiusura degli istituti professionali decisa dalla provincia di Trento, anche come reazione alla riforma delle superiori, in cui viene confermato, se non rafforzato, il loro carattere di "istituti tecnici di serie B". Come abbiamo detto nella nota precedente, la formazione professionale, che già accoglie il 20% degli iscritti alle superiori, diventa una delle tre gambe del sistema educativo trentino. Ricordiamo che del gruppo di esperti che affianca da anni la giunta provinciale fa parte il professor Rosario Drago, autore di un'apprezzata relazione proprio su questo tema nel recente convegno fiorentino "Obbligo scolastico e formazione professionale".

sabato 5 dicembre 2009

IL SISTEMA A TRE GAMBE DEL TRENTINO: FORMAZIONE PROFESSIONALE, ISTITUTI TECNICI, LICEI

Su "L'Adige" di oggi, la direttrice dell'Enaip trentino (Ente Nazionale Acli di Istruzione Professionale) difende la scelta della provincia autonoma di abolire gli istituti professionali, creando un sistema educativo tripartito: formazione professionale (che raccoglie attualmente il 20% degli studenti e ha ridotto la dispersione scolastica al 9% contro il 20% della media nazionale), istituti tecnici, licei. Volutamente abbiamo invertito l'ordine in cui di solito (e anche nell'articolo) sono presentate le opzioni a disposizione degli studenti, che vede regolarmente al primo posto i licei. È solo un piccolo esercizio mentale per ricordarci l'importanza di restituire la dovuta dignità all'apprendimento più fondato sul fare, di cui si è parlato nel convegno fiorentino del 5 novembre scorso. Leggi.

sabato 28 novembre 2009

UNO VOLTA TANTO C'È LO STATO DI DIRITTO: ANNULLATA LA SANATORIA DEL CONCORSO-SCANDALO

di Valerio Vagnoli

Molto positiva la decisione del Consiglio dei Ministri di annullare l'ultimo concorso ordinario per presidi svolto in Sicilia con modalità indegne di qualsiasi contesto storico-geografico europeo degli ultimi secoli. Come molti sanno, la commissione chiamata a valutare i candidati operò, se si vuol credere che abbia lavorato senza cedimenti alla più spudorata delle corruzioni, in modo che va al di là di qualsiasi senso di decoro e appartenenza alla stessa sfera civile. Basti pensare che alcuni vincitori del concorso, peraltro senza neanche rientrare tra gli ultimi classificati, si erano espressi nei loro compiti attraverso errori grammaticali d'inaudita gravità. Per buona parte delle varie fasi del concorso il presidente della commissione( la lettera minuscola non è casuale) è risultato latitante e molti lavori, se si tenesse conto dei tempi di correzione indicati dalla commissione stessa, furono corretti in non più di due-tre minuti. Avete capito bene: pagine e pagine di saggi e progetti( questo richiedevano le due prove scritte) corrette in pochissimi minuti. Bene, benissimo ha fatto la Gelmini ad impegnarsi affinché si cancellasse tale scandalo.
Ed è in virtù di questo risultato che ci permettiamo d'insistere su un altro aspetto scandaloso e legato anch'esso all'ultimo concorso. Come molti sanno, la polemica è comparsa questa estate (ce ne siamo ampiamente occupati anche nel nostro blog) grazie ad un documento dell'assessore all'Istruzione della provincia di Vicenza che denunciava come, con la solita manfrina del codicillo inserito all'interno di una legge finanziaria, l'ultima di Prodi, i concorsi a preside avevano improvvisamente assunto carattere nazionale e non più regionale, permettendo così a centinaia e centinaia di "fuori lista", di sistemarsi in quelle regioni del centro-nord, ove le commissioni d'esame, rispettando la legge, non avevano prodotto alcuna graduatoria aggiuntiva rispetto ai posti messi a concorso. Anche questa manfrina non è accettabile, soprattutto se riferita al mondo scolastico, quel mondo che, rivolgendosi ai nostri ragazzi, più di tutti ha la necessità di far capire che l'Italia non è il Paese in cui a vincere sono quasi sempre i più furbi. Confidiamo che il Ministro Gelmini si faccia carico di cancellare anche questa ingiustizia avallata, occorre ribadirlo, nel silenzio-assenso di tutte le sigle sindacali e professionali di categoria.

mercoledì 25 novembre 2009

GENITORI PICCHIATI DAI FIGLI

Il fenomeno ha cominciato a emergere anche in Italia da qualche anno. Ne sanno qualcosa Il telefono azzurro e altre associazioni. Di quello che succede in Francia parla oggi un articolo sul "Giornale". Per i figli picchiare i genitori è stato sempre un tabù, ma con l'erosione dell'idea di autorità, in parte rafforzata negli scorsi decenni da spinte ideologiche, anche questo limite in certi casi viene superato, a conferma dell'urgenza di un più esteso e spassionato ripensamento degli stili educativi.

LA VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI: UN ESEMPIO DAGLI USA

Sul "Sussidiario.it" di ieri 24 novembre è apparso un articolo del professor Giovanni Cominelli sulla valutazione dei docenti, che alla pagina 2 fa in particolare riferimento ai criteri scelti da un'agenzia indipendente degli Stati Uniti . A una nostra osservazione, intitolata Il problema è il "come" (pubblicata in calce all'articolo insieme ad altri commenti), l'autore ha risposto integrando l'articolo con le metodologie utilizzate.

(GR)

lunedì 23 novembre 2009

UNO SPETTRO SI AGGIRA PER LA SCUOLA ITALIANA: LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE

Non sono conoscenze, non sono abilità, non sono capacità; e verrebbe da concludere alla maniera di certi indovinelli: “Alé, alé, indovina che cos’è”. Solo che negli indovinelli la risposta è sempre una sola, mentre per le “competenze” (di questo si tratta), le risposte sono decine. In altre parole, non si trova una definizione che vada bene a tutti gli esperti. Fin qui niente di grave, potrebbe dire qualcuno. Sennonché incombe sulla scuola italiana la “certificazione delle competenze”, che è stata sperimentata negli ultimi anni in sede di esame di terza media. Prima o poi dovrebbero infatti vedere la luce i modelli ministeriali di queste certificazioni. E se la parola “sperimentazione” avesse un senso, se ne dovrebbero verificare i risultati, per esempio chiedendo agli insegnanti se ritengono utile l’innovazione o se per caso non abbiano riempito in fretta e furia di crocette un foglio proveniente da qualche scuola “all’avanguardia”.
Ne ha scritto con la consueta efficacia di polemista il professor Giorgio Israel in un articolo sul “Giornale” di domenica 15 novembre (ora sul blog dell’autore), a cui è allegata una delle schede per la certificazione delle “competenze trasversali” che sono state “sperimentate” nelle scuole italiane (per leggerla - e ne vale la pena - bisogna ingrandirla agendo sui due tasti ctrl e +).

(Giorgio Ragazzini)

venerdì 20 novembre 2009

DOCENTI E PRESIDI CONTRO LE OCCUPAZIONI: UN RITORNO AD OBSOLETE FORME DI AUTORITARISMO?

di Sergio Casprini

In un editoriale in prima pagina del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, acuto osservatore della società italiana, coglie la novità nella scuola di un diverso atteggiamento da parte dei docenti e dei dirigenti scolastici nei confronti delle rituali manifestazioni di protesta degli studenti delle superiori, che si esprimono soprattutto con occupazioni ed autogestioni, interrompendo per un periodo non breve l’ordinato svolgimento dei corsi. Dopo anni di supina acquiescenza, in alcuni casi di implicito consenso, talora con la conferma autorevole dei responsabili del ministero (la proposta per esempio del ministro Berlinguer di autorizzare ogni anno una settimana di autogestione nelle scuole), finalmente si comincia a dire basta a queste forme di infantilismo politico, promosse per lo più da una minoranza di studenti contro il diritto allo studio della maggioranza dei loro compagni. E Battista nel suo articolo lo riconosce, anche lui consapevole dell’inutilità di questo rituale di proteste che di in anno in anno si ripete e non produce alcun risultato, anzi frustra anche gli stessi studenti contestatori. Però alla fine del suo editoriale, quasi contraddicendosi, mostra un atteggiamento di maggior comprensione verso gli studenti, i quali evidenziano un disagio ed un malessere nel loro stare a scuola, a cui va data una diversa risposta, che non sia “di rancore e di appello all’ordine da parte degli insegnanti”.
Va riaffermato invece quel principio di autorità (non di autoritarismo!) che dal’68 in poi era stato messo in discussione e che solo negli ultimi tempi comincia ad essere praticato (e lo diciamo senza alcun timore di passare da reazionari): il ritorno al voto di condotta, la verifica settembrina del recupero dei debiti, la revisione dello statuto degli studenti, le iniziative contro il bullismo. Le prese di posizione di questi giorni contro le occupazioni sono appunto il frutto di un clima diverso nelle scuole, ove il rispetto delle regole, il senso di responsabilità per lo studio cominciano a valere com’è giusto che sia. Se ai primissimi segni di una ritrovata fermezza da parte di presidi e docenti si teme che la scuola si “abbandoni al rancore” contro gli studenti, ciò significa avere un'idea molto vaga degli ultimi decenni, che hanno visto gli insegnanti spogliati (e spogliarsi) del loro fondamentale ruolo di guida. Se poi come chiede Battista bisogna ritrovare un “senso alla scuola, in cui gli studenti possano sentirsi parte decisiva e centrale”, sarebbe già tanto se si recuperasse il Dna della scuola italiana, in cui il rigore dei saperi disciplinari ed il riconoscimento dei meriti nello studio garantiscano una vera partecipazione alla vita scolastica e costituiscano il lievito di una vera crescita democratica degli studenti.

Sempre dal "Corriere della Sera" di oggi, la situazione del "fronte antioccupazioni" in un servizio di Fabrizio Caccia e Annachiara Sacchi.
"La Stampa" dà invece largo spazio alla sentenza di un tribunale canadese, che in seguito a una battaglia legale deì genitori di due ragazzi, li ha liberati dal dovere di fare i compiti. Sacrosanto il sarcasmo con cui Paola Mastrocola commenta da par suo la vicenda sulla prima della "Stampa". (GR)

giovedì 19 novembre 2009

OCCUPAZIONI: CHE SI COMINCI A RAGIONARE?

Insegnanti che impediscono l'occupazione; dirigenti decisi a far sgombrare la scuola dalla polizia; 5 in condotta a chi occupa; studenti in maggioranza contrari a questo genere di iniziative. A leggere i tre articoli che "Il Messaggero" pubblica oggi e quelli che si possono leggere su molti altri quotidiani, si potrebbe pensare a un'avanzata della serietà... Vedremo.

venerdì 6 novembre 2009

CONVEGNO AFFOLLATO E GRANDE INTERESSE PER IL RILANCIO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Molto applaudite le relazioni di Valerio Vagnoli e Rosario Drago al convegno “Obbligo scolastico e formazione professionale”. La proposta: sperimentare fin dalla prima superiore percorsi di formazione professionale negli istituti professionali toscani.
Erano circa centoquaranta, ieri, i presenti nella sala Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti. Assai più di quanto ci si potesse aspettare per un convegno su un tema che poteva sembrare per addetti ai lavori e che ha invece suscitato molto interesse tra insegnanti, presidi e amministratori. L’attuale esiguità di questo canale formativo, a cui i ragazzi toscani possono accedere a pieno titolo solo dopo i sedici anni, è a nostro avviso tra le cause principali degli abbandoni e degli insuccessi nelle superiori. In sofferenza soprattutto gli istituti professionali, troppo “licealizzati” e quindi inadatti a soddisfare le aspettative di chi ha attitudini più per l’apprendimento attraverso la pratica che per via teorica.
Ha aperto i lavori l’Assessore all’Istruzione Giovanni Di Fede della Provincia di Firenze, che ha patrocinato il convegno. Di Fede ha sottolineato l’impegno della sua amministrazione nel contrasto della cosiddetta “dispersione scolastica” (tecnicamente, l’incidenza delle ripetenze e degli abbandoni). Per quest’anno scolastico sono previsti ventotto progetti destinati alle scuole della provincia.
In rappresentanza del Direttore regionali Angotti è intervenuto il professor Roberto Bandinelli, che tra l’altro si è chiesto se, a fronte dei dati del recente rapporto sulla scuola in Toscana pubblicato dalla Regione, l’investimento di quattro milioni e mezzo di euro per combattere la dispersione sia andato a buon fine.
Hanno poi parlato i due relatori: Valerio Vagnoli, dirigente scolastico, per il Gruppo di Firenze, e Rosario Drago, qualificatissimo esperto del settore, da alcuni anni impegnato come ispettore tecnico della provincia di Trento, i cui risultati nella formazione professionale sono notevolissimi: basti pensare che la dispersione è scesa al 9%, contro il 20,8 della media italiana.
Nella sua relazione, Vagnoli ha condotto un’appassionata e applauditissima difesa della formazione professionale come alternativa di pari dignità all’istruzione. Più tardi, tirando le conclusioni del convegno, ha proposto di avviare in via sperimentale, fin dal primo anno delle superiori, dei percorsi di formazione professionale all’interno di un certo numero di istituti professionali. Forse, ha aggiunto, i più adatti a questa sperimentazione sarebbero gli Istituti alberghieri, per l’alto livello dei loro risultati e per l’importanza che il settore riveste in tutta la Toscana.
Il professor Drago ha insistito molto sulla necessità di rivalutare l’operatività nella scuola italiana, a cominciare dalla scuola media, impostata in modo eccessivamente teorico fin dalla riforma del 1963, che nei progetti avrebbe dovuto integrare la didattica del “piccolo ginnasio” con quella tipica dell’avviamento al lavoro.
Purtroppo non è stato possibile avviare in questa sede un confronto con la Regione Toscana, che avevamo invitato a intervenire, ma speriamo di poterlo fare nei prossimi mesi.
Il professor Drago ci farà avere una sintesi della sua relazione, che pubblicheremo sul nostro blog.

Vedi fotografie del Convegno
POSTILLA AL CONVEGNO DI FIRENZE: LA SPARIZIONE DEGLI ISTITUTI D'ARTE
di Sergio Casprini
Nel suo appassionato intervento al convegno su “Obbligo scolastico e formazione professionale”, Valerio Vagnoli ha fatto notare che con la svalutazione della formazione professionale si rischia di perdere definitivamente il ricco patrimonio di mestieri artigianali, che attraverso l’apprendistato si trasmettevano dal maestro all’allievo nelle botteghe di una volta. Un rapporto fecondo, che oggi possiamo ritrovare in quello tra docenti di laboratorio e studenti che a quattordici anni entrano in una scuola professionale.Voglio a questo proposito porre all’attenzione come emblematica la situazione degli Istituti d’Arte o “scuole d’arte”. Esse sono caratterizzate dalla presenza nei primi anni di molti laboratori, afferenti all’indirizzo professionale nell’ambito dell’artigianato artistico scelto dagli allievi. Per esempio, a oreficeria gli studenti trovano il laboratorio di cesello e sbalzo e quello di gioiello; a pittura, il laboratorio di lacche e doratura; a moda, decorazione su stoffa e taglio e confezione; ad arredamento, modellistica e metalli; ad arti grafiche, incisione e stampa; e così via.Già negli ultimi anni il peso di queste discipline - o meglio mestieri - nell’orario complessivo delle lezioni è diminuito a vantaggio delle materie teorico-culturali, come in tutti bienni degli istituti professionali.Il futuro si presenta ancor meno roseo: con la riforma Gelmini gli istituti d’arte confluiscono nel sistema dei licei, diventano appunto licei artistici, perdendo la loro identità culturale e professionale soprattutto nei primi due anni, con la conseguenza di più abbandoni e, quel che è più grave, di scomparsa dell’apprendistato nel campo dei mestieri artistici. Se la Regione Toscana avesse più coraggio nel superare vecchi pregiudizi sulla formazione professionale “precoce” e non ritardasse l’apprendimento dei fondamenti dei vari mestieri, avremmo sicuramente dati più confortanti sulla dispersione scolastica. Molti allievi frequenterebbe dal primo anno i laboratori con maggio profitto rispetto ad una acquisizione superficiale di nozioni di cultura generale. D’altronde su una sperimentazione maggiormente incisiva in questo senso la regione toscana non mancherebbe di punti di riferimento, in primis la provincia autonoma di Trento e la Regione Lombardia, che hanno da tempo imboccato questa strada.

mercoledì 4 novembre 2009

ANCORA SUL CONVEGNO DI DOMANI A FIRENZE

Diversi giornali locali hanno dato spazio oggi alla conferenza stampa di presentazione del Convegno "Obbligo scolastico e formazione professionale". Il più ampio è apparso sulla cronaca fiorentina di "Repubblica". Leggi.

martedì 3 novembre 2009

LA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO "OBBLIGO SCOLASTICO E FORMAZIONE PROFESSIONALE"

Si è tenuta stamani presso l'Amministrazione provinciale di Firenze la presentazione dei dati sulla dispersione scolastica nelle scuole superiori della provincia e del Convegno "Obbligo scolastico e formazione professionale", promosso dal Gruppo di Firenze, che a questo problema si propone di fornire una risposta concreta, dando cioè maggiore spazio proprio alla formazione professionale. Hanno parlato gli assessori Giovanni Di Fede (Istruzione) e Elisa Simoni (Formazione), che hanno illustrato le iniziative dell'amministrazione per l'integrazione tra formazione e istruzione sulla base dell'attuale legge regionale. Valerio Vagnoli del Gruppo di Firenze ha fatto presente che in alcune scuole, e in particolare negli istituti alberghieri, i bocciati delle prime superano a volte il quaranta per cento. Dopo essersi congratulato per l'entità e la qualità delle iniziative avviate dalla Provincia, ha affermato che è necessario andare oltre gli attuali limiti nell'assolvimento dell'obbligo scolastico, ripromettendosi di avanzare una proposta più precisa nell'ambito del convegno. Numerose le domande dei giornalisti.

Leggi il comunicato diramato dalla Provincia al termine dell'incontro.

mercoledì 28 ottobre 2009

OBBLIGO SCOLASTICO E FORMAZIONE PROFESSIONALE

Contro l’abbandono di troppi ragazzi
più libertà di scelta, più opportunità di valorizzare i loro talenti

Firenze, giovedì 5 novembre 2009, ore 15-19
AUDITORIUM OSPEDALE DEGLI INNOCENTI
Piazza SS. Annunziata

Con il patrocinio della Provincia di Firenze, Assessorati all'Istruzione e alla Formazione
SALUTI

GIOVANNI DI FEDE
Assessore all’Istruzione Provincia di Firenze
ELISA SIMONI
Assessore alla Formazione Provincia di Firenze
CESARE ANGOTTI
Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale

RELAZIONI

VALERIO VAGNOLI
Dirigente Scolastico Istituto “G.Vasari” / Gruppo di Firenze:
Obbligo scolastico: più opportunità = più uguaglianza
ROSARIO DRAGO
Dipartimento Istruzione della Provincia Autonoma di Trento:
Obbligo scolastico e formazione professionale nelle esperienze delle regioni italiane

DIBATTITO E CONCLUSIONI

Sono previsti interventi di esponenti del mondo del lavoro, di agenzie formative, di dirigenti scolastici e insegnanti.

Sarà presente il dott. ELIO SATTI, Dirigente del Settore Istruzione e Educazione della Regione Toscana

PERCHÉ QUESTO CONVEGNO
Il documento di analisi della scuola italiana con cui si era costituito nel 2005 il Gruppo di Firenze riservava un intero paragrafo al problema della formazione professionale. Il problema si riduceva in sostanza al fortissimo rifiuto ideologico di cui era stata oggetto quella parte della riforma Moratti, che prevedeva due “canali” di pari dignità a disposizione dei ragazzi italiani: quello dell’istruzione e quello, appunto, della formazione professionale. La questione ha molto a che fare col merito. Infatti un sistema di istruzione e formazione deve fare il possibile per offrire la possibilità di svilupparsi a tutti i diversi talenti (i differenti tipi di intelligenza). Il merito consiste poi, essenzialmente, nell'impegno con il quale ciascuno valorizza i propri.
C'è poi stato, da parte del centrosinistra, l’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni (quello formativo c’era già, e a diciott’anni), realizzato e poi temperato da Fioroni con la possibilità per le regioni di permetterne l’assolvimento anche attraverso percorsi di carattere professionale.
La Regione Toscana ha scelto, diversamente dalle altre regioni, di limitare tale assolvimento al solo canale dell’istruzione (cioè licei, istituti tecnici e professionali), pur con il correttivo di attività di orientamento e laboratoriali, destinate ai ragazzi più in difficoltà.
Nonostante l’impegno della Regione, tuttavia, ogni anno nelle prime classi degli istituti professionali (ma in parte anche dei tecnici) si verifica un altissimo numero di insuccessi scolastici e molti sono i ragazzi che smettono di frequentare prima dei sedici anni.
Spesso sono delusi nelle loro aspettative da una scuola che riserva uno spazio troppo limitato al “fare”, cioè al tipo di apprendimento più gratificante perché più vicino ai loro interessi e alle loro attitudini. Tutto questo suggerisce un’ulteriore riflessione su questa scelta.
Noi pensiamo che sia necessario offrire ai ragazzi, fin dal primo anno delle superiori, la possibilità di percorsi di istruzione / formazione professionale.
Siamo convinti che l’obbiettivo di creare le condizioni di una maggiore uguaglianza sia più concretamente perseguibile dando ai ragazzi anche questa opportunità, che non insistendo su una tendenziale uniformità del percorso scolastico.
L’obbiettivo di questo convegno è appunto quello di essere un momento di riflessione e di approfondimento su questi temi, in cui poter avere, tra l’altro, una maggiore conoscenza delle esperienze in atto altrove e un confronto con i responsabili della Regione Toscana, che abbiamo invitato a intervenire.

Gruppo di Firenze

giovedì 22 ottobre 2009

CHE FINE HA FATTO IL MERITO?

di Giorgio Allulli

Uno dei sedici firmatari dell'appello "Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità", da noi promosso nella primavera del 2008, fa il punto sugli obbiettivi di quell'iniziativa a oltre un anno e mezzo dalla sua presentazione. Proprio su questo punto ci aveva sollecitato nei giorni scorsi il collega Vincenzo Pascuzzi con un parere molto critico e un invito a esprimerci in merito. Ci riserviamo di farlo nei prossimi giorni.

Premetto che la mia risposta viene scritta a titolo del tutto personale, non avendo collegamenti organici con il Gruppo di Firenze, del quale ho peraltro condiviso l’appello, perchè ritengo che promuovere tutti, senza verificare l’effettiva acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie per progredire nello studio ed entrare nel mondo del lavoro, sia la peggiore truffa che si possa perpetrare proprio ai danni di coloro che non hanno altri mezzi per emergere che le loro capacità personali.
Se uno studente proveniente da un ambiente “protetto” viene promosso senza avere una reale preparazione, la famiglia lo metterà comunque in grado di accedere ad una decorosa posizione nel mondo del lavoro. Se invece uno studente proveniente da una famiglia svantaggiata esce con una scarsa preparazione troverà sicuramente molti problemi ad inserirsi nel mercato del lavoro, anche a dispetto del diploma posseduto. Se, infine, manca una selezione basata sul merito l’unico criterio per l’affermazione sociale sarà quello del ceto familiare. Prova ne sia che l’Italia (v. Rapporto Fondazione Montezemolo) è il Paese con il più basso indice di mobilità sociale.
In che modo è stato messo in pratica questo appello al merito, apparentemente condiviso dal Ministro?
La mia impressione è che la preoccupazione prevalente del Ministro Gelmini sia stata quella di contenere le risorse pubbliche. Questo ovviamente non è di per se né pro né contro il merito, ma il modo in cui è stato fatto non ha tenuto conto delle caratteristiche e delle specificità delle diverse situazioni. Se si parla di merito bisogna anche avere la capacità di distinguere, di separare, di valutare le diverse situazioni sia quando si danno risorse aggiuntive, sia quando si tolgono. Ad esempio il mensile “Tuttoscuola” aveva messo in luce moltissimi squilibri territoriali sui quali si poteva intervenire per razionalizzare l’uso delle risorse, eliminando aree di privilegio e salvaguardando quelle di maggiore fabbisogno. Questo non mi sembra che sia stato fatto.
Un forte accento è stato poi posto sui voti, e sul modo in cui determinano la carriera scolastica. Personalmente ritengo che sia giusto essere chiari e rigorosi nei criteri di promozione, ed evitare facili buonismi, però il ritorno al rigore non deve essere inteso come semplice movimento pendolare, del tipo “finalmente si torna a bocciare”. Il buonismo non nasceva solamente dal lassismo, ma era anche l’effetto, probabilmente semplicistico, della consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti esistenti per valutare i ragazzi e per sostenere il loro percorso scolastico.
L’indagine Pisa ci dice, ad esempio, che esiste una bassa relazione tra risultati dei test e voti di profitto; in alcune scuole si boccia molto, in altre meno. Al Sud si assegnano voti più alti che al Nord. Qual è il criterio in tutto questo? Nel momento in cui si vuole tornare a dare più importanza al voto (giusto) bisogna anche sostenere l’esercizio del voto per renderlo il più possibile strumento non casuale di giudizio. E questo non mi sembra che sia stato fatto; non è cosa che si possa fare in un giorno, od in un anno, mi rendo conto, ma non riesco a vedere neanche le premesse.
Un sistema che vuole introdurre il merito non deve mirare solo all’anello più debole della catena, ai ragazzi, ma deve creare un ambiente condiviso di attenzione ai risultati, in cui tutti si assumano le proprie responsabilità, ed anche questo non solo manca ma neanche viene messo in moto. Manca ad esempio ancora una strategia relativa al Servizio nazionale di valutazione, al di fuori della distribuzione di test a campioni di studenti scelti all’interno di scuole volontarie; come dire siamo sempre all’anno zero. Non si parla di valutazione esterna degli istituti, di indicatori di performance, di riforma del corpo ispettivo, ecc.
Sia chiaro, non voglio fare del benaltrismo. Da qualche parte bisogna anche cominciare, e potrebbe anche andare bene cominciare dai voti; tuttavia bisognerebbe nel frattempo mandare almeno alcuni segnali che mostrano che si vuole affrontare il problema in modo più ampio, e questi segnali ancora non li vedo.

domenica 18 ottobre 2009

LUOGHI COMUNI E REALTÀ SU OCCUPAZIONI E DINTORNI

Su questo blog abbiamo spesso denunciato i danni provocati da una società che non fa rispettare le regole ai suoi ragazzi. Un colpevole autoinganno fa perseverare molti adulti in alcune inconsistenti convinzioni e luoghi comuni:
1. L’occupazione, certo, non è in sé un fatto positivo, ma per i ragazzi costituisce un importante“rito iniziatico”.
Purtroppo nella maggioranza dei casi le occupazioni risultano deludenti per gli studenti che vi prendono parte e comunque diseducative, perché non si scontrano con interlocutori solidi e non ottengono in genere nulla, quando non creano danni gravi (vedi articolo su quelle fiorentine).
2. È giusto che attività politiche o manifestazioni studentesche abbiano luogo regolarmente nell’orario scolastico (e pazienza se vi partecipa solo una minoranza e gli altri vanno a casa).
Le iniziative degli studenti potranno essere prese sul serio dall’opinione pubblica quando si svolgeranno di pomeriggio e non faranno perdere ore di lezione. Sarebbe d’altra parte una scelta fondamentale di politica scolastica quella di favorire l’associazionismo studentesco in orario extrascolastico come luogo di crescita culturale e civile, che costituirebbe una reale alternativa alle occupazioni e alle autogestioni.
3. In nome della democrazia si possono tollerare cortei non autorizzati (per non parlare di quelli autorizzati) anche se paralizzano il traffico di un’intera città.
Sarebbe altamente educativo - oltre che doveroso - che a nessuna manifestazione politica, studentesca o no, fosse consentito di ledere i diritti di altri.
4. Non essendo l’Italia uno Stato di Polizia, è ovvio che se un preside chiama la forza pubblica, perché gli studenti impediscono di fare lezione, quest’ultima di solito non venga neppure o, se arriva, si produca tutt’al più in paterne raccomandazioni.
Leggi, forze dell’ordine, magistratura, dirigenti scolastici dovrebbero convergere nel far capire ai ragazzi quali sono i loro doveri accanto ai loro diritti.
5. Per promuovere il senso di responsabilità e prevenire vandalismi e altri comportamenti antisociali è prioritario lo studio dell’educazione civica o il seguire qualche progetto di “educazione alla legalità”.
Alle regole si educa prima di tutto facendole sempre rispettare. Solo così si è credibili anche nell’ora (senz’altro utile) di “educazione alla cittadinanza”.
Da qualche anno la scuola - prima con Fioroni, poi con la Gelmini - sta facendo dei passi avanti (non senza errori e incertezze) sulla via del rigore e della responsabilità. Troppi adulti, purtroppo, e fra questi non pochi insegnanti, si attardano in presunte trincee antiautoritarie, abdicando in sostanza al compito di dare degli autentici punti di riferimento alle nuove generazioni.

(GR)

martedì 6 ottobre 2009

MERITO: LA SCUOLA NON PUÒ PROMUOVERLO DA SOLA

Sia nel mondo del lavoro che nella carriera politica il merito è tutt'altro che di casa. Di fronte a tanti cattivi esempi (quelli "dall'alto" specialmente nocivi), "come possiamo poi prendercela con la scuola?". Se lo chiede Innocenzo Cipolletta in un sensatissimo intervento sul "Sole 24 Ore".

RESPONSABILITÀ (CIVILE): AI DOCENTI L'ONERE DELLA PROVA

Per gli incidenti ai ragazzi verificatisi a scuola si è largamente affermata l'inversione dell'onere della prova (è quasi sempre l'insegnante che deve dimostrare di aver vigilato a sufficienza), tanto che un preside ha potuto sostenere che la responsabilità del docente scatta automaticamente. Niente dimostra in maniera tanto eloquente quanto la nostra società comprende e sostiene il difficile compito di chi forma le nuove generazioni. Leggi.

lunedì 5 ottobre 2009

FRANCIA: SOLDI ALLE CLASSI CONTRO LA CATTIVA CONDOTTA E L’ASSENTEISMO (CHE IN ITALIA È PRATICAMENTE LEGALIZZATO)

Il “Corriere della Sera” riferisce di un progetto sperimentale che riguarda tre istituti professionali di Créteil, a sud-ovest di Parigi: se la classe manterrà le assenze e la condotta “entro parametri accettabili” conquisterà un “bonus” da 2000 a 10.000 euro, utilizzabili in “progetti educativi collettivi” da concordare con gli insegnanti: dai corsi preparatori per la patente (sic) ai viaggi di istruzione. Non è dato sapere quali siano i “parametri accettabili”, ma sembra proprio la classica iniziativa da ultima spiaggia. C’è da credere che si comincerà l’esperimento - limitato a centocinquanta ragazzi - dalle classi col maggior tasso di assenteismo e/o di condotte inaccettabili. Si premierà quindi il demerito?
In attesa di ulteriori chiarimenti, va notato che in Italia l’assenteismo è in pratica legalizzato: l’anno si perde soltanto con oltre cinquanta giorni di assenza comunque motivata, cioè un quarto dell’anno scolastico (dl 19.2.04, art. 11, comma 1); e naturalmente ogni scuola può oltrepassare questo limite, stabilendo autonomamente “motivate deroghe” per “casi eccezionali”.
Poiché i messaggi di serietà si danno in tanti modi e le piccole riforme sono spesso più efficaci delle “grandi”, perché non ridurre drasticamente questo “bonus” a un massimo del 10% (circa venti giorni), con possibilità di superarlo, entro certi limiti, solo dietro certificazione medica?
Leggi l’articolo di cronaca e il commento di Eraldo Affinati.

(GR)

mercoledì 16 settembre 2009

GIORGIO ISRAEL: "SI CERCA DI FABBRICARE IN PERFETTA MALAFEDE UN CAPRO ESPIATORIO"

Il professor Giorgio Israel è uno dei più incisivi e perseveranti sostenitori di una scuola seria, qualificata, rigorosa; l’unica, è bene ripeterlo e ripeterlo ancora, che serva a chi parte socialmente svantaggiato. Il facilismo scolastico è invece classista, perché da una scuola che dà e pretende poco escono attrezzati in modo adeguato solo i ragazzi che “partono bene”, come molti anche a sinistra (non tutti, però) hanno ormai capito.
Ebbene, nei giorni scorsi il professor Giorgio Israel è stato indicato su un blog come l’eminenza grigia delle leggi scolastiche di questo governo e il principale responsabile anche delle sofferenze dei docenti precari. Gravissimo poi è che sia stato prima qualificato come “l’ebreo Israel” e poi accostato a Marco Biagi, in quanto anche lui “puparo” di una riforma, quella del lavoro, per cui le Brigate Rosse decisero di assassinarlo. Di questo attacco intimidatorio e antisemita Israel scrive oggi sul “Giornale”, cominciando col precisare che la commissione sulla formazione dei nuovi docenti da lui presieduta non c’entra un bel nulla con il problema del precariato, che semmai contribuirà a prevenire attraverso l’istituzione del numero programmato nell’accesso ai percorsi universitari che abiliteranno all’insegnamento.
Va anche di nuovo sottolineato, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, che se la principale responsabilità dell’odissea dei precari ce l’hanno più o meno tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi decenni (interessi clientelari e scuola come ammortizzatore sociale) con l’evidente connivenza dei sindacati, una notevole influenza l’hanno avuta proprio i gruppi politici e sindacali di estrema sinistra. Che riuscirono a imporre negli anni settanta i corsi abilitanti non selettivi, in cui quasi ovunque si evitò il sia pur minimo accertamento sulla preparazione disciplinare e metodologica dei docenti. E che successivamente continuarono a battere sul “diritto al lavoro”, contando sul perpetuarsi delle sanatorie e senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine.

martedì 8 settembre 2009

QUALCUNO FARÀ AI NOSTRI RAGAZZI UN DISCORSO COME QUELLO DI OBAMA?

Il saluto di Barak Obama agli studenti americani all'inizio dell'anno scolastico è incentrato sugli stessi valori che lo hanno ispirato nel rivolgersi agli africani e ai neri d'America: responsabilità, impegno, perseveranza sono indispensabili per riuscire nella vita. Nessuna traccia di quella retorica piaciona e giovanilista così frequente da noi in chi parla agli studenti; neanche il minimo cenno a un qualche "diritto al successo formativo".
Pubblichiamo alcuni passaggi particolarmente importanti dell'ampio estratto apparso su La Stampa.it. Il corsivo è nostro.

Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione. E ho molto parlato di responsabilità. Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano. Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire. [...]
Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. [...]
Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport. Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone. Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro, ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.

Leggi tutto il testo pubblicato dalla Stampa on line.

lunedì 7 settembre 2009

PRECARI: LE GRAVI RESPONSABILITÀ DI POLITICA E SINDACATI

di Sergio Casprini

Siamo all’inizio dell’anno scolastico, di un anno in cui dovrebbe definirsi il quadro della tanto attesa riforma delle superiori e nello stesso tempo dovrebbero andare in vigore le nuove norme di formazione e reclutamento dei docenti, contestualmente all’approvazione di una legge sulla carriera degli insegnanti con una diversa articolazione di figure professionali; e tutto questo passa in secondo piano a fronte dell’annosa questione dei precari della scuola, che hanno occupato le pagine dei giornali con le loro mobilitazioni in tutta Italia.
Nessuno può negare la gravità del problema di docenti ormai attempati che di anno in anno inseguono il miraggio del posto fisso nella scuola. Per decenni le politiche scolastiche sono state influenzate più dal mito della piena occupazione della “forza lavoro intellettuale” nella scuola e da convenienze clientelari che dall’intento di perseguire la qualità della formazione dei giovani. Un mito non a caso nato negli anni settanta nella sinistra politica e sindacale, ostile al merito e alla necessaria selettività nella formazione e nel reclutamento dei nuovi docenti e incline a confondere il piano della didattica e delle sue necessarie riforme con il piano del diritto al lavoro. Come accadde ad esempio con la riforma dei moduli nella scuola primaria, con cui venne spacciata per grande innovazione didattica (il modulo dei tre maestri in una classe) l’assunzione di molte migliaia di nuovi docenti.
Quanto ad alcune forme di protesta che i precari hanno messo in atto, così come alcune di quelle dello scorso anno contro la riforma Gelmini, continuo ad essere del parere che il fine non giustifica i mezzi, se si vuole rivendicare non solo il lavoro, ma anche la dignità e la responsabilità della professione docente.

giovedì 3 settembre 2009

NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 3. Organismi studenteschi

Le forme più appropriate di partecipazione studentesca al governo della scuola (s’intende, nelle scuole superiori) non dovrebbero consistere, come si è accennato nella prima di queste tre note, in una presenza diretta, specie se numericamente significativa (e quindi potenzialmente decisiva) all’interno del Consiglio d’Istituto (di Amministrazione, di Indirizzo...), ma nella possibilità di rappresentare in vari modi le proprie esigenze, far valere il proprio punto di vista, avanzare proposte, ottenere informazioni e via dicendo. Oltre a questo, però, sarebbe di grandissima importanza che venisse favorito all’interno delle scuole un autonomo associazionismo degli studenti, con relative libertà e responsabilità. La creazione di associazioni o circoli culturali dotati di statuto, di assemblee elettive e di organismi direttivi costituirebbe infatti un’alternativa molto più soddisfacente e formativa alle estemporanee “autogestioni”, non di rado deludenti, per non parlare dello stanco e diseducativo rituale delle occupazioni. Conservo ancora lo statuto del “Circolo culturale Enea Silvio Piccolomini”, che con alcuni compagni di terza liceo fondammo a Siena con l’accordo e il sostegno del Preside e dei professori (era l’anno scolastico 1967/68). Prevedeva un’assemblea con tre rappresentanti eletti per classe e un consiglio direttivo con tanto di presidente e vicepresidente. Il circolo promosse autonomamente incontri pomeridiani con personalità della cultura e con docenti universitari per l’orientamento di noi maturandi, bandì un concorso di poesia, pubblicò un giornale e organizzò la grande festa di fine anno (con l’Equipe 84: i cachet erano ancora contenuti). Senza perdere un’ora di scuola.

(Giorgio Ragazzini)

giovedì 13 agosto 2009

RICOLFI E ISRAEL SU COPIÒPOLI

Luca Ricolfi, in un editoriale di ieri sulla "Stampa") spiega tra l'altro perché le correzioni ai test sono ordinaria amministrazione nell'analisi dei dati e non si tratta pertanto di interessate manipolazioni nordiste. Per il futuro ritiene che si debba puntare su somministratori indipendenti. Giorgio Israel prende oggi le distanze da chi vorrebbe puntare esclusivamente sulle valutazioni oggettive (o presunte tali), escludendo o marginalizzando l'intervento umano (L'insegnante compagno che ti passa i bigliettini). Ambedue sono convinti che alle origini di questa vicenda, oltre alle differenze ambientali di etica civica, ci sia la teoria del cosiddetto "diritto al successo formativo", che qualche anno fa venne a coronare la pluridecennale dottrina pedagogica, per cui l'eventuale insuccesso è responsabilità della scuola e non - almeno in ugual misura - dell'allievo.

martedì 11 agosto 2009

COPIÒPOLI: URGE UN'ETICA PROFESSIONALE PER I DOCENTI ITALIANI. E PIÙ CONTROLLI

A quanto pare, la "cortese richiesta" (sic) di non aiutare gli allievi durante le prove Invalsi per l'esame di terza media non ha prodotto grandi effetti e si è dovuto ricorrere a complicate procedure correttive per avere un quadro verosimile dei risultati. Gli aiutini hanno imperversato nel meridione, ma non si può dire che ne sia immune il resto della penisola (leggi). I colleghi hanno qualche attenuante. Non è stato certo un caso che nei decenni passati nessuno abbia mai parlato agli insegnanti (né durante la loro formazione, né dopo) di etica professionale. Il rigore non è mai stato ben visto dalla cultura buonista che ha guidato la scuola dagli anni '70. Sui principi e sulle regole si può chiudere un occhio, complice l'endemico mammismo mediterraneo, quando si tratta di "aiutare" un povero ragazzo. Con questo allenamento pregresso, si arriva alle prove Invalsi, dalle quali si teme che la propria scuola possa venire, se non proprio penalizzata, quanto meno messa in cattiva luce.
In molti Stati occidentali, invece, esistono da tempo i codici deontologici, che elencano gli impegni fondamentali di ogni docente verso gli studenti e le loro famiglie, verso i colleghi e verso la professione. Sarebbe ora che anche da noi se ne cominciasse almeno a discutere, dando modo al mondo della scuola di rendersi meglio conto di quali siano veramente "il bene dei ragazzi" e l'interesse della collettività; e che comportamenti del genere tolgono qualsiasi credibilità al sistema istruzione, comunque riformato e attrezzato, e gli impediscono di funzionare. Per ora prendiamo atto che alla vicenda viene dato un certo risalto sui giornali, anche se nessuno sembra essersi scandalizzato. Solo il presidente di TreeLLLe Attilio Oliva parla apertamente di "etica", oltre che della necessità di controlli e di sanzioni. In altri commenti prevale ancora un linguaggio fra l'eufemistico e l'indulgente. Per esempio, chi fa copiare o suggerisce ha "atteggiamenti opportunistici". E poi, spiega una rappresentante dell'Invalsi, "non si vuole colpevolizzare nessuno. I dati non sono un'accusa nei confronti di ragazzi e docenti: sono un tentativo di innescare comportamenti virtuosi". E infine il Presidente dell'Istituto: " È comprensibile che ci siano insegnanti che cercano di aiutare gli studenti che hanno seguito per tre anni".

sabato 8 agosto 2009

NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 2. Dal volontarismo alla competenza

Una volta evidenziata la diversità di ruoli che insegnanti e genitori (o studenti) dovrebbero avere nel governo di un istituto, i problemi non sono certo finiti. Chiunque abbia esperienza di scuola sa benissimo quanto, nella maggior parte dei casi, sia stato difficile in questi decenni trovare insegnanti che accettassero di candidarsi, soprattutto dopo i primi anni caratterizzati da entusiasmo e spirito di collaborazione. Spesso finiscono per rendersi disponibili persone generose, ma non realmente motivate e tanto meno preparate, e in molti casi gli eletti “obtorto collo” finiscono poi per onorare solo di rado il proprio impegno, tanto che si verifica di frequente la mancanza del numero legale.
Questa concezione volontaristica improntata all’impegno e alla sensibilità sociale, pur apprezzabile, non è più sufficiente. Si tratta di avere chiaro che, come i membri del Consiglio di amministrazione di una qualsiasi azienda di una certa complessità, i docenti eletti in quello che nell’Aprea 2 si chiama “Consiglio di indirizzo”, devono avere quanto meno delle attitudini specifiche, distinte da quelle che servono per insegnare, e assumersi pienamente le responsabilità relative al loro ruolo, a partire da una assidua presenza alle riunioni del Consiglio. Oltre a un incentivo economico (gettone di presenza), che però di per sé non porta necessariamente a un innalzamento della qualità, l’avere svolto per alcuni anni il ruolo di membro del Consiglio potrebbe costituire titolo utile per possibili “sviluppi di carriera”, ad esempio diventare docente senior (per restare nell’ambito del pdl Aprea) o dirigente. In una disposizione del genere chi ha attitudini di carattere organizzativo e progettuale potrebbe trovare un incentivo a candidarsi. In alcuni casi potrebbe essere opportuno organizzare per i nuovi eletti brevi corsi di formazione sulle competenze dell’organismo di cui sono entrati a far parte. (GR)

[Segue]

mercoledì 5 agosto 2009

NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 1. Insegnanti e genitori

Come sottolinea il commento di Sergio Casprini, la nuova versione del pdl Aprea riaffida a un genitore la presidenza del “Consiglio di indirizzo” e prescrive la pariteticità della rappresentanza di genitori e docenti. Nelle superiori, con l’aggiunta degli allievi, c’è addirittura il rischio di una preponderanza degli “utenti”.
In altre parole: non si prende atto dell’esaurimento (o meglio del fallimento) del modello di partecipazione nato negli anni ’70, non si provvede all’indispensabile professionalizzazione del governo delle scuole e per di più si rimane al di fuori di una corretta visione delle responsabilità decisionali nella scuola pubblica. Fino a oggi, che si sappia, a nessuno è mai venuto in mente di far presiedere gli ospedali alle associazioni dei consumatori, né a metter sullo stesso piano tecnici e utenti nei consigli di amministrazione.
Su quest’ultimo punto è opportuno leggere almeno qualche riga di un saggio di Carlo Marzuoli, docente di diritto amministrativo nell’Università di Firenze (L’istituto scolastico autonomo in Istruzione e servizio pubblico, Il Mulino):
"Le pubbliche amministrazioni hanno il potere e la responsabilità di operare nell'interesse pubblico e detto potere e responsabilità debbono rimanere in capo all'am­ministrazione. [...] I diritti di conoscenza e di partecipazione procedimentale, che dan­no agli interessati [genitori e studenti] la possibilità di far valere il loro punto di vista, le loro esigenze, ecc., contribuiscono a una mi­gliore possibilità di tutela di tali interessi, a completare l'insieme degli elementi di cui l'amministrazione deve te­ner conto, a rendere più trasparente e controllabile l'am­ministrazione. Al tempo stesso, non pregiudicano il pote­re e la responsabilità dell'amministrazione, la quale rima­ne pur sempre, dopo aver tutti ascoltato e tutto valutato, l'unica responsabile della decisione".
Nel nostro sistema i titolari del governo della P.I. e quindi anche della scuola devono essere designati “con le forme del sistema politico-rappresentativo (organi politici) o del merito tecnico-professionale accer­tato con procedure pubblicistiche”, come appunto succede (o dovrebbe succedere) per dirigenti e docenti. Un Consiglio di Indirizzo in cui si creasse una presenza consistente o addirittura una maggioranza di genitori (o di genitori e studenti), il criterio dell’interesse pubblico (e in un certo senso lo stesso carattere pubblico della scuola) non potrebbe considerarsi pienamente rispettato. (GR)

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sabato 1 agosto 2009

DALL’APREA 1 ALL’APREA 2 IL PASSO... È INDIETRO

Il Disegno di Legge Aprea, presentato all’inizio della Legislatura (maggio 2008) riguarda fondamentalmente due grandi questioni: la governance delle scuole dell’autonomia e un diversa articolazione dei profili professionali dei docenti.
Le recenti polemiche sulla proposta leghista di test sulla conoscenza dei dialetti hanno messo in secondo piano il fatto che quel testo, su cui la Commissione Cultura ha a lungo discusso e su cui lo scorso inverno c’erano state tantissime audizioni (tra cui quella del Gruppo di Firenze), è stato profondamente cambiato e secondo la nostra opinione in peggio. In sintesi ecco le nostre principali obiezioni al nuovo testo.
L’attuale Consiglio d’Istituto nell’Aprea 1 si chiamava “Consiglio di Amministrazione” e la sua composizione veniva in pratica affidata alla discrezionalità dei singoli Istituti, cosa che non può dare alcuna garanzia di buon governo. Nell’Aprea 2 il “Consiglio di indirizzo” (come ora si chiama), conferma invece quasi del tutto l'inadeguato assetto vigente: rappresentanza paritaria di docenti e genitori, a uno dei quali va di nuovo la presidenza del Consiglio, mentre nella versione precedente del DdL questo ruolo toccava giustamente al Dirigente Scolastico. Inoltre negli istituti superiori si dovrà garantire anche una rappresentanza degli studenti, quindi genitori e studenti sarebbero in numero maggiore rispetto ai docenti. Noi pensiamo che il criterio della “partecipazione paritaria” debba essere superato, perché certamente i rappresentanti di genitori e studenti devono svolgere una fondamentale funzione di controllo e di garanzia, ma il governo di un istituto scolastico autonomo, con le nuove e delicatissime responsabilità che il progetto gli assegna, esige un'adeguata competenza e una piena responsabilizzazione dei membri del Consiglio, che a genitori e studenti non possono per forza di cose essere richieste.
Inoltre, ciliegina sulla torta, il Consiglio di Indirizzo redige il Piano dell’offerta formativa che da sempre è stato uno dei compiti fondamentali del Collegio dei docenti.
Anzi, in questo nuovo disegno di legge il Collegio dei docenti non esiste più, sostituito dai dipartimenti di aree disciplinari e interdisciplinari, i quali ovviamene avranno un ruolo solo esecutivo rispetto alle indicazioni didattiche deliberate dal Consiglio di indirizzo in cui i docenti, come si è visto, hanno un minor peso politico, in senso professionale e culturale.
Eppure l’ispirazione iniziale con cui l’Aprea aveva presentato nel 2008 questo disegno di legge era stata quella di ridare al docente prestigio professionale, anche attraverso la creazione di un’area contrattuale autonoma degli insegnanti, obiettivo storico delle associazioni professionali contro le prevaricazione dei sindacati della scuola.
In questa nuova versione del DdL il principio dell’autonomia contrattuale è rimasto, ma con la mancanza di un ruolo più significativo dei docenti nel governo della scuola non ha più la stessa importanza. Aggiungiamo la contemporanea sparizione dal Ddl degli organi di rappresentanza professionale a livello regionale e nazionale, che nell’Aprea 1 dovevano “garantire l'autonomia professionale, la responsabilità e la partecipazione dei docenti ... alle decisioni sul sistema educativo”, per misurare l'entità del passo indietro sul terreno di una decisiva valorizzazione della funzione docente.
(Sergio Casprini)

giovedì 30 luglio 2009

È PIÙ CLASSISTA LA SCUOLA MINATA NELLA SUA "AUCTORITAS"

Nel suo articolo di ieri sulla "Stampa" (L'anno in cui nelle scuole morì l'autorità), Mario Vargas Llosa giunge alle stesse conclusioni di Luca Ricolfi una settimana prima: l'egualitarismo e il discredito del ruolo di insegnante, propugnati in chiave di libertà dall'oppressione, finiscono per cristallizzare le differenze nelle condizioni di partenza.

mercoledì 29 luglio 2009

ANCORA SUI PRESIDI DAL SUD

"La Stampa" torna sulla questione dei prèsidi meridionali sollevata dall'amministrazione provinciale di Vicenza. Saranno 647 i nuovi dirigenti in servizio dal 1° settembre. "Quasi tutti meridionali", dice l'articolo. Per la verità, gli addendi che dovrebbero portare a questa cifra, elencati più sotto con la specificazione della regione di provenienza, darebbero come somma 719. La sostanza, comunque, non cambia.
Intanto Giovanni Belardelli critica severamente chi ha gridato allo scandalo per l'ordine del giorno vicentino: Lo spauracchio del razzismo per allontanare la verità.

LA SCUOLA CHE MENTE E INGANNA SÉ STESSA

Il collega Vincenzo Pascuzzi ci invia un lungo testo intitolato
Merito, rigore, scrutini finali e voto di consiglio. Quando la scuola mente e inganna se stessa, in cui esamina (peraltro dopo aver premesso di non credere alla "terapia del rigore") "uno snodo, temporale e decisionale, di importanza fondamentale nella vita della scuola: gli scrutini finali di giugno", descrivendo, con riferimento alla propria esperienza nelle scuole superiori, "come essi vengono preparati, gestiti, quali sono gli attori, le parti che recitano sulla scena e dietro le quinte". Pubblichiamo le parti essenziali di questa che potremmo anche chiamare "fenomenologia della valutazione finale".

In genere e in quasi tutte le scuole, gli scrutini intermedi, che avvengono a gennaio-febbraio (se sono quadrimestrali), hanno uno svolgimento semplice e tranquillo: ogni docente mette i suoi voti, si discute della classe, dei singoli alunni, dei programmi e di qualche episodio o situazione particolari, si fanno alcuni confronti all’interno della classe e anche complessivi. [...] Ci sono poi dei colleghi o colleghe che, già all’inizio dell’anno, spontaneamente ti confidano la loro disperazione in relazione ai non-apprendimenti nella loro disciplina. Più o meno: “Non sanno niente, non stanno attenti, non seguono, non fanno i compiti, non portano libri e quaderni, … Ma quest’anno non sarà come l’anno scorso, eh, no! Non mi faccio più fregare, eh, eh, quest’anno boccio, boccio!”. Ciò avviene verso ottobre-novembre, magari in occasione del 1° pagellino. Effettivamente questi colleghi o colleghe arrivano al primo quadrimestre con votacci a chi merita. Poi, già verso marzo-aprile, sfuggono, evitano di parlarti e anche di salutarti e poi – quasi per miracolo - te li ritrovi allo scrutinio finale con quasi tutte le loro insufficienze sanate! [...]
Ma veniamo agli scrutini finali di giugno che decidono su promozioni, bocciature, sospensioni di giudizio. A volte il/la preside inizia i lavori esordendo: “nell’altra classe, appena scrutinata, non abbiamo bocciato nessuno!” oppure “solo uno che però non veniva mai, ritirato di fatto”. Chiunque capisce che questo è un robusto … aperitivo del cosiddetto “buonismo”. Poi lo scrutinio prosegue col definire le situazioni individuali che hanno numerose e gravi insufficienze: oltre sei o sette insufficienze – in genere ma non sempre - non c’è scampo, gli alunni vengono bocciati. Intorno alle cinque o sei insufficienze, indipendentemente dalla loro gravità, si comincia a discutere a confrontarsi. Non si parte dalle indicazioni del Collegio ma dall’opportunità di bocciare l’alunno con riferimento (in genere sotto traccia) alla consistenza numerica della classe. I riferimenti, gli appigli possono essere i più vari: dalle capacità e potenzialità possedute ma non espresse, alla situazione familiare disastrata, all’ipotesi dell’eventuale abbandono della scuola, a minimi miglioramenti di profitto o comportamentali,… insomma non è affatto raro (anzi!) che di sei o cinque insufficienze, due o tre vengano tranquillamente condonate e le altre diventino debito per settembre. Debito formale cioè con esito positivo in genere scontato (al 95%). Così in una classe, in cui la metà doveva essere sicuramente bocciata, solo due o tre alunni vengono respinti. Di conseguenza, si manda rinforzato un chiarissimo messaggio per l’anno scolastico successivo: non serve studiare! Da decenni, la scuola (alunni, docenti, presidi) e le scuole sono come prigioniere di un “vortice” perverso senza speranza e possibilità di poterne uscire! Ogni anno si raccolgono i frutti indigesti o velenosi dell’anno prima e si seminano quelli per l’anno dopo! Al di fuori delle scuole (cioè USP, USR, Miur ma anche partiti, sindacati, associazioni, media) questa situazione o non è percepita o non interessa (oppure fa comodo?). Nello svolgimento degli scrutini, lo strumento che, che viene usato in modo improprio e perverso, che mantiene e alimenta il “vortice” detto è il voto di Consiglio. Questo – a mio giudizio – trova la sua ragion d’essere o nei confronti di singoli (o rari) alunni con difficoltà vere e per loro insormontabili in qualche disciplina o per rimediare l’eccessiva severità di singoli (o rari) docenti. Invece l’uso del voto di Consiglio è adesso massiccio, eccessivo, generalizzato, è diventato un abuso. Le scuole ne sono diventate dipendenti come se fosse una droga! Anzi spesso il voto di Consiglio non viene nemmeno formalizzato. Per fare prima si chiede, si impone ai docenti di modificare direttamente loro le valutazioni insufficienti inizialmente proposte come se le avessero messe con leggerezza, per capriccio, dispetto, errore. Nulla compare nei verbali! È la scuola che mente e inganna se stessa!

domenica 26 luglio 2009

IL VERO SCANDALO DI VICENZA

di Valerio Vagnoli

La mozione pressoché unanime del Consiglio Provinciale di Vicenza, che invita ad escludere i presidi di altre regioni (ma in realtà, e capiremo perché, solo quelli meridionali) dai posti di dirigente vacanti in quella provincia, è pienamente condivisibile; e non si tratta, analizzati i fatti, di uno scandaloso comportamento razzista. Lo scandalo c’è, eccome, ed è di una sconcertante gravità; ma a darlo sono stati ben altri soggetti che non i consiglieri vicentini, che evidentemente non si arrendono al travolgimento della legge che perdura senza rispetto in questo Paese.
Alla base della loro decisione, come ha spiegato con molta chiarezza su vari organi d’informazione l’assessore alla Pubblica Istruzione di quella provincia, vi è lo sdegno per come si sono comportate diverse commissioni d’esame in occasione dell’ultimo concorso per dirigenti scolastici (indetto nel 2004 e completato esattamente due anni fa) e per come sono andate successivamente le cose. Oltre ad essere a carattere regionale, il bando prevedeva in modo preciso e prescrittivo che in ogni regione si rendesse idoneo un numero di concorrenti pari al numero dei posti a disposizione più una riserva del dieci per cento, in modo da poter coprire eventuali nuove sedi resesi libere, sempre a livello regionale, nei due anni successivi. Se in molte regioni italiane le Commissioni d’esame hanno rispettato la legge, procedendo tra l’altro ad una selezione senza precedenti, in altre regioni (spiace dirlo, ma esclusivamente del Sud), le commissioni hanno fatto superare l’esame, oltre al numero previsto per legge, anche ad altre centinaia e centinaia di concorrenti, dichiarati idonei, ma con poche speranze d’essere nominati nei due anni successivi al concorso. Niente paura, però; grazie anche alla sponsorizzazione dei sindacati, in testa l’Associazione Nazionale Presidi, si è trovato il modo di far approvare dal governo Prodi una leggina che permette ora a queste centinaia di persone di poter essere nominate sull’intero territorio nazionale, quando nelle regioni in cui la legge è stata rispettata si siano esaurite le graduatorie. L’ingiustizia è evidente e quindi la protesta pienamente fondata: non c’entra nulla l’essere meridionali, c’entra l’essere stati indebitamente favoriti. Una deroga al numero di idonei previsto dal bando di concorso avrebbe dovuto essere eventualmente autorizzata in ugual misura in tutte le regioni, in modo da non creare una così grave discriminazione. Non per nulla molto probabilmente in Sicilia il concorso venga annullato per le gravissime e palesi irregolarità.
Che i sindacati si siano dati tanto da fare per sponsorizzare tanta nefandezza è, dal loro punto di vista, più che spiegabile: centinaia di nuove tessere sindacali hanno un valore enorme, perché possono essere determinanti, per esempio, nella contrattazione nazionale relativa ai contratti dei presidi e di quant’altro che li riguardi. Altro che il merito!
Meno comprensibile, invece, che politici e commentatori anche autorevoli, come ad esempio Miriam Mafai, parlino, a proposito della posizione presa dalla provincia di Vicenza, di razzismo e apartheid nella scuola. Evidentemente non si sono informati in proposito. Certo, un titolo come Scuola, in Veneto presidi della nostra terra, lanciato in prima pagina dalla “Padania”, cavalca strumentalmente la faccenda in chiave etnica. Ma qui si tratta di stato di diritto, non di etnia e tanto meno di apartheid. E sarà bene che il governo e il parlamento ristabiliscano in questa vicenda un minimo di equità, se non si vuole fomentare proprio quell’intolleranza che tanto si stigmatizza a parole.

[La notizia dell'ordine del giorno della provincia di Vicenza è stata data da "Repubblica" giovedì 23 luglio ed è poi stata ampiamente ripresa e commentata nei giorni seguenti su altri quotidiani]

giovedì 23 luglio 2009

RISPETTO DEI FATTI E LUOGHI COMUNI

“La Stampa” pubblicava ieri in prima pagina un intervento di Umberto Veronesi (Ma io boccio la scuola che boccia), il quale, spiace dirlo, ha pensato di spendere la sua grande autorevolezza in un campo in cui autorevole non è, come mostrano le cose che scrive. Pur dicendo di apprezzare diversi aspetti dell’analisi di Marco Rossi Doria sulle stesse colonne (questa sì autorevole, perché fondata sulla profonda conoscenza delle cose di cui tratta), non sembra averne colto soprattutto il rigoroso riferimento ai fatti. L’articolo di Veronesi mette insieme molti degli slogan e dei luoghi comuni prodotti nelle ultime settimane dal dibattito sulle bocciature (il fallimento della scuola, l’autoritarismo obsoleto, la cultura nozionistica, la bocciatura come punizione), suggerendo che “la scuola dovrebbe essere in grado di stimolare la curiosità e la creatività”, un po’ come consigliare a un chirurgo l’uso del bisturi.
Sempre sul quotidiano torinese, quasi come in risposta a Veronesi, si può leggere oggi un editoriale di Luca Ricolfi (La scuola ha smesso di insegnare). Anche Ricolfi, come Rossi Doria, invita a partire dalla realtà dei fatti, anche se risulta politicamente scorretto, e conclude la sua analisi affermando che “la scuola facile si è ritorta innanzitutto contro coloro cui doveva servire: un sottile razzismo di classe deve avere fatto pensare a tanti intellettuali e politici che le «masse popolari» non fossero all’altezza di una formazione vera, senza rendersi conto che la scuola senza qualità che i loro pregiudizi hanno contribuito ad edificare avrebbe punito innanzitutto i più deboli, coloro per i quali una scuola che fa sul serio è una delle poche chance di promozione sociale.”

sabato 18 luglio 2009

NON FA MALE RIPETERE UN ANNO

Con questo titolo, la stampa pubblica oggi in prima pagina un intervento di Marco Rossi Doria, insegnante a lungo impegnato come "maestro di strada" contro l'abbandono scolastico, che tra l'altro è stato uno dei principali consulenti del ministro Fioroni. L'autore si schiera dalla parte di coloro che giudicano come un fatto sostanzialmente positivo l'aumento delle bocciature, prendendo le mosse dalla constatazione che praticamente tutte hanno origine in gravi carenze e mancanza di impegno o in comportamenti inaccettabili, come del resto avevamo sottolineato nei giorni scorsi. Giustamente Rossi Doria sostiene che si tratta soprattutto di riprendere a educare all'esercizio della responsabilità.
A questo proposito, sulle pagine dei giornali di oggi va anche segnalato il bel discorso del presidente Obama ai neri d'America, in cui li esorta ad assumersi per l'appunto la responsabilità del proprio destino e in particolare a puntare sull'impegno nello studio per riscattarsi dalla loro condizione: "Crescere in quartieri poveri non è una giustificazione per prendere brutti voti a scuola, nessuno ha già scritto il vostro destino per voi". Sarebbe importante che lo spirito di questo discorso fosse fatto proprio con convinzione anche dal mondo della scuola italiana.
Giorgio Israel sul "Messaggero" ripropone la necessità di valorizzare il merito nella scuola anche attraverso la competizione e rivendica il ruolo del buon senso, seguendo il quale un modesto aumento delle bocciature non è il fallimento della scuola, ma un segno che quest'ultima non è defunta e reagisce.
Infine va segnalato anche, a completare il quadro di chi vede una svolta positiva nel maggior rigore delle valutazioni, l'intervento di Enrico Musso sul "Secolo XIX": Chi ha paura della scuola fondata sul merito.

giovedì 16 luglio 2009

E IL PRESIDE DISSE: MA PROFESSORESSA, COPIARE NON È UN REATO...

La collega Rossana Cetta ci ha segnalato un suo testo intitolato Rigore, etica, responsabilità: assenti nella scuola. Vi si riferisce tra l’altro il seguente episodio.

Mi è capitato di essere contestata dagli alunni di una classe perché durante i compiti in classe facevo una sorveglianza troppo attenta, impedendo loro il rituale passaggio di biglietti e sbirciatine sui libri di testo e sui temari. In quell'occasione fui richiamata dal preside il quale tenne a precisarmi che non è un reato copiare il compito da un compagno più bravo e che dovevo instaurare un clima di collaborazione e di maggiore distensione durante le prove di verifica”.

Ogni commento - come suol dirsi - è superfluo. O forse no.

Leggi tutto il testo.

martedì 14 luglio 2009

ACCADE ANCHE IN ITALIA: LA LEGGE È LEGGE

Era bravissima, era da cento e lode, ma durante la prova di matematica aveva un telefonino in mano e lo guardava. Tanto è bastato per essere allontanata dall'esame di maturità; di conseguenza dovrà ripetere l'anno. Stranamente è successo in Italia. Complimenti agli esaminatori che hanno mantenuto questa difficile, ma giusta decisione. Chissà, forse la studentessa dalle sue precedenti esperienze e osservazioni aveva avuto più di un motivo per concludere che nella scuola e nella società italiane le regole in genere sono considerate al più dei consigli, degli orientamenti di massima che non hanno quasi mai serie conseguenze. Leggi

venerdì 3 luglio 2009

LA BOCCIATURA: "UN SADISMO INUTILE"?

È l'opinione di Sandro Lagomarsini, parroco alla Don Milani di Cassego nel Comune di Varese Ligure, sulle montagne di La Spezia, collaboratore di "Avvenire" e autore del libro Ultimo banco. Per una scuola che non produca scarti (Libreria editrice fiorentina). Convinto che ripetere l'anno non serve mai a nulla (basta sentire "un insegnante di buona esperienza"), con le nuove norme di valutazione della Gelmini prevede il trionfo dei "bocciatori irrudicibili", degli "insegnanti sadici, tipo quelli che in questi giorni pretendevano di metter 'uno' e 'due' nelle schede dei ragazzi respinti". Leggi l'articolo.

mercoledì 1 luglio 2009

MA QUANTO CI COSTA PROMUOVERE CHI NON LO MERITA?

“ItaliaOggi” dedica un articolo alla ricaduta economica dell’aumento dei ripetenti nel prossimo anno scolastico, con le prevedibili conseguenze sul numero dei docenti e del personale ata (Boom di asini: costeranno 500 milioni in più). Il maggior rigore delle valutazioni si ritorcerebbe quindi contro il rigore finanziario.
Ma quanto sono costati al paese decenni di lassismo, cioè di svalutazione del merito, dell’impegno, della serietà? Quali danni hanno inferto all’economia, al livello dei servizi e delle professioni, non meno che all’etica pubblica? Quanto, infine, hanno occultato le insufficienze della scuola?

Intanto anche su “Sussidiario.net”, il quotidiano on line vicino alla Compagnia delle Opere, si discute sull’aumento delle bocciature. Sul numero di oggi (martedì 30 giugno, anche se questa nota viene pubblicata dopo mezzanotte) Giancarlo Tettamanti (Essere bocciati è un male per i ragazzi? Peggio il buonismo…) risponde a Giovanni Cominelli (Bocciare: a cosa serve?) ricordando che nessuna riforma delle scuola e della didattica potrà mai azzerare le responsabilità di un ragazzo riguardo ai suoi risultati scolastici.

lunedì 29 giugno 2009

LE PROPOSTE DELLA FONDAZIONE AGNELLI SULLA VALUTAZIONE E LA RETRIBUZIONE DEGLI INSEGNANTI

Il "Corriere della Sera" pubblica un intervento del direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto. Ci ripromettiamo di tornare sull'argomento della valutazione degli insegnanti (come, quando, perché) anche a partire da queste proposte. I colleghi, se vogliono, sono invitati a inviarci brevi contributi in proposito, anche di poche parole, o nei "commenti" o tramite l'indirizzo gruppodifirenze@libero.it

domenica 28 giugno 2009

BOCCIATURE COME OPPORTUNITÀ: UNA RISPOSTA AI COMMENTI

di Valerio Vagnoli

Prendo spunto dai commenti al mio intervento E se la bocciatura fosse un’opportunità? sulle bocciature per chiarire alcuni temi.
Quando parlo di permanere, nel nostro sistema scolastico, di modelli seicenteschi, non intendo riferirmi soltanto alla lezione frontale che giustamente uno degli intervenuti difende come strumento didattico dal quale non si può ancora prescindere (salvo vederla propinata per sei-sette ore di seguito anche da parte di docenti di materie tecniche-professionali che richiederebbero, invece, ben altre strategie didattiche). Seicentesco, nel nostro sistema scolastico, è anche il permanere del modello esclusivo della classe al posto di una organizzazione per gruppi di livello o modulare o per classi aperte, come ad esempio nel modello finlandese. Seicentesca, inoltre, è l’organizzazione dello studio, che andava benissimo per una scuola elitaria; meno per una scuola come la nostra.
In uno degli interventi si sottolinea, giustamente, come le scuole italiane siano strutturalmente inadatte a sperimentare nuove strategie didattiche. È vero, tuttavia anche l’esclusività dell’organizzazione in classi contribuisce a non stimolare i responsabili dell’edilizia scolastica ad investire in modo da rivoluzionare strutture e strumentazioni delle scuole di ogni ordine e grado.
Accade, invece, che edifici scolastici possano essere ricavati (succede in alcune grandi città del sud) anche da appartamenti per civili abitazioni collocati al quarto e quinto piano di palazzoni anonimi e tristi per le stesse famiglie che vi abitano, figuriamoci per dei bambini o per degli adolescenti.
Una scuola ove il ruolo della “classe” - nelle scuole superiori - finisse per essere marginale o per scomparire del tutto costringerebbe gli Enti locali a ripensare gli edifici scolastici. Ovvio, tuttavia, che le scuole dovrebbero essere belle e funzionali a prescindere da questo, ma da noi così non è. Ripenso al mio ultimo viaggio in Francia, alla bellezza di gran parte dei suoi edifici scolastici. Scuole di provincia pensate come una sorta di piccolo villaggio con spazi verdi e sportivi da far impallidire i nostri centri sportivi più alla moda. Mense e laboratori pensati per una scuola che risponde a ben altre dinamiche rispetto alla nostra ancora troppo ancorata al passato. Qualcosa vorrà pur dire se negli ultimi anni il meglio del cinema e della narrativa francese ruota intorno al tema della scuola mentre da noi, salvo rarissimi casi (e tra questi è doveroso annoverare l’alzata di scudi dei 16 intellettuali firmatari dell’appello a favore del merito e della responsabilità), siamo rimasti a qualche film macchiettistico, a Mio figlio professore, a Terza B facciamo l’appello e a Io speriamo che me la cavo, oltre ovviamente la solita, oggi retorica, Lettera a una professoressa.
Per quanto concerne i rilievi a proposito della responsabilità della scuola sulle bocciature e quanto poco si faccia per recuperare i meno bravi, rimando all’intervento dell’amico Giorgio Ragazzini.

sabato 27 giugno 2009

IL BUONISMO SI CONFERMA TRASVERSALE: ANCHE PER "FARE FUTURO" LE BOCCIATURE SONO UN FALLIMENTO DELLA SCUOLA

"Libero" dà conto di una polemica interna al PdL e più precisamente tra "L'Occidentale", quotidiano on line vicino alla componente "forzista", e "Ff web magazine", il periodico telematico della fondazione finiana "Fare Futuro". Secondo quest'ultima testata, infatti, "Per ogni ragazzo che non ce la fa superare l'anno, la prima ad aver fallito è l'istituzione scolastica stessa", che è come noto uno degli slogan più fortunati in questi ultimi decenni nel mondo della scuola. Risponde "L'Occidentale": Il futuro scolastico vagheggiato da Farefuturo è perfetto per gli asini. L'articolo su "Libero". Per leggere gli articoli citati: "Ffweb magazine" e "L'Occidentale".

Commento. Il buonismo, come abbiamo sempre detto, pur avendo elaborato i suoi assiomi nell'humus catto-comunista, è poi diventato trasversale e si radica nel carattere italico, mammone e nutrito di colpa e indulgenza tridentine. Tiene a bada la realtà con le astrazioni: chi sono infatti "i bocciati"? Sarebbe utile che qualcuno (adattissimo Giorgio Dell'Arti) sciorinasse davanti ai nostri occhi qualche decina di identikit. Verrebbe forse fuori che una parte non ha potuto scegliere una scuola superiore a lui congeniale per colpa del mito della scuola uguale per tutti che ha squalificato la formazione professionale; qualcuno, partendo da una situazione culturalmente svantaggiata, non si è effettivamente visto offrire tutto l'aiuto che gli era necessario; e che la maggioranza dei bocciati, guardandosi intorno e vedendo andare avanti chi lo non meritava, aveva concluso: "Anche se non studio, mi promuovono lo stesso". (GR)

mercoledì 24 giugno 2009

VALUTAZIONE DEI DOCENTI: SÌ, MA NON "ALLA BERCHET"

Il "Corriere della Sera" dà notizia delle "pagelle" che gli studenti del liceo "Berchet" di Milano hanno dato agli insegnanti. Il Preside, vi si legge, ha acconsentito ad affiggere i "voti" in bacheca. Ma nel programma di radio 3 Fahrenheit viene fuori che il “progetto” era stato addirittura inserito nel Pof. Una scuola che non riesce ancora ad assumersi di fronte alle nuove generazioni la responsabilità di decidere come, quando e perché valutare gli insegnanti (con rigore ed equità), consente però “democraticamente” agli studenti di ergersi a giudici dei “prof” (addirittura di valutarne “la competenza”), istituzionalizzando una loro iniziativa fra il serio e il goliardico, ma inevitabilmente intrisa di spirito di rivalsa sui docenti meno popolari (e si sa che a essere popolari non sono sempre i migliori). È lo stesso atteggiamento indulgente e demagogico con cui da decenni si avallano le occupazioni e la loro forma “benigna”, le autogestioni. Ma si può ridurre la valutazione degli insegnanti a una questione di pura e semplice “customer satisfaction”, per di più affidandone in toto la gestione agli stessi “clienti”? Senza dire che così facendo si finisce per incentivare quella “cultura della supponenza” di cui Claudio Magris denunciava già anni fa il dilagare.
Alla valutazione dei docenti, ai metodi da usare e agli obbiettivi da porsi abbiamo più volte dedicato riflessioni o riportato contributi di altri. Dovremo tornarci. Sarà bene però, anche alla luce di questo episodio, che gli insegnanti si rendano conto che la non-valutazione è un privilegio indifendibile e si decidano a rivendicare il diritto di dire la loro in proposito, in particolare sull'efficacia dei metodi e sull'appropriatezza degli obbiettivi.

Leggi anche il commento di Isabella Bossi Fedrigotti.

martedì 23 giugno 2009

INDAGINE OCSE: L'INDISCIPLINA FRENA L'APPRENDIMENTO

Era ora che nelle indagini internazionali venisse messo in evidenza, come da tempo auspichiamo, il tema del comportamento come causa importante della dequalificazione della scuola. Non si tratta soltanto dei bulli, come il titolo di "ItaliaOggi" potrebbe far pensare, ma anche di ragazzi indisciplinati o semplicemente vivaci; che però fanno perdere in media il 13% del tempo scuola e in un caso su quattro il 30% (circa venti minuti per un'ora di lezione).
L'acronimo TALIS - così si chiama la ricerca - in italiano si scioglie come "Insegnamento e creazione di ambienti di apprendimento efficaci".
La necessità di una scuola più esigente sotto tutti i punti di vista, e in modo particolare rispetto all'impegno e al comportamento, ne esce quindi pienamente convalidata. E' sperabile che nelle prossime indagini il problema venga approfondito, per esempio correlando statisticamente i risultati paese per paese con il livello di serietà richiesto agli studenti dal sistema scolastico. E' indispensabile anche un grosso sforzo per rendere disponibili in tutte le scuole tutti i tipi di qualificate consulenze che l'emergenza richiede. Infine: a quando i primo corsi di aggiornamento sulla condotta? Leggi l'articolo.

venerdì 19 giugno 2009

E SE LA BOCCIATURA FOSSE UN'OPPORTUNITÀ?

di Valerio Vagnoli

Finalmente, viene da dire, il re è nudo, perché dietro all’aumento delle bocciature si può intravedere una scuola nuova che inizia finalmente a dare segni di vita, a fare fino in fondo il proprio dovere, cominciando a trovare il coraggio di prendersi responsabilità che da anni, in generale, non era in grado di prendersi.
Questi dati confermano, anziché il fallimento della scuola, come molti pensano e dichiarano, il vero scandalo durato fin troppo a lungo: quello di aver promosso generazioni di studenti in nome del buonismo o del quieto vivere o per i più svariati timori, non ultimo quello dei ricorsi. Insomma, contrariamente ai molti allarmismi che imperversano un po’ da tutte le parti per i risultati di quest’anno scolastico, mi provo ad andare controcorrente e giudico di buon auspicio quanto è avvenuto. Penso, insomma, che dovremmo rassicurare le famiglie, anche dei bocciati, facendo loro capire che stanno inequivocabilmente per finire i tempi squallidi del diploma “pezzo di carta” da spendere grazie alle raccomandazioni di varia natura, non ultime quelle di stampo clientelare e politico. Non mi dilungo sulle dinamiche economico-sociali che cancelleranno certo costume tipico più di un paese da operetta che non di una nazione che dovrà, oggi più che mai, misurarsi sul piano della competitività e di un’economia sempre più legata alla conoscenza. Mi preme, invece, ricordare e ripetere che solo una scuola in grado di valorizzare il merito può rappresentare un vero ascensore sociale per chi non può contare su clientele o radici familiari fin troppo ramificate nel mondo dei privilegi. Per troppo tempo si è identificato il successo scolastico come patrimonio da distribuire equamente a tutti, impedendo così che si diffondesse, soprattutto tra le famiglie più svantaggiate e povere, la consapevolezza di quanto, invece, proprio la scuola sia importante per ribaltare la loro condizione, spesso storicamente consolidata grazie a chi dalla scuola aveva e continuava ad avere i mezzi e gli strumenti per diventare classe dirigente. Solitamente per molti gruppi politici e per molte delle sigle del sindacato scolastico, la qualità della scuola la si è voluta vedere piuttosto sulla quantità (numero esoso delle materie con corrispondente elevatissimo numero dei docenti, orari scolastici lunghi e tempi della didattica ancora organizzati secondo modelli, non è un’esagerazione, seicenteschi) che non sulla sua qualità: guai a parlare di verifica dei risultati, di valutazione dei docenti e dei dirigenti e via di seguito. Ogni minimo accenno ai principi del pragmatismo da applicare anche al sistema scolastico era ed è ancora oggi esecrato più di quanto don Milani esecrasse i giovani operai del Mugello che alla domenica si mettevano la cravatta. L’irrisione nei confronti delle tre “i” ha contribuito a tener fuori dalla modernità chissà quanti figli di chi con il computer, l’inglese e tanto più con l’impresa, non aveva e non ha niente da spartire. Eppure sono molti i politici e i sindacalisti contrari alle tre “i” che hanno accortamente fatto studiare i loro figli negli Stati Uniti o nelle migliori università italiane ed europee.
Ma torniamo alla bocciatura. Ovvio che non sia una bella cosa ed altrettanto ovvio che si debba fare di tutto per rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisce ai più svantaggiati di godere dei frutti straordinari che una buona scuola può dare. Ma se non bocciare rappresentava, come per certi insegnanti ancora rappresenta, una lotta contro le ingiustizie “di classe” o più banalmente ignavia o superficiale senso di bontà o ancora paura di affrontare le reazioni dei genitori, ben venga questo aumento di bocciature. Può rappresentare finalmente una svolta, un salutare scossone per chi alla scuola ha finito con l’assuefarsi senza dare o attendersi nulla, siano essi docenti, famiglie o studenti.
Do per scontato che la scuola debba formare, prima ancora della classe dirigente, dei buoni cittadini, liberi e appagati innanzitutto dalla loro cultura e dal loro senso critico. Anche per questo trovo che sia esecrabile vedere nella bocciatura solo un’esclusione, una sconfitta per la scuola e non un’occasione per aiutare il maggior numero possibile di giovani a diventare, a tutti gli effetti, dei cittadini degni di questo nome.

"REPUBBLICA" DEI BOCCIATI

Il quotidiano su cui Mario Pirani si è battuto in questi anni per una scuola più esigente gioca oggi senza mezze misure la carta della "strage degli innocenti", dopo i primi dati che segnalano un aumento delle bocciature. Poteva essere un'occasione di utile giornalismo d'inchiesta; ne viene fuori uno grido d'allarme a suon di luoghi comuni. Completamente dimenticato il fatto che è stato un ministro del PD, Giuseppe Fioroni, a suonare per primo la fine della ricreazione, cosa che del resto lo stesso ex ministro "si scorda" purtroppo di rivendicare e con lui il PD.
L'occhiello del richiamo in prima pagina recita: "Aumentano i respinti e i non ammessi agli esami. L'Ocse critica l'istruzione italiana". In questo modo si suggerisce che lo faccia per questo inizio di maggiore severità, mentre si tratta di tutt'altro, come si scopre nell'interno: "I livelli di apprendimento degli studenti sono tra i più bassi, troppi gli insegnanti, demotivati e mai valutati. Le strutture scolastiche sono vecchie e non dispongono di laboratori moderni. Anche la valutazione degli studenti lascia a desiderare". Delle bocciature non si occupa, né "Repubblica" è sfiorata dal sospetto che i bassi livelli di apprendimento possano avere a che fare
con le promozioni facili dispensate in questi anni (ma anche in questi giorni, purtroppo).
Quasi tutti negativi i commenti raccolti, con tutto il repertorio della colpevolizzazione ultradecennale di quegli insegnanti che non ritengono giusto trattare allo stesso modo chi studia e chi no. Leggi l'articolo di Maria Novella De Luca.

Da aggiungere, infine, alla lista degli interventi contrari anche un pezzo di Ilvo Diamanti su Repubblica.it, in cui si mescola di tutto e di più.