domenica 18 dicembre 2022

LICEO OCCUPATO, LA PRESIDE FA INIZIARE LA DAD PER GARANTIRE LE LEZIONI. MA TUTTI I SINDACATI SI INDIGNANO

 

A Firenze una sede del liceo Alberti-Dante viene occupata da “un manipolo” di studenti, come riferisce “FirenzeToday”. Per garantire il diritto allo studio, la preside fa partire in via eccezionale la Didattica a distanza, precisando che chi non segue tutta la lezione verrà considerato assente. I sindacati, che del diritto allo studio si proclamano sempre strenui difensori, contestano la legittimità della decisione e ammoniscono: “La scuola è un'istituzione educativa e come tale deve essere la prima a rispettare rigorosamente le regole, se vuole rappresentare un esempio per i propri studenti”. I quali, evidentemente, va bene che le infrangano; anzi, “le proteste studentesche rappresentano per le realtà educative un'occasione di ascolto e dialogo (come sta avvenendo del resto in altri istituti), da non affrontare in alcun modo con un approccio burocratico o, peggio, come un problema di ordine pubblico".

Sarà bene allora riepilogare i “pregi” di queste “occasioni di dialogo”:

- sono illegali in sé sotto diversi profili e in più sono spesso occasione di altri reati come i frequenti danneggiamenti;

- in aggiunta, sono intrinsecamente antidemocratiche, dato che vengono regolarmente promosse e gestite da minoranze; gli altri o non se la sentono di opporsi o non disdegnano qualche giorno di vacanza;

- fanno perdere giornate di scuola che costano fior di euro ai contribuenti: se si ferma una scuola di 30 classi, se ne perdono 30mila al giorno; 

-  se i motivi delle occupazioni sono concreti (bagni, riscaldamento, sporcizia, come nel caso fiorentino di cui parliamo), ci sono moltissimi modi legali e democratici per farli presenti (lettere, comunicati stampa, manifestazioni pomeridiane, post sui social network). Spesso invece si tratta di confuso e pretestuoso ribellismo ideologizzato di nessuno sbocco concreto;

- con la minaccia di un’occupazione vengono spesso ottenute le cosiddette “autogestioni”, che quasi sempre sono di scarso o nullo valore culturale.

A questo dobbiamo aggiungere la non rara collusione di una parte dei docenti, la condiscendenza di una parte dei genitori, spesso memori delle loro analoghe esperienze, l’aperta legittimazione di un ministro e di un sottosegretario, la disponibilità di vari politici e intellettuali a intervenire nelle scuole occupate e la voluta inerzia di magistratura e forze dell’ordine.

Tutto ciò ha costituito una pluridecennale forma di diseducazione civica dei giovani, di assuefazione al disprezzo delle regole e di discredito per la scuola. E pensare che poi si ha il coraggio di spendere denaro pubblico per i vari progetti di “educazione alla legalità e alla convivenza civile”.

Giorgio Ragazzini

 

giovedì 1 dicembre 2022

L’IRAN E L’EUROPA DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ

 

Mappatura delle proteste in Iran dal 16 settembre al 23 novembre
Fonte ISW

Si sta avverando il sogno di un’Europa sovranazionale, come nel 1941 si auguravano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel cosiddetto Manifesto di Ventotene? Da quando è nata, l’Unione Europea (già Comunità Economica Europea) è cresciuta soprattutto con un compito preciso: contribuire a soddisfare le esigenze di benessere degli europei dopo gli orrori del nazismo, del fascismo e le macerie della guerra. Il suo più grande successo infatti è stato il mercato unico. Ma negli ultimi anni, nonostante le miopie nazionali e le lesioni allo stato di diritto inferte recentemente dall’Ungheria e dalla Polonia, oltre alla mancanza di una difesa comune, sia pure lentamente avanza il processo di unità politica, come nel contrasto al Covid e alle sue conseguenze economiche e con il pieno sostegno all’Ucraina nella sua lotta patriottica contro l’invasore russo, una forte iniziativa di politica estera e di sicurezza. D’altronde l’Europa è la culla di una società aperta, con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, il governo della legge.
Sorprende quindi l’assenza di posizioni altrettanto forti della Comunità europea per quanto succede in Iran, dove, dopo la morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale perché indossava il velo in maniera inappropriata, la repressione violenta di quello stato teocratico non è riuscita ancora dopo due mesi a domare la protesta delle donne iraniane, che si sta trasformando in una sfida sempre più radicale al regime degli ayatollah. E se pure il 14 novembre l’UE ha adottato sanzioni nei confronti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Iran, come ha dichiarato l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea Josep Borrell, si continua ancora da parte delle Istituzioni comunitari a fare poco di fronte alla situazione tragica delle donne iraniane.
Certo non vale come giustificazione il fatto che l’Iran non è un paese europeo come l’Ucraina e quindi non sarebbe legittimo attuare forti iniziative di ingerenza nelle questioni interne di un’altra nazione pur in presenza di gravissime violazioni dei diritti fondamentali, in particolare delle donne.
E di dovere di ingerenza da parte dell’Unione Europea si parla invece in un appello (promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità) sottoscritto da autorevoli esponenti della cultura, dell’Università, della società civile.
L’appello inviato alla rappresentanza dell’UE a Roma e ai deputati italiani a Bruxelles inizia con queste parole: Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle.
Ma in Italia gli studenti e le studentesse hanno protestato contro lo spietato regime teocratico iraniano? Hanno fatto qualche sit in davanti all’ambasciata iraniana a Roma?
Ad oggi le manifestazioni e alcune rare occupazioni di istituti, tra l’altro di minoranze rumorose a fronte di maggioranze silenziose degli studenti, hanno mostrato lo stucchevole rituale di ogni inizio scolastico, con slogan e parole d’ordine contro il ministro della Pubblica Istruzione di turno e il governo in carica, rivelatrici di conoscenze confuse o di visioni ideologiche anacronistiche, senza il possesso di un’effettiva preparazione civica e politica, oltre che storica.
Il ministro Valditara in alcune dichiarazioni ha giustamente richiamato sia i docenti che gli studenti a un maggior senso di responsabilità, da una parte riconoscendo che va ripristinata la dignità e l’autorevolezza del ruolo dell’insegnante, dall’altra invitando gli allievi a un maggior impegno di studio senza più l’uso ludico dei cellulari, auspicando che in classe tornino il concetto di Patria (e di integrazione europea) e il rispetto degli insegnanti. Tuttavia, come altri precedenti ministri della P. I., non ha posto l’esigenza di ridare il giusto valore alle discipline, perno fondamentale di una reale formazione culturale, tra cui appunto la Storia, pena il balbettio infantile dei nostri studenti di fronte a drammatiche crisi internazionali, dove sono in gioco i diritti civili e le libertà dei popoli.

Sergio Casprini
Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, 1° dicembre 2022

mercoledì 30 novembre 2022

IL RICEVIMENTO DEI GENITORI COME COMPETENZA PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI

 

Che la sintonia tra scuola e famiglia sia di grande importanza e possa influire positivamente sul rendimento e sul comportamento degli allievi sembrerebbe pacifico. Tuttavia il come coltivare questo rapporto solo raramente entra a far parte della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti. Eppure non da oggi una sollecitazione in questo senso viene dagli episodi di aggressione fisica o verbale nei loro confronti da parte di madri e padri scalmanati: un numero di casi relativamente basso, ma indicativo di un peggioramento della considerazione in cui è tenuta la scuola. E il modo in cui i rapporti con le famiglie vengono concretamente realizzati può senz’altro contribuire all’apprezzamento della qualità professionale dei docenti, nonché al prestigio di un istituto.

Ci sono in primo luogo gli aspetti organizzativi. La riuscita di un incontro dipende anche dal luogo in cui si svolge. Protezione della riservatezza, tranquillità, un ambiente curato evitano distrazioni e comunicano cortesia e rispetto, possibilmente una stanza ad hoc. I genitori non dovrebbero aspettare il proprio turno in piedi nei corridoi, ma avere almeno la possibilità di sedersi. Nei limiti del possibile, sarebbe giusto che il ricevimento avvenisse su appuntamento, come già avviene in alcune scuole. Disporre, a un’ora certa, di un tempo sufficiente per parlarsi, invece di aspettare in coda, per poi magari doversi accontentare di un incontro frettoloso, genera senza dubbio un senso di maggior considerazione. In questo modo, inoltre, chi lavora può sapere in anticipo per quanto tempo dovrà assentarsi.

Al ricevimento mattutino si aggiunge in genere quello pomeridiano, soprattutto in considerazione delle difficolta di chi lavora. In genere si tratta di due soli pomeriggi all’anno, con l’inevitabile sovraffollamento e un vero e proprio tour de force per i docenti con più classi e per i genitori costretti a lunghe attese.

Una parte di questi problemi, quella del tempo limitato messo a disposizione dei genitori per i colloqui, è originata da una normativa insufficiente. Il contratto della scuola, infatti, prevede che sia il Consiglio d’Istituto, su proposta del Collegio dei docenti, a definire le modalità, la frequenza e il tempo “per assicurare un rapporto efficace con le famiglie”, mentre l’ora di ricevimento è in realtà solo una prassi consolidata. Su questa base, e nonostante la grande disponibilità di moltissimi docenti, è difficile per la singola scuola assicurare qualcosa di più del minimo indispensabile. È doveroso quindi che questo impegno così necessario venga meglio definito e riconosciuto, anche economicamente.

Detto della necessità di un’organizzazione più vicina a quella che tutti consideriamo doverosa quando andiamo da un professionista di qualsiasi genere, è certamente il piano del rapporto personale con le madri e i padri degli allievi quello decisivo. Una maggiore preparazione per gestirlo e utilizzarlo favorisce la costruzione di una buona sintonia sul piano educativo, fondamentale per far sì che all’allievo-figlio arrivino messaggi coerenti dalla scuola e dalla famiglia. Inoltre, se si crea un clima di fiducia reciproca, i genitori possono essere fonte di informazioni utili ai docenti per conoscere meglio i propri allievi, con l’avvertenza che anche il tipo di domande e il modo di porgerle dovrebbe essere oggetto di una riflessione, al pari di come nell’ascolto si può trasmettere interesse e rispetto. Si dovrebbe anche tenere conto di quelle che la pedagogista Vittoria Cesari Lussu ha definito “le componenti sommerse della relazione”, tra cui quella probabilmente più diffusa è la paura di essere giudicati genitori non adeguati in base ai risultati e ai comportamenti dei figli.

E come ci si comporta di fronte a eventuali critiche, a modi scortesi, a sconfinamenti dell’interlocutore nel campo della didattica? Un docente dovrebbe essere preparato a evitare il tipo di reazioni che, nel linguaggio corrente, si indicano con l’espressione “farne una questione personale”, sforzandosi di mantenere l’autocontrollo. Del resto, il fatto stesso di pensare al colloquio come a un momento che comporta una specifica competenza professionale, facendone oggetto di confronto e di aggiornamento, già di per sé avvia una salutare presa di distanza dal coinvolgimento emotivo.

Se poi un genitore dimostra un’evidente incapacità di dialogare e diventa irrispettoso, bisogna evitare di farsi trascinare in un crescendo di botte e risposte, facendo presente che non ci sono le condizioni per proseguire in modo costruttivo.

In conclusione, anche se credo che siano molti i docenti in grado di condurre il ricevimento in modo appropriato basandosi sull’esperienza e sulle proprie attitudini relazionali, è però vero che la perdita di autorità di maestri e docenti e il diffondersi via social della presunzione di poter discutere con competenza su tutto hanno creato un terreno fertile per tensioni e conflitti prima rarissimi. Di qui il fatto che sia oggi necessario, ma anche interessante, dedicare la giusta attenzione a questo aspetto della professionalità di chi insegna.

Giorgio Ragazzini

Pubblicato sul “Sussidiario.net” il 30 novembre 2022

martedì 29 novembre 2022

INVIATO ALLE ISTITUZIONI EUROPEE L'APPELLO: "LA UE SOSTENGA CON VIGORE IL MOVIMENTO IRANIANO PER LA LIBERTÀ"

 

Al Parlamento Europeo
  
alla Commissione Europea 
al Consiglio Europeo

Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle. E allora perché le istituzioni europee – e, per la verità, anche quelle italiane – continuano, se non a tacere, a fare troppo poco?

Noi sottoscritti cittadini italiani chiediamo che l’Unione Europea, in base al dovere di ingerenza giustificato da gravissime violazioni dei diritti fondamentali – e in modo particolare di quelli delle donne – prenda immediatamente e con vigore tutte le iniziative opportune perché tali diritti siano finalmente garantiti anche in Iran. Prima che sia troppo tardi.

Anna Oliverio Ferraris     Elsa Fornero      Donatella Di Cesare     Giampiero Mughini     Gianfranco Pasquino     Paolo Crepet      Marco Bentivogli     Paolo Pombeni     Renato Mannheimer     Michele Zappella     Valerio Magrelli    Gennaro Malgieri    Giovanni Belardelli     Giulio Ferroni     Giuseppe Marazzita     Massimo Salvadori     Adriano Prosperi     Carlo Fusaro     Claudio Giunta     Dino Cofrancesco     Francesco Perfetti     Fulco Lanchester     Fausta Garavini     Andrea Del Re     Benedetta Baldi     Daniela Andreatta     Fabio Minazzi     Fulvio Cammarano     Guido Melis     Gabriella Sava     Giuseppe Nicoletti    Giuseppe Scaraffia     Giovanni Falaschi     Giuseppina Pisciotta Tosini     Alessandra Sanna     Luigi Settembrini     Loredana Sciolla      Luisella Battaglia     Marcella Corsi     Maria Serena Sapegno     Maria Teresa Imbriani      Marinella Pigozzi     Mila De Santis    Paolo Alessandro Biscottini     Patrizia Tosini      Silvia Ginsburg      Stefania Stefanelli     PierVincenzo Uleri    Renza Bertuzzi      Alberto Moreni      Alessandro Ponticelli      Andrea Becherucci      Anna Palma    Anna Rita Borelli     Antonella Braga     Antonella Foscarini     Rosamaria Di Guglielmo  Arnaldo Marcone     Berardo Pio     Bruno Maria Parigi     Carlo Decanini     Carlo Del Nero     Carmen Betti     Caterina Barone     Cristina Fumagalli    Daniela  Miele   Elena Pariotti   Elisabetta Palici di Suni    Eva Bovolenta    Emanuela Lustri    Fioretta Gualdi     Franca Novelli     Franco Montanari   Franco Vincieri    Gabriella Ricci    Gabriella Ronchini    Gianna Caroti   Giorgia Quagliola   Giovanni Cocco    Giovanni Cordini     Giuseppe Graziano     Giuseppina Anguillara      Guido Baldassarri     Isabella Sesti     Judith Siegel    Laura Marchesi     Laura Scarpellini     Letizia Bausi     Livia Marinetto     Marcella Corsi      Maria Cecilia Ortolani    Maria Luisa Doglio    Maria Santoni     Maria Teresa Valastro     Marinella Baschiera     Marta Biani     Marzia Gentilini     Massimo Ragazzini     Susanna Bausi     Teresa Pasqui     Valerio Giannellini     Valerio Vagnoli   Maurizio Cardinetti     Milly Mazzei     Nicoletta Nano    Paola Strazzulla    Paolina Silvagni    Paolo Bonanni     Patrizia Ragazzini     Patrizia Serafin     Romano Bernabei     Sabina Gambacciani     Sabrina Giontella    Salvatore Ingrassia      Silvio Riondato   Carmine Chiodo     Roberto Segatori     Luigi Alfieri


Promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

giovedì 24 novembre 2022

APPELLO: L'EUROPA SOSTENGA CON VIGORE IL MOVIMENTO IRANIANO PER LA LIBERTÀ

 

Asra Panahi, la sedicenne pestata a morte 
dalla polizia perché, insieme ad altre compagne,
si era rifiutata di cantare un inno a Kamenei

Al Parlamento Europeo
alla Commissione Europea
al Consiglio Europeo

Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle. E allora perché le istituzioni europee – e, per la verità, anche quelle italiane – continuano, se non a tacere, a fare troppo poco?

Noi sottoscritti cittadini italiani chiediamo che l’Unione Europea, in base al dovere di ingerenza giustificato da gravissime violazioni dei diritti fondamentali – e in modo particolare di quelli delle donne – prenda immediatamente e con vigore tutte le iniziative opportune perché tali diritti siano finalmente garantiti anche in Iran. Prima che sia troppo tardi.

Anna Oliverio Ferraris     Elsa Fornero      Donatella Di Cesare     Giampiero Mughini     Gianfranco Pasquino     Paolo Crepet      Marco Bentivogli     Paolo Pombeni     Renato Mannheimer     Michele Zappella     Valerio Magrelli    Gennaro Malgieri    Giovanni Belardelli     Giulio Ferroni     Giuseppe Marazzita     Massimo Salvadori     Adriano Prosperi     Carlo Fusaro     Claudio Giunta     Dino Cofrancesco     Francesco Perfetti     Fulco Lanchester     Fausta Garavini     Andrea Del Re     Benedetta Baldi     Daniela Andreatta     Fabio Minazzi     Fulvio Cammarano     Guido Melis     Gabriella Sava     Giuseppe Nicoletti    Giuseppe Scaraffia     Giovanni Falaschi     Giuseppina Pisciotta Tosini     Alessandra Sanna     Luigi Settembrini     Loredana Sciolla      Luisella Battaglia     Marcella Corsi     Maria Serena Sapegno     Maria Teresa Imbriani      Marinella Pigozzi     Mila De Santis    Paolo Biscottini     Patrizia Tosini      Silvia Ginsburg      Stefania Stefanelli     PierVincenzo Uleri    Renza Bertuzzi      Alberto Moreni      Alessandro Ponticelli      Andrea Becherucci      Anna Palma    Anna Rita Borelli     Antonella Braga     Antonella Foscarini     Arnaldo Marcone     Berardo Pio     Bruno Maria Parigi     Carlo Decanini     Carlo Del Nero     Carmen Betti     Caterina Barone     Cristina Fumagalli    Daniela  Miele   Elena Pariotti   Elisabetta Palici di Suni    Eva Bovolenta    Emanuela Lustri    Fioretta Gualdi     Franca Novelli     Franco Montanari   Franco Vincieri    Gabriella Ricci    Gabriella Ronchini    Gianna Caroti   Giorgia Quagliola   Giovanni Cocco    Giovanni Cordini    Giuseppe Graziano    Giuseppina Anguillara     Guido Baldassarri    Isabella Sesti     Judith Siegel    Laura Marchesi     Laura Scarpellini     Letizia Bausi     Livia Marinetto     Marcella Corsi      Maria Cecilia Ortolani    Maria Luisa Doglio    Maria Santoni     Maria Teresa Valastro     Marinella Baschiera     Marta Biani     Marzia Gentilini     Massimo Ragazzini     Susanna Bausi     Teresa Pasqui     Valerio Giannellini     Valerio Vagnoli   Maurizio Cardinetti     Milly Mazzei     Nicoletta Nano    Paola Strazzulla    Paolina Silvagni    Paolo Bonanni     Patrizia Ragazzini     Patrizia Serafin     Romano Bernabei     Sabina Gambacciani     Sabrina Giontella    Salvatore Ingrassia      Silvio Riondato   Carmine Chiodo     Roberto Segatori 


Promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

martedì 1 novembre 2022

SE IL MERITO HA A CHE FARE CON IMPEGNO E TENACIA (con buona pace di Darwin)

Se abbiamo bisogno di un medico, lo vogliamo competente e magari affabile. Se dobbiamo essere ricoverati, preferiamo un ospedale noto per la preparazione degli specialisti e l’elevata qualità dell’assistenza. Ci serve una badante? Ne cerchiamo una con ottime referenze. Abbiamo a che fare con la pubblica amministrazione? Ci fa piacere imbatterci in personale cortese ed efficiente. Quando poi si tratta di iscrivere un figlio a scuola, tutti ci auguriamo che abbia i migliori insegnanti. Insomma, sono infinite le situazioni in cui cerchiamo il merito.

Ma come fa una società a “produrre” persone capaci e affidabili nel loro lavoro, a qualsiasi livello? Intanto bisogna che il merito venga riconosciuto, che non si proteggano i disonesti, non si chiudano due occhi sugli incapaci, che si selezionino i migliori, qualunque cosa significhi nelle diverse occupazioni e specializzazioni. Ma, soprattutto, ci vogliono famiglie che sappiano educare e una scuola che prepari al meglio i futuri cittadini.

Su cosa sia il merito, però, e su come si promuova non c’è accordo. E quando se ne parla a proposito di scuola, come oggi succede per via dell’aggiunta del termine al Ministero dell’Istruzione, una parte dell’opinione pubblica reagisce come se si discutesse di un metodo di selezione darwiniana. “Dobbiamo svelare l'inganno delle parole: la scuola del merito è la scuola che smette di investire su chi è in difficoltà". “Temo che qui si intenda il merito conquistato attraverso la sopraffazione degli altri, la competizione sfrenata, i privilegi della nascita, la fedeltà a un’ideologia e all’obbedienza". " Lo vogliamo capire che la scuola non è un posto dove si vanno a selezionare i migliori, che pensarla così è il modo più antidemocratico che esista?” "Trovo sia sbagliato introdurre la parola merito: rischia di essere uno schiaffo in faccia per chi può avere tanti meriti ma parte da una situazione di diseguaglianza". "Questa parola merito accanto al ministero dell'istruzione è allarmante e preoccupante”.

Sul merito si è smesso di riflettere, da quando, molti decenni fa, ci si rese conto di quanto spesso i ceti sociali più svantaggiati avessero scarse possibilità di accedere alle superiori e all’università, benché nel secondo dopoguerra la scuola avesse cominciato gradatamente a funzionare come ascensore sociale. Da allora le cose sono molto cambiate: in meglio, perché i progressi del tenore di vita hanno permesso a strati sempre più vasti della popolazione di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione; in peggio, perché la scuola è stata indotta a essere indulgente invece di adoperarsi per renderla più efficace. E tuttavia non è difficile chiarirsi le idee. Il talento innato da solo non è ovviamente un merito; e il merito non è soltanto l’eccellenza (anche se delle eccellenze la società ha comunque bisogno). Lo ricordava l’economista Giacomo Vaciago: il merito “è l’impegno profuso a far crescere la dote iniziale, qualunque essa sia”. Molti studi confermano quello che in realtà sappiamo tutti: la tenacia e la determinazione che si mettono nello studio, nell’allenamento e nel lavoro sono fondamentali per rafforzare le predisposizioni di cui ciascuno è dotato. Il segreto quindi non è nelle attitudini innate: quanti non le sfruttano perché rifiutano la fatica? Il segreto sta nell’impegno con cui si persegue uno scopo. Facciamolo comprendere ai bambini e ai ragazzi sottolineando tutte le piccole e grandi conquiste frutto di diligenza e lavoro assiduo, in modo da ridare, come un tempo si diceva “onore al merito”.

Giorgio Ragazzini

mercoledì 19 ottobre 2022

MINISTERI, LA CASELLA VUOTA DELLA SCUOLA

All’occasione – meglio se non impegnativa – tutti i partiti e tutti i vertici delle istituzioni proclamano con la dovuta gravitas la centralità della scuola per il futuro del paese, dei giovani e dell’economia, ma anche per lo sviluppo della personalità, per la convivenza civile, per la stessa democrazia. Nella fase di formazione di un nuovo governo, quindi, ci si aspetterebbe che i possibili candidati al Ministero dell’Istruzione fossero oggetto di continue ipotesi nel cosiddetto “totoministri”. Ma, come si è visto, la casella in questione è rimasta quasi sempre vuota, nel totale disinteresse dei mezzi di informazione. Dov’è quindi finita la centralità della scuola? Sembra di poter concludere che si trattava di flatus vocis, cioè di rituali emissioni di suoni privi di convinzione.

Una delle ipotesi in circolazione è che il vuoto potrebbe (forse, pare) essere riempito da Anna Maria Bernini, che – a leggere il suo curriculum – di scuola ne sa quanto uno studente in uscita dalle superiori. Se fosse così questo significherebbe che la Ministra sarà guidata per mano dall’apparato ministeriale, tutt’altro che estraneo all’involuzione “indulgente” della scuola negli ultimi decenni. Pazienza per l’ulteriore colpo inferto a quella che Mattarella ha definito “risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale”.

Giorgio Ragazzini 

lunedì 26 settembre 2022

TV, VIDEOGIOCHI, PC, CELLULARI: DIETRO MOLTI "NON DEMONIZZARE" C'È IL RIFIUTO IDEOLOGICO DEL DIVIETO

Nel corso degli ultimi decenni si sono ripetuti gli allarmi relativi ai rischi insiti nelle nuove tecnologie. A cominciare dalla televisione, diventata in molte famiglie un comodo sostituto della baby sitter. Non va demonizzata, dicono gli esperti, ma il suo uso eccessivo può causare disturbi del sonno, aumento della sedentarietà e quindi tendenza al sovrappeso. Poi è stata la volta dei videogiochi, che, oltre a tenere occupati i bambini, sembra che siano utili per imparare a decidere rapidamente e a gestire le emozioni. Purtroppo creano anche facilmente dipendenza e riduzione eccessiva dei contatti sociali. Si rischiano perfino dei danni neurologici. Tuttavia, neppure questi vanno assolutamente demonizzati. Numerose raccomandazioni di un “uso consapevole” in alternativa alla demonizzazione hanno riguardato anche il computer, quando è stata evidente la crescita esponenziale delle ore che i ragazzi e i bambini passavano davanti allo schermo, con svariati effetti psichici, fisici e relazionali. Con il cellulare, in cui sono riuniti telefono, giochi, messaggistica, computer, macchina fotografica e videocamera, si arriva infine a uno strumento tascabile, quindi utilizzabile en plen air. Che sia utile quando siamo fuori casa non c'è dubbio; e non solo per ricevere comunicazioni urgenti, cercare informazioni di ogni tipo o avvertire che si può buttare la pasta. Sui mezzi pubblici e nelle sale d'attesa hanno sostituito i libri e i giornali (più nel nord europeo che da noi). La possibilità di inviare foto o brevi filmati arricchisce (fin troppo) la documentazione di viaggi e vacanze e ha reso obsolete le riunioni di amici per guardare le diapositive. E però è un po' inquietante realizzare che quasi non c'è più un adolescente che cammini per strada a testa alta e guardandosi intorno; o, peggio, vedere gruppi di ragazzetti che alternano qualche breve scambio di parole a una compulsiva consultazione dello smartphone. Il quale - lo dimostrano molteplici indagini - costituisce una fonte di ansia: timore di non essere raggiungibili, di essere esclusi o snobbati dagli amici, di non ottenere da loro abbastanza "mi piace", di esaurire la carica. Lo stress conseguente può provocare tremito, tachicardia, attacchi di panico, disturbi del sonno e depressione. Già anni fa una ricerca inglese attestò che il 60% dei giovani tra i 18 e i 29 anni andava a letto con il cellulare. Insomma, parliamo di una vera e propria droga, che come le altre, disattiva le aree del cervello addette all'autocontrollo (in via di formazione negli adolescenti) e attiva quelle del piacere, specialmente nei patiti dei videogiochi. Per questo è necessario l'aiuto degli adulti per porre dei limiti. Ma anche qui interviene chi esorta a "non demonizzare", una frase in apparenza saggia che, però, come l'esperienza dimostra, finisce per far abbassare la guardia. Bisogna anche qui educare a un "uso consapevole" dello strumento. E spesso è chiaro che sotto il velo di questa raccomandazione agisce una diffusa e radicata allergia ai divieti. 

Nei giorni scorsi ha suscitato pareri per lo più favorevoli la decisione di un liceo bolognese di vietare l'uso dei cellulari in orario scolastico, con l'intento di restituire ai ragazzi una realtà di relazioni fatta di incontri, chiacchiere, sguardi e sorrisi dal vero. Larghissimo è stato il consenso degli studenti e dei genitori. Tra le critiche, si è levata inopinatamente quella del Prefetto di Bologna. Inaugurando in un altro istituto l'anno scolastico, ha sentito il bisogno dichiarare: "Sarebbe opportuno che gli studenti mantenessero il cellulare e sapessero usarlo, che avessero la coscienza e la maturità di sapere quando il cellulare può essere usato e quando invece può essere non usato. Credo che si debba lavorare su questo, sull'educazione”. L'episodio è sintomatico di quanto l'ideologia del "vietato vietare" si sia radicata nelle istituzioni, a cominciare dalla scuola, in cui sanzioni e divieti sono screditatissimi. Ma ormai persino le forze dell'ordine, deputate a far rispettare le leggi, vengono scoraggiate dall'intervenire con decisione, come è successo quasi ovunque nei confronti degli "assembramenti" estivi, fonte sicura di contagio e sulla carta vietatissimi. È quindi indispensabile recuperare l'importanza educativa dei limiti e dei "no" per non lasciare i minori in balia di un uso smodato dei cellulari e dei social. Fa piacere che proprio dalla scuola vengano esempi di questa consapevolezza.

lunedì 15 agosto 2022

MACCHÉ “DOCENTE ESPERTO”, ECCO COME UN “MINISTRO ESPERTO” DOVREBBE AIUTARE LE SCUOLE

L’improvviso concepimento ministeriale del “docente esperto”, che dovrebbe venire al mondo solo nel 2032 dopo una gestazione di nove anni, è stato a ragione stigmatizzato sulCorriere Fiorentino” da Gaspare Polizzi (vedi post del 10 agosto sulla nostra pagina facebook). Se può essere utile proporre qualche ulteriore considerazione, è perché con questa “strana invenzione” il ministero dimostra ancora una volta di non sapere di cosa la scuola italiana ha veramente bisogno per quanto riguarda i docenti. Per prima cosa, di una rigorosa selezione all’ingresso dei corsi universitari che preparano all’insegnamento. Solo chi ha già una solida preparazione culturale di base, forti motivazioni e sufficienti attitudini dovrebbe poter iniziare il percorso formativo. È questo anche un modo (come dimostra l’esperienza finlandese) di rendere attraente l’insegnamento per i giovani più dotati, più ancora dei pur necessari aumenti di stipendio. Nel frattempo, bisogna avere il coraggio di garantire che nessuna classe abbia a che fare con insegnanti inadeguati; che sono una minoranza (piccola, anche se non si sa quanto), ma possono causare danni irreparabili. Fino a oggi non si è voluto fare nulla in proposito, a parte rari casi. Quanto alla cosiddetta “carriera” (meglio parlare di nuovi ruoli della funzione docente), si tratta di assicurare alle singole scuole – che sul piano organizzativo oggi arrancano tra superlavoro dei presidi e semi-volontariato di collaboratori non sempre preparati – un esperto staff di docenti che aiutino il dirigente a risolvere i tanti problemi che un istituto deve oggi affrontare: aggiornamento (compreso l’essenziale confronto tra colleghi), orientamento, orari, servizi agli studenti, rapporti con i genitori e con le istituzioni, inserimento dei nuovi docenti. La creazione dell’insegnante “esperto”, anche senza i tempi biblici prospettati, non risolve nessuno di questi pressanti problemi. C’è quindi da sperare in un rapido ripensamento del Ministro.

Giorgio Ragazzini

venerdì 15 aprile 2022

L'ORDALIA DEI QUIZ NEI CONCORSI A CATTEDRE

Negli ultimi giorni hanno trovato spazio tra le drammatiche notizie sulla guerra alcuni articoli sui concorsi a cattedre per la scuola secondaria, che si stanno svolgendo in queste settimane, con oltre 430.000 iscritti per 33.000 posti. Si ripropone in questi interventi un dibattito tutt'altro che nuovo su un problema che nel nostro paese sembra irrisolvibile e che comunque è a tutt'oggi irrisolto: quello di avere una stabile e rigorosa modalità di selezione  degli insegnanti. Di quella attuale, essenzialmente basata su una prova a quiz, è difficile trovare dei convinti sostenitori, ma ci sono comunque valutazioni diverse. 

Su “IlSussidiario.net” Pierluigi Castagneto ne riassume le caratteristiche, con un giudizio decisamente critico: "La formula di 50 quesiti in 100 minuti [...] è una vera e propria gara contro il tempo. Perché 50 quiz a risposta multipla (quattro) di cui 40 sulla disciplina, 5 in inglese (livello B2) e 5 in Informatica, a cui vengono attribuiti 2 punti per le risposte giuste e 0 per quelle errate e quelle non date, non sembra un metodo adatto a valutare i docenti."

Diverso il punto di vista di Antonio Gurrado che su Il Foglio scrive: " È l'eterno ritorno dell'uguale. A ogni tornata di concorso pubblico per la selezione degli insegnanti di ruolo, puntuale cade la pioggia di articoli sulle recriminazioni dei respinti [...] Gli insegnanti intervistati da Repubblica parlano di quiz in stile Amadeus, di inaccettabile nozionismo, di selezione più ingiusta che per sorteggio." Il problema per Gurrado è dunque l'allergia italiana alla selezione, in qualunque forma venga attuata. Il che in linea generale è innegabile, basta pensare alla scarsissima popolarità del termine "meritocrazia" nel nostro paese. Se non che lo stesso Gurrado deve convenire che " certo, un concorso con domande a risposta multipla è uno strumento troppo superficiale per valutare le capacità di un insegnante, è un'ordalia a capocchia che rischia di bocciare in prima istanza candidati ideali ... ".

Il punto è che quelli che hanno fallito il test, cioè non hanno raggiunto i 70 punti necessari per accedere all'orale, sono più del 90% dei candidati. Che la scuola "indulgente" e pseudo-inclusiva degli ultimi decenni abbia finito per sfornare anche un gran numero di candidati insegnanti privi dei requisiti minimi per questo delicatissimo mestiere è un fatto, e una forte selezione è inevitabile (e anche auspicabile). Tuttavia di fronte a una simile percentuale di bocciati è lecito chiedersi se lo strumento dei quiz, almeno così come sono stati concepiti e proposti in questa occasione, sia o meno in grado di fornire un risultato credibile e equo. E questo al di là degli esempi di quesiti bizzarri o ipernozionistici o comunque inappropriati di cui si viene a conoscenza. A meno che lo scopo fosse, come si può sospettare, proprio quello di ammettere agli esami orali un numero ritenuto gestibile di candidati. In ogni modo così si rischia "di perdere i bravi o di far entrare gli scarti" come dice Mauro Piras, del Gruppo Condorcet. Non che i quiz a risposta multipla siano di per sé da escludere, se ben calibrati in rapporto all'obbiettivo della verifica. Ad esempio potrebbero essere utili per una pre-selezione in base al possesso di requisiti minimi per accedere al concorso vero e proprio.

Ma, come detto all'inizio, il problema è avere finalmente un convincente percorso di selezione e di formazione degli insegnanti, che sia insieme efficiente e rigoroso, si tratti di concorsi o di altre modalità di accesso al lavoro di insegnante (nel sistema finlandese, ad esempio, c'è una forte selezione all'ingresso del percorso formativo universitario).  Efficiente significa anche essere uno strumento ordinario, con cadenza annuale o al più biennale, in modo  da evitare che si accumulino negli anni queste ingestibili adunate e nello stesso tempo consentire una selezione credibile di insegnanti preparati e motivati.

Resta da capire se sindacati e potere politico siano realmente interessati a creare le condizioni per mettersi alle spalle le sanatorie.

 Andrea Ragazzini

"ilsussidiario.net"  15 aprile 2022

venerdì 18 marzo 2022

ANCHE ADENAUER HA COPIATO.....

Ha certamente sbagliato la professoressa di un Istituto superiore del padovano che ha pubblicato sulla sua pagina facebook la foto del tema che uno studente aveva copiato da internet (voto: 1). Anche se privo del nome dell'autore, si tratta di un documento riservato e dal punto di vista educativo non mi pare un'iniziativa particolarmente appropriata. Nel merito però la professoressa non ha affatto torto a giudicare severamente il comportamento del suo allievo, che ha così stigmatizzato: "L'alunno ha 20 anni e frequenta l'ultimo anno. Tra tre mesi dovrà affrontare l'esame di Stato e successivamente cercarsi un lavoro. Ebbene: ha copiato un tema da internet. Gli errori di sintassi o grammatica hanno un valore relativo di fronte a un fatto di questa gravità. Non stiamo parlando di un adolescente fragile, ma di un adulto incapace di prendersi delle responsabilità".

Non la pensa così il pedagogista Daniele Novara, intervistato su "La Repubblica". Dopo aver duramente criticato il comportamento dell'insegnante (e fin qui, come si è detto, ci sono dei motivi per farlo), alla giornalista che gli chiede " Non è grave aver copiato da internet?", il professor Novara risponde:

"Non condivido questa impostazione giudiziaria [sic], tutti abbiamo copiato, lo ha fatto Adenauer nel tema di Italiano alla Maturità: è un modo per sottrarsi a una scuola attenta solo alle risposte esatte [sic] e che non guarda all'apprendimento. Il concetto del copiare non esiste, la scuola dovrebbe rendere accessibili tutte le fonti, e valutare come vengono usate".

Immagino che Adenauer, nell'al di là, non avrà gradito di essere evocato per questo specifico merito, ma dove si trova sarà senz'altro incline al perdono. Imperdonabile è invece questo delirante elogio del copiare, un tema di cui ci siamo più volte occupati in questo blog e di cui il sociologo Marcello Dei ha fatto una approfondita analisi nel suo libro "Ragazzi si copia, a lezione di imbroglio nelle scuole italiane". Daniele Novara, come molti altri, non sembra rendersi minimamente conto del carattere profondamente anti-educativo delle sue affermazioni. Si può davvero pensare di tirar su con queste idee dei cittadini responsabili, consapevoli dei propri diritti, ma anche dei propri doveri e non dei furbetti pronti a prendere tutte le possibili scorciatoie? Che dei ragazzi, o in preda all'ansia o consapevoli di avere studiato poco, cerchino di copiare non può stupire, ma non può essere che un insegnante (o un pedagogista) lo giustifichi o addirittura lo incoraggi come una giusta disobbedienza.

Andrea Ragazzini

sabato 12 febbraio 2022

LA TRATTATIVA

La vicenda della "trattativa Stato-Maturità", come con acume e humor è stata definita, è un'altra pagina tristemente esemplificativa dell'incapacità della scuola italiana, e in varia misura di tutti i suoi attori,  di ritrovare il senso della sua funzione culturale, educativa e civile. All'inizio del mese il Ministro Bianchi aveva finalmente preso la decisione di reintrodurre due prove scritte per l'Esame di Maturità, anche sulla spinta dei numerosi articoli e appelli che lo avevano richiesto a gran voce, fra cui quello promosso dal Gruppo di Firenze e da numerosi intellettuali nel mese di Dicembre. Una decisione molto apprezzata da chi pensava che i grandi disagi prodotti dalla pandemia non giustificassero affatto l'idea di ridurre l'Esame di Stato a una pura e semplice finzione.

È noto quello che è successo nei giorni successivi. Grandi manifestazioni degli studenti che chiedevano, per voce della Rete degli studenti medi "un elaborato scritto da presentare oralmente, preparato coi docenti, interdisciplinare e che vada oltre i programmi" (sic).

C'è stato poi l'intervento del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che dovrebbe essere un organismo di alta consulenza in materia di istruzione, ma che è composto in larga misura da sindacalisti e ha pensato bene di  appoggiare, almeno in parte, le richieste degli studenti.

Infine l'incontro tra il Ministro e una delegazione studentesca. Poteva e doveva essere esclusivamente un'occasione per spiegare le scelte del Ministro e chiarire a chi non sembra averlo capito il significato e la funzione di un esame che non per caso è previsto dalla Costituzione.  Ma poi Bianchi, sembrandogli forse eccessivo passare per un iscritto al partito della scuola seria, ha prima dichiarato che tutto rimaneva come prima, poi ha riflettuto che forse era meglio dare  alla controparte l'onore delle armi e ha deciso di  portare  il credito scolastico dal 40% al 50% del punteggio. C'è chi ha parlato di un "ragionevole compromesso", ma quando fu approvata la riforma dell'esame, e fino a pochi anni fa, il credito scolastico era il 25%, una percentuale che manteneva comunque alle prove di esame  un peso prevalente, per poter essere una credibile verifica  finale del percorso scolastico, come, è bene ripeterlo, vollero i costituenti. E oltre che nel merito si tratta di  una decisione sbagliata nel metodo, perché di fatto legittima gli studenti come interlocutori in una logica di contrattazione su questioni che devono restare di esclusiva responsabilità dell'istituzione scolastica. 

In ultimo mi pare necessaria una riflessione sui comportamenti di molti studenti, certo non tutti, in questa vicenda.  Detto delle enormi responsabilità degli adulti (insegnanti, genitori, ministri, pedagogisti, politici) per il multidecennale  degrado educativo nella scuola e nella società, si deve pur dire che gli studenti candidati all'Esame di Stato sono tutti maggiorenni, dunque non più  "ragazzi", ma giovani uomini e giovani donne, che possono votare, avere la patente di guida, godere di tutti i diritti che spettano ai cittadini. Nella rivendicazione di un  esame pro-forma, perché di questo si tratta, e al di là dei molti sconclusionati slogan che si sono sentiti, hanno mostrato ben poca responsabilità e maturità e, temo, molta furbizia.

Andrea Ragazzini

domenica 30 gennaio 2022

SUPERFICIALITÀ E IDEOLOGIA SULL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO. E IL MINISTERO TACE

 

Si può diventare cuochi, meccanici, periti tecnici solo studiando la teoria? Evidentemente no. È indispensabile imparare anche attraverso la pratica. Come non si diventa pittori leggendo un trattato. Ed è per questo che esistono i laboratori, i tirocini, l’apprendistato. Eppure la scuola italiana degli ultimi decenni ha subìto la diffidenza verso “l’imparare facendo”, in nome della convinzione che solo più cultura teorica renda uguali. Di qui la “licealizzazione” degli indirizzi tecnico-professionali, causa principale, benché non unica, di un numero stratosferico di insuccessi, di abbandoni e del calo ormai decennale delle iscrizioni. Un parziale ma importante ripensamento si ebbe con la legge 107, che introdusse nell’ordinamento l’Alternanza scuola-lavoro (Asl), attraverso una collaborazione con aziende e istituzioni, per un totale di (almeno) 400 ore nei tecnici e nei professionali e di (almeno) 200 ore nei licei. Probabilmente è stata proprio l’estensione dell’ Asl ai questi ultimi, che non  preparano al lavoro ma agli studi universitari, a suscitare la maggior parte delle critiche. In questi contesti, infatti, non se ne capisce la funzionalità. Anche se fossero sempre esperienze in sé interessanti (ma spesso se ne è lamentata la futilità), questo non basta a giustificare lo sforzo organizzativo e la notevole perdita di lezioni curricolari. E in effetti le lamentele sono state frequenti fra i docenti liceali, ma nelle semplificazioni giornalistiche sembravano provenire da tutti gli indirizzi. Così il Ministro Bussetti ha pensato bene di ridurne le ore ovunque (ora vanno da 90 a 210 a seconda delle scuole), anche dove sono molto utili, purché ben organizzate e armonizzate con l’orario curricolare. Per aumentare l’effetto-cambiamento, l’alternanza è stata ribattezzata con uno degli acronimi che tanto piacciono in viale Trastevere: PTCO, che sta per Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento; così non si capisce più bene di che si tratta. Facendo poi un accenno al rischio di “apprendistato gratuito”, Bussetti ha dato fiato a chi vede nell’Alternanza una pura e semplice forma di sfruttamento generalizzato del lavoro minorile, nonostante la presenza di due tutor, uno aziendale e uno scolastico.  Si arriva così alla disgrazia di questi giorni: un diciottenne viene ucciso da una trave d’acciaio in uno stabilimento metalmeccanico in cui svolgeva non l’alternanza scuola-lavoro, ma le ore di stage (4-500) previste da alcuni corsi “duali” di formazione professionale. L’accertamento di eventuali responsabilità è ovviamente d’obbligo; ma lo sarebbe anche, per l’informazione, fornire notizie corrette e non raccogliere in prevalenza le espressioni più superficiali e ideologizzate delle proteste giovanili. “La Repubblica”, per esempio, cita l’opinione di una studentessa romana: "L'alternanza è un metodo di formazione basata sul precariato. Ci insegna la flessibilità e la schiavitù, ci introduce in un mondo del lavoro senza sicurezza, dove si rischia anche di morire, solo per strizzare l' occhio alle multinazionali”. E questo aprirebbe altre riflessioni sulla sopravvalutazione degli adolescenti come soggetti attivi del dibattito politico. Qui però basterà concludere sottolineando il silenzio del Ministero su questo episodio, diventato il pretesto per processare l’Asl (o PCTO) e chiederne l’abolizione. È la premessa di ulteriori colpi a una vera formazione professionale?

Giorgio Ragazzini