lunedì 29 giugno 2009

LE PROPOSTE DELLA FONDAZIONE AGNELLI SULLA VALUTAZIONE E LA RETRIBUZIONE DEGLI INSEGNANTI

Il "Corriere della Sera" pubblica un intervento del direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto. Ci ripromettiamo di tornare sull'argomento della valutazione degli insegnanti (come, quando, perché) anche a partire da queste proposte. I colleghi, se vogliono, sono invitati a inviarci brevi contributi in proposito, anche di poche parole, o nei "commenti" o tramite l'indirizzo gruppodifirenze@libero.it

domenica 28 giugno 2009

BOCCIATURE COME OPPORTUNITÀ: UNA RISPOSTA AI COMMENTI

di Valerio Vagnoli

Prendo spunto dai commenti al mio intervento E se la bocciatura fosse un’opportunità? sulle bocciature per chiarire alcuni temi.
Quando parlo di permanere, nel nostro sistema scolastico, di modelli seicenteschi, non intendo riferirmi soltanto alla lezione frontale che giustamente uno degli intervenuti difende come strumento didattico dal quale non si può ancora prescindere (salvo vederla propinata per sei-sette ore di seguito anche da parte di docenti di materie tecniche-professionali che richiederebbero, invece, ben altre strategie didattiche). Seicentesco, nel nostro sistema scolastico, è anche il permanere del modello esclusivo della classe al posto di una organizzazione per gruppi di livello o modulare o per classi aperte, come ad esempio nel modello finlandese. Seicentesca, inoltre, è l’organizzazione dello studio, che andava benissimo per una scuola elitaria; meno per una scuola come la nostra.
In uno degli interventi si sottolinea, giustamente, come le scuole italiane siano strutturalmente inadatte a sperimentare nuove strategie didattiche. È vero, tuttavia anche l’esclusività dell’organizzazione in classi contribuisce a non stimolare i responsabili dell’edilizia scolastica ad investire in modo da rivoluzionare strutture e strumentazioni delle scuole di ogni ordine e grado.
Accade, invece, che edifici scolastici possano essere ricavati (succede in alcune grandi città del sud) anche da appartamenti per civili abitazioni collocati al quarto e quinto piano di palazzoni anonimi e tristi per le stesse famiglie che vi abitano, figuriamoci per dei bambini o per degli adolescenti.
Una scuola ove il ruolo della “classe” - nelle scuole superiori - finisse per essere marginale o per scomparire del tutto costringerebbe gli Enti locali a ripensare gli edifici scolastici. Ovvio, tuttavia, che le scuole dovrebbero essere belle e funzionali a prescindere da questo, ma da noi così non è. Ripenso al mio ultimo viaggio in Francia, alla bellezza di gran parte dei suoi edifici scolastici. Scuole di provincia pensate come una sorta di piccolo villaggio con spazi verdi e sportivi da far impallidire i nostri centri sportivi più alla moda. Mense e laboratori pensati per una scuola che risponde a ben altre dinamiche rispetto alla nostra ancora troppo ancorata al passato. Qualcosa vorrà pur dire se negli ultimi anni il meglio del cinema e della narrativa francese ruota intorno al tema della scuola mentre da noi, salvo rarissimi casi (e tra questi è doveroso annoverare l’alzata di scudi dei 16 intellettuali firmatari dell’appello a favore del merito e della responsabilità), siamo rimasti a qualche film macchiettistico, a Mio figlio professore, a Terza B facciamo l’appello e a Io speriamo che me la cavo, oltre ovviamente la solita, oggi retorica, Lettera a una professoressa.
Per quanto concerne i rilievi a proposito della responsabilità della scuola sulle bocciature e quanto poco si faccia per recuperare i meno bravi, rimando all’intervento dell’amico Giorgio Ragazzini.

sabato 27 giugno 2009

IL BUONISMO SI CONFERMA TRASVERSALE: ANCHE PER "FARE FUTURO" LE BOCCIATURE SONO UN FALLIMENTO DELLA SCUOLA

"Libero" dà conto di una polemica interna al PdL e più precisamente tra "L'Occidentale", quotidiano on line vicino alla componente "forzista", e "Ff web magazine", il periodico telematico della fondazione finiana "Fare Futuro". Secondo quest'ultima testata, infatti, "Per ogni ragazzo che non ce la fa superare l'anno, la prima ad aver fallito è l'istituzione scolastica stessa", che è come noto uno degli slogan più fortunati in questi ultimi decenni nel mondo della scuola. Risponde "L'Occidentale": Il futuro scolastico vagheggiato da Farefuturo è perfetto per gli asini. L'articolo su "Libero". Per leggere gli articoli citati: "Ffweb magazine" e "L'Occidentale".

Commento. Il buonismo, come abbiamo sempre detto, pur avendo elaborato i suoi assiomi nell'humus catto-comunista, è poi diventato trasversale e si radica nel carattere italico, mammone e nutrito di colpa e indulgenza tridentine. Tiene a bada la realtà con le astrazioni: chi sono infatti "i bocciati"? Sarebbe utile che qualcuno (adattissimo Giorgio Dell'Arti) sciorinasse davanti ai nostri occhi qualche decina di identikit. Verrebbe forse fuori che una parte non ha potuto scegliere una scuola superiore a lui congeniale per colpa del mito della scuola uguale per tutti che ha squalificato la formazione professionale; qualcuno, partendo da una situazione culturalmente svantaggiata, non si è effettivamente visto offrire tutto l'aiuto che gli era necessario; e che la maggioranza dei bocciati, guardandosi intorno e vedendo andare avanti chi lo non meritava, aveva concluso: "Anche se non studio, mi promuovono lo stesso". (GR)

mercoledì 24 giugno 2009

VALUTAZIONE DEI DOCENTI: SÌ, MA NON "ALLA BERCHET"

Il "Corriere della Sera" dà notizia delle "pagelle" che gli studenti del liceo "Berchet" di Milano hanno dato agli insegnanti. Il Preside, vi si legge, ha acconsentito ad affiggere i "voti" in bacheca. Ma nel programma di radio 3 Fahrenheit viene fuori che il “progetto” era stato addirittura inserito nel Pof. Una scuola che non riesce ancora ad assumersi di fronte alle nuove generazioni la responsabilità di decidere come, quando e perché valutare gli insegnanti (con rigore ed equità), consente però “democraticamente” agli studenti di ergersi a giudici dei “prof” (addirittura di valutarne “la competenza”), istituzionalizzando una loro iniziativa fra il serio e il goliardico, ma inevitabilmente intrisa di spirito di rivalsa sui docenti meno popolari (e si sa che a essere popolari non sono sempre i migliori). È lo stesso atteggiamento indulgente e demagogico con cui da decenni si avallano le occupazioni e la loro forma “benigna”, le autogestioni. Ma si può ridurre la valutazione degli insegnanti a una questione di pura e semplice “customer satisfaction”, per di più affidandone in toto la gestione agli stessi “clienti”? Senza dire che così facendo si finisce per incentivare quella “cultura della supponenza” di cui Claudio Magris denunciava già anni fa il dilagare.
Alla valutazione dei docenti, ai metodi da usare e agli obbiettivi da porsi abbiamo più volte dedicato riflessioni o riportato contributi di altri. Dovremo tornarci. Sarà bene però, anche alla luce di questo episodio, che gli insegnanti si rendano conto che la non-valutazione è un privilegio indifendibile e si decidano a rivendicare il diritto di dire la loro in proposito, in particolare sull'efficacia dei metodi e sull'appropriatezza degli obbiettivi.

Leggi anche il commento di Isabella Bossi Fedrigotti.

martedì 23 giugno 2009

INDAGINE OCSE: L'INDISCIPLINA FRENA L'APPRENDIMENTO

Era ora che nelle indagini internazionali venisse messo in evidenza, come da tempo auspichiamo, il tema del comportamento come causa importante della dequalificazione della scuola. Non si tratta soltanto dei bulli, come il titolo di "ItaliaOggi" potrebbe far pensare, ma anche di ragazzi indisciplinati o semplicemente vivaci; che però fanno perdere in media il 13% del tempo scuola e in un caso su quattro il 30% (circa venti minuti per un'ora di lezione).
L'acronimo TALIS - così si chiama la ricerca - in italiano si scioglie come "Insegnamento e creazione di ambienti di apprendimento efficaci".
La necessità di una scuola più esigente sotto tutti i punti di vista, e in modo particolare rispetto all'impegno e al comportamento, ne esce quindi pienamente convalidata. E' sperabile che nelle prossime indagini il problema venga approfondito, per esempio correlando statisticamente i risultati paese per paese con il livello di serietà richiesto agli studenti dal sistema scolastico. E' indispensabile anche un grosso sforzo per rendere disponibili in tutte le scuole tutti i tipi di qualificate consulenze che l'emergenza richiede. Infine: a quando i primo corsi di aggiornamento sulla condotta? Leggi l'articolo.

venerdì 19 giugno 2009

E SE LA BOCCIATURA FOSSE UN'OPPORTUNITÀ?

di Valerio Vagnoli

Finalmente, viene da dire, il re è nudo, perché dietro all’aumento delle bocciature si può intravedere una scuola nuova che inizia finalmente a dare segni di vita, a fare fino in fondo il proprio dovere, cominciando a trovare il coraggio di prendersi responsabilità che da anni, in generale, non era in grado di prendersi.
Questi dati confermano, anziché il fallimento della scuola, come molti pensano e dichiarano, il vero scandalo durato fin troppo a lungo: quello di aver promosso generazioni di studenti in nome del buonismo o del quieto vivere o per i più svariati timori, non ultimo quello dei ricorsi. Insomma, contrariamente ai molti allarmismi che imperversano un po’ da tutte le parti per i risultati di quest’anno scolastico, mi provo ad andare controcorrente e giudico di buon auspicio quanto è avvenuto. Penso, insomma, che dovremmo rassicurare le famiglie, anche dei bocciati, facendo loro capire che stanno inequivocabilmente per finire i tempi squallidi del diploma “pezzo di carta” da spendere grazie alle raccomandazioni di varia natura, non ultime quelle di stampo clientelare e politico. Non mi dilungo sulle dinamiche economico-sociali che cancelleranno certo costume tipico più di un paese da operetta che non di una nazione che dovrà, oggi più che mai, misurarsi sul piano della competitività e di un’economia sempre più legata alla conoscenza. Mi preme, invece, ricordare e ripetere che solo una scuola in grado di valorizzare il merito può rappresentare un vero ascensore sociale per chi non può contare su clientele o radici familiari fin troppo ramificate nel mondo dei privilegi. Per troppo tempo si è identificato il successo scolastico come patrimonio da distribuire equamente a tutti, impedendo così che si diffondesse, soprattutto tra le famiglie più svantaggiate e povere, la consapevolezza di quanto, invece, proprio la scuola sia importante per ribaltare la loro condizione, spesso storicamente consolidata grazie a chi dalla scuola aveva e continuava ad avere i mezzi e gli strumenti per diventare classe dirigente. Solitamente per molti gruppi politici e per molte delle sigle del sindacato scolastico, la qualità della scuola la si è voluta vedere piuttosto sulla quantità (numero esoso delle materie con corrispondente elevatissimo numero dei docenti, orari scolastici lunghi e tempi della didattica ancora organizzati secondo modelli, non è un’esagerazione, seicenteschi) che non sulla sua qualità: guai a parlare di verifica dei risultati, di valutazione dei docenti e dei dirigenti e via di seguito. Ogni minimo accenno ai principi del pragmatismo da applicare anche al sistema scolastico era ed è ancora oggi esecrato più di quanto don Milani esecrasse i giovani operai del Mugello che alla domenica si mettevano la cravatta. L’irrisione nei confronti delle tre “i” ha contribuito a tener fuori dalla modernità chissà quanti figli di chi con il computer, l’inglese e tanto più con l’impresa, non aveva e non ha niente da spartire. Eppure sono molti i politici e i sindacalisti contrari alle tre “i” che hanno accortamente fatto studiare i loro figli negli Stati Uniti o nelle migliori università italiane ed europee.
Ma torniamo alla bocciatura. Ovvio che non sia una bella cosa ed altrettanto ovvio che si debba fare di tutto per rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisce ai più svantaggiati di godere dei frutti straordinari che una buona scuola può dare. Ma se non bocciare rappresentava, come per certi insegnanti ancora rappresenta, una lotta contro le ingiustizie “di classe” o più banalmente ignavia o superficiale senso di bontà o ancora paura di affrontare le reazioni dei genitori, ben venga questo aumento di bocciature. Può rappresentare finalmente una svolta, un salutare scossone per chi alla scuola ha finito con l’assuefarsi senza dare o attendersi nulla, siano essi docenti, famiglie o studenti.
Do per scontato che la scuola debba formare, prima ancora della classe dirigente, dei buoni cittadini, liberi e appagati innanzitutto dalla loro cultura e dal loro senso critico. Anche per questo trovo che sia esecrabile vedere nella bocciatura solo un’esclusione, una sconfitta per la scuola e non un’occasione per aiutare il maggior numero possibile di giovani a diventare, a tutti gli effetti, dei cittadini degni di questo nome.

"REPUBBLICA" DEI BOCCIATI

Il quotidiano su cui Mario Pirani si è battuto in questi anni per una scuola più esigente gioca oggi senza mezze misure la carta della "strage degli innocenti", dopo i primi dati che segnalano un aumento delle bocciature. Poteva essere un'occasione di utile giornalismo d'inchiesta; ne viene fuori uno grido d'allarme a suon di luoghi comuni. Completamente dimenticato il fatto che è stato un ministro del PD, Giuseppe Fioroni, a suonare per primo la fine della ricreazione, cosa che del resto lo stesso ex ministro "si scorda" purtroppo di rivendicare e con lui il PD.
L'occhiello del richiamo in prima pagina recita: "Aumentano i respinti e i non ammessi agli esami. L'Ocse critica l'istruzione italiana". In questo modo si suggerisce che lo faccia per questo inizio di maggiore severità, mentre si tratta di tutt'altro, come si scopre nell'interno: "I livelli di apprendimento degli studenti sono tra i più bassi, troppi gli insegnanti, demotivati e mai valutati. Le strutture scolastiche sono vecchie e non dispongono di laboratori moderni. Anche la valutazione degli studenti lascia a desiderare". Delle bocciature non si occupa, né "Repubblica" è sfiorata dal sospetto che i bassi livelli di apprendimento possano avere a che fare
con le promozioni facili dispensate in questi anni (ma anche in questi giorni, purtroppo).
Quasi tutti negativi i commenti raccolti, con tutto il repertorio della colpevolizzazione ultradecennale di quegli insegnanti che non ritengono giusto trattare allo stesso modo chi studia e chi no. Leggi l'articolo di Maria Novella De Luca.

Da aggiungere, infine, alla lista degli interventi contrari anche un pezzo di Ilvo Diamanti su Repubblica.it, in cui si mescola di tutto e di più.

martedì 16 giugno 2009

CONDOTTA, DEONTOLOGIA, ETICA PUBBLICA

di Giorgio Ragazzini

(Pubblicato sul n. 1 gennaio-marzo 2009 di "Esodo")

Viviamo, per nostra fortuna, nella società dei diritti. Ma ogni diritto ha, per così dire, due guardiani: il dovere di rispettarlo e quello di farlo rispettare. Il primo riguarda tutti, il secondo compete a una serie di ruoli in tutti i settori della società; ma è un dovere sgraditissimo, a cui molti si sottraggono davanti alla prima responsabilità che si delinea all’orizzonte. La verità è che molti non sanno più, o non hanno mai saputo, “chi glielo fa fare”. Meglio adeguarsi al quieto vivere, esibendo magari una sconsolata presa d’atto di come va il mondo... E di una crescente “fuga dalla responsabilità” parlano moltissimi osservatori della società italiana, naturalmente con una varietà di punti di vista e di diagnosi storico-culturali.
Un fatto è certo, però: anche se tutti viviamo immersi nel più vasto contesto sociale, è nella famiglia e nella scuola che soprattutto si impara a rispettare gli altri, ad adempiere con serietà ai propri compiti e a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni. Sono questi i principali luoghi di trasmissione dei valori (incluso lo spirito critico che ne permette l’adeguamento ai tempi) e quindi – se mi si passa l’espressione industrialista – di “produzione” dell’etica pubblica.
Per fortuna da qualche anno a questa parte sta cominciando a diffondersi la consapevolezza che dobbiamo affrontare una vera e propria crisi dei ruoli educativi, i cui modelli venivano un tempo trasmessi senza dubbi e incertezze da una generazione all’altra. La loro messa in questione, sotto molti aspetti necessaria, non ha dato però luogo in tempi accettabili a una nuova visione, più aperta, ma pur sempre fondata sulla realtà dello sviluppo psicologico. Si è invece verificato un prolungato disorientamento dei genitori e degli insegnanti, anche per via del suo intrecciarsi più che altrove con una forte ideologizzazione della società. La stessa parola “autorità” (il cui etimo ne ricorda tra l’altro la specifica funzione di “favorire la crescita”) è stata fortemente interdetta; e ancor oggi non pochi, sentendola nominare, si affrettano a incoraggiarne la sostituzione con “autorevolezza”; come se il prestigio conquistato sul campo – sempre auspicabile – fosse la stessa cosa dell’appoggio e della legittimazione che una comunità assegna comunque al ruolo di genitore o di insegnante.
Probabilmente i primi ad avviare un ripensamento sono stati alcuni psicoterapeuti, a contatto con le difficoltà e a volte con la disperazione di genitori incapaci di far rispettare qualsiasi regola ai propri figli. Va citato almeno il testo più deciso nel dare l’allarme, Se mi vuoi bene dimmi di no, di Giuliana Ukmar (1997), che incoraggiava padri e madri a riprendere lo scettro lasciato in mano ai “reucci” della casa e a usare senza sensi di colpa il “potere positivo” indispensabile alla loro crescita.
Poco a poco anche riguardo alla scuola si è fatta strada la convinzione che proprio la sua debolezza in campo educativo, ammantata di discorsi sulla “comprensione” e l’ “ascolto”, costituisce probabilmente la maggiore emergenza, ben prima delle riforme ordinamentali, della formazione iniziale dei docenti e persino dell’esiguità delle risorse finanziarie. Una scuola poco esigente quanto a rispetto delle regole non è solo più faticosa, ma anche meno produttiva sul piano dell’apprendimento. Non è certo un caso che nel gruppo di testa delle classifiche P.I.S.A. figurino nazioni come Corea, Giappone, Taiwan con sistemi scolastici estremamente rigorosi, fattore fondamentale del loro tumultuoso progresso economico. Scrivono Federico Rampini e Carlo De Benedetti in Centomila punture di spillo: “Chi ha messo piede in un'aula di scuola media, di liceo o di università in Asia sa che in quei luoghi regnano la disciplina, il rigore, il rispetto dell'autorità, la venerazione del sapere. Non perché gli insegnanti cinesi e indiani siano tutti premi Nobel, ma perché tutti sono d'accordo che il sistema funziona solo rispettando quelle regole. Se i genitori di Pechino o di New Delhi cominciassero a dare ragione ai figli contro i docenti, a invocare promozioni facili per tutti, il progresso economico, scientifico e tecnologico dell'Asia si fermerebbe molto presto. Nel tacito accordo che unisce genitori e insegnanti, in quella vasta area di tre miliardi di persone in corsa verso il benessere, c'è una lezione preziosa per noi”.
Come genitori e come docenti, se probabilmente siamo divenuti mediamente più capaci di vicinanza affettiva verso i figli e gli allievi di quanto fossero le generazioni precedenti (a loro volta mediamente più sicure – non senza cadute nell’autoritarismo – su come fare il loro mestiere), dobbiamo però reimparare (o rassegnarci) a esercitare fino in fondo le responsabilità che competono agli adulti.
Per farlo, però, ci serve più di ogni altra cosa la fermezza. Come nota lo psicologo Osvaldo Poli, nel suo libro dedicato a questa virtù fuori moda (Non ho paura a dirti di no), spesso il prendere e mantenere una decisione educativa esige un costo emotivo che non molti sono in grado di sopportare. Siamo un po’ tutti infettati da “virus” di varia origine che impediscono di “girare” al nostro programma educativo: sensi di colpa, paure, bisogno eccessivo di essere approvati, ricordi di nostre vicissitudini come figli o alunni, potenti suggestioni pedagogiche diffusesi negli scorsi decenni (tipo “con il dialogo si ottiene tutto”). Può però incoraggiare e sostenere chi ha compiti educativi la crescente consapevolezza che il laissez faire si è rivelato rovinoso e che per i giovani è fondamentale avere a che fare con adulti in grado di guidarli.
Per questo va considerata una svolta non da poco nella storia recente della scuola italiana quella del ministro Fioroni in direzione di una scuola più esigente e rigorosa, che si è concretizzata con la riforma degli esami di maturità, con i provvedimenti relativi all'effettivo recupero dei debiti, con le norme sui cellulari a scuola, con una prima revisione e accelerazione delle procedure disciplinari nei confronti dei docenti che hanno commesso reati e con una riforma dello Statuto degli studenti che autorizza ora anche sospensioni superiori ai 15 giorni, fino alla perdita dell'anno scolastico per casi di comportamenti particolarmente gravi. Il che, sia detto per inciso, non contrasta con lo spirito dello Statuto, con la distinzione tra la valutazione del profitto e quella del comportamento; perché una cosa è il voto nelle materie, un'altra è la promozione, che deve necessariamente tenere conto anche del versante educativo della formazione. Altrimenti l'insistenza sull'educazione civica e alla legalità verrebbe ridicolizzata da una scuola che promuovesse persino chi si macchia di reati.
Su questi temi il ministro Gelmini non ha fatto che proseguire sulla strada tracciata da Fioroni. L’attuale dibattito sul cinque in condotta, tuttavia, a prescindere dagli allarmi per una scuola autoritaria e repressiva che non hanno il minimo fondamento nella realtà italiana, mi pare notevolmente riduttivo proprio alla luce di quanto abbiamo detto; e lo è in particolare l’idea che un maggior rigore servirebbe a “combattere il bullismo”. Si tratta invece di ri-orientare complessivamente l’azione educativa, di operare una revisione critica che riguarda tutti i giovani e non solamente i bulli; e di rendersi conto che la scuola si è troppo a lungo dimenticata di tutelare, insieme ai docenti e al loro difficile impegno, i tanti ragazzi che vogliono studiare e imparare e il cui comportamento corretto – che si dà per scontato come l'aria che respiriamo – costituisce una delle condizioni imprescindibili per lavorare con serenità. Così facendo, in un certo senso la pedagogia egemone ha codificato una forma di silenzioso parassitismo degli adulti nei confronti degli allievi corretti, che ha consentito di evitare, insieme a più risolute prese di posizione, la revisione di fallimentari teorie educative. Tra le quali, radicatissima anche al di fuori del contesto scolastico e familiare, la falsa contrapposizione tra educazione e sanzione, mentre la seconda fa parte di ogni sistema educativo, sia pure come strumento a cui ricorrere eccezionalmente. Tanto più eccezionalmente, quanto più chi potrebbe incorrervi sa di non poter assolutamente superare certi limiti. In definitiva la fermezza educativa non è affatto in contrasto con un buon rapporto tra genitori e figli, nonché tra insegnanti e allievi; anzi ne crea le premesse e l'indispensabile cornice.
È vero però che in qualche caso non si tratta più di difficoltà psicologica nel proporre un valore, ma di un vero e proprio disorientamento etico. Per esempio, nel decidere se promuovere o no uno studente, oltre all’ovvio interesse di quest’ultimo, entrano in gioco altri “beni” da tutelare, a cui in genere si dedica poca o nessuna attenzione: la valorizzazione del merito e dell’impegno, che ogni promozione ingiusta indirettamente svaluta; la correttezza e l’imparzialità di cui la scuola dovrebbe dare esempio costante e a cui i docenti devono informarsi nell’esercizio delle loro funzioni anche in quanto parte della Pubblica Amministrazione (ma glielo ha mai detto nessuno?). Esiste certamente l’autonomia professionale, che però non è fatta solo di libertà, ma anche di responsabilità. Non pochi colleghi, invece, sono convinti di godere di una discrezionalità assoluta, per cui si può anche prescindere dai registri pieni di insufficienze, purché ci si appoggi a una qualsiasi motivazione psicologica o sociale. E che l’indulgenza sia stata anche incoraggiata e legittimata, lo prova il fatto che, mentre una bocciatura deve essere abbondantemente motivata e magari accompagnata dalla documentazione di tutte le strategie adottate per prevenirla, sulle promozioni nulla quaestio: vanno sempre bene.
Un’altra falla nell’etica professionale emerge di frequente in occasione delle prove scritte degli esami, con il professore che aiuta più o meno apertamente i suoi allievi o più discretamente si assenta per un caffè, quando non arriva a procurare senz’altro la soluzione del problema. E forse non tutti sanno che tutta una complessa organizzazione pluriennale di rilevamenti nazionali dell’Invalsi sull’apprendimento dell’italiano e della matematica è stata irrimediabilmente mandata a monte dall’indebito aiuto che una parte dei docenti italiani ha ritenuto di prestare ai propri allievi; e si può immaginare con quale beneficio educativo, per tacere dei soldi spesi invano.
Anche questi fenomeni rendono non più rinviabile una riforma dello stato giuridico, che tra l’altro prevederebbe, accanto alla creazione di organismi rappresentativi della professione, l’adozione di principi etico-deontologici e soprattutto un’ampia discussione su questa materia. Sperando che l’occasione non venga persa facendo calare dall’alto un codice preconfezionato.
Torniamo quindi al punto di avvio di questa riflessione: la responsabilità degli educatori rispetto alla situazione dell’etica pubblica. E cioè alla necessità di una più acuta consapevolezza dell’influenza che la qualità dell’istruzione e in particolare lo stile educativo dei docenti sono destinati ad avere anche sulla società. L’educazione civica delle nuove generazioni non passa soltanto dallo studio della Costituzione, ma anche e soprattutto dall’azione di insegnanti sensibili e insieme fermi e perseveranti nel non transigere sul rispetto degli altri; e capaci di essere a loro volta un esempio di rigore, di impegno e di responsabilità di fronte ai loro allievi. Utilizzando con coerenza le due leve dell’educazione civica “in atto” e dell’etica professionale, la scuola sarà in grado di formare cittadini insieme più preparati e più responsabili.

Proprio sul "Corriere della Sera" di oggi un articolo riferisce del richiamo dell'Invalsi ai docenti italiani impegnati nell'esame di terza media. Si chiede, in sostanza, di non aiutare gli alunni nella prova nazionale, come l'anno scorso invece è accaduto (e a tal punto da vanificare in pratica l'utilità della prova stessa). Se è importante che finalmente la questione abbia risalto, si noti però con quale linguaggio felpato si tratta quello che è in realtà un vero e proprio scandalo per chi possieda un minimo di senso della legalità e dell'istituzione in cui opera: "Si consiglia che non siano presenti in aula insegnanti della disciplina oggetto della prova". E l'articolo precisa: "Non è una disposizione, ma una cortese richiesta. Chi vuole può restare a fianco degli alunni.". Leggi

domenica 14 giugno 2009

SCUOLE MEDIE PIÙ SEVERE (+ 55% di non ammessi).

Sul "Corriere della Sera" si comincia a fare il punto sui risultati nella scuola media. Gli esami non sono ancora cominciati, ma si sa che in genere i ragazzi impreparati non vengono neppure ammessi. Circa 70.000 allievi dovranno ripetere l'anno (di cui ben 10.000 - circa uno su 100 - per via di un 5 in condotta), contro i 45.000 del 2008 (+ 55%). La giovane-giovanilista ministra Meloni si candida per guidare l'ala buonista del centro-destra e ricorda agli insegnanti che "la buona scuola non si fa soltanto con le bocciature". Ah. (Leggi.)
Il quotidiano raccoglie anche diversi altri pareri , in cui prevalgono le valutazioni negative. In apertura quella di Domenico Starnone, un classico della colpevolizzazione dei docenti negli scorsi decenni: "Quando un insegnante boccia, alla fine boccia se stesso".
Bisognerà però ritornare sulla nuova normativa introdotta dalla Gelmini in fatto di valutazione, per cui non ci deve essere neppure un'insufficienza per poter promuovere un allievo. Sarebbe infatti logico a questo punto tornare (in analogia con le superiori) a una qualche forma di esame di riparazione. In questo senso si schiera anche l'Unione Genitori
Intanto molte scuole hanno dovuto inventarsi qualcosa per ripristinare la trasparenza delle valutazioni, che sarebbe compromessa dalla pura e semplice trasformazione del 5 in 6, nel caso in cui la preparazione complessiva di un ragazzo non sia così compromessa da dover ripetere l'anno. Alcune lo hanno fatto scrivendo "Voto di consiglio" accanto al "falso" 6 (con annessa nota esplicativa).
Anche di questo parla il bell'articolo di Giorgio Israel pubblicato ieri su "Messaggero" e "Mattino": Riportiamo a scuola merito e rigore.

lunedì 8 giugno 2009

RIFORMA DEI LICEI ALLA TERZA BOZZA: ANCORA POTATURE, MA ANCHE PIÚ BUON SENSO

Leggendo la terza bozza di riforma dei licei, che dovrebbe essere la definitiva, si constata anzitutto che il criterio guida della riforma, quello di una forte potatura delle ore, ha imposto ulteriori tagli. Nella maggior parte dei bienni (classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane) le ore sono state ridotte da 30 a 27. Un ridimensionamento che comporta ovviamente il sacrificio di alcune discipline e che ci pare si giustifichi solo in una logica tremontiana, a differenza di quello, condivisibile, del monte ore nei professionali, nei tecnici, nei licei artistici.
Ci sono però anche cambiamenti positivi, quanto meno sono state eliminate alcune delle più macroscopiche storture della precedente bozza. Ad esempio:
▪ è stato abbandonato il velleitario proposito di introdurre un po’ dappertutto una seconda lingua straniera (al grido “l’Europa lo vuole”), prendendo forse coscienza dei problemi che gli studenti hanno già con la lingua madre;
▪ si è rinunciato a bizzarri accorpamenti in un unico insegnamento di materie da sempre distinte, come nel caso di storia e filosofia al Liceo Artistico;
▪ è stata eliminata l’insensata previsione di 1 sola ora di insegnamento settimanale per la storia dell’arte nei licei classico, linguistico, delle scienze umane (come forse i lettori del nostro Blog ricorderanno, la questione fu oggetto di una nostra lettera al Ministro). La soluzione adottata (2 ore settimanali nel solo triennio) è certamente un compromesso, inadeguato in particolare negli indirizzi di studio dove è indispensabile rappresentare lo stretto legame della produzione artistica con le radici storiche, letterarie e filosofiche della nostra civiltà; ma se non altro si è recuperato per questa materia un minimo di praticabilità didattica.
A proposito di arte, fra tutti gli indirizzi previsti dalla riforma (licei, tecnici, professionali) si cerca invano l’Istituto d’arte, escluso dal quadro dei nuovi licei (in passato si era pensato ad una unificazione delle scuole artistiche), ma anche non esplicitamente elencato fra i professionali dell’industria e dell’artigianato. Mentre si straparla di “didattica del fare” sarebbe un grave danno perdere la specificità e la lunga tradizione di una scuola che mette preziosamente insieme la capacità di pensare (progettare) delle cose e la concreta possibilità di realizzarle.

(A.R.)