domenica 17 gennaio 2021

I BEI TEMPI NON SONO QUELLI ANDATI. Conoscere la storia per scoprire le conquiste del nostro tempo

Nel presentare il nostro mondo alle nuove generazioni, la scuola dovrebbe tenere presente la tendenza della mente umana a prestare più attenzione alle vicende e alle situazioni negative. Una caratteristica che è stata preziosa per noi sapiens quando vivevamo in ambienti in cui i più pronti a percepire rischi e minacce avevano maggiori possibilità di sopravvivere. La distrazione e la sventatezza si pagavano care. Anche gli studi sul cervello hanno dimostrato che i pericoli e le impressioni negative suscitano un’attivazione dei circuiti neurali ben più forte degli stimoli positivi.

Nelle odierne società avanzate viviamo vite di gran lunga più sicure e possiamo naturalmente rilassarci un po’, anche se sarebbe sbagliato sostenere che la circospezione trasmessaci dai nostri avi è diventata inutile. (E magari riuscissimo a passarne un po’ ai tanti ragazzi che sfidano la sorte con rischiose bravate).

Ma questa tendenza a “vedere nero” ha anche un effetto indesiderato, appunto quello di distorcere la nostra percezione del mondo in cui viviamo e di cui tendiamo a ignorare o a sottovalutare le tante conquiste di cui pure godiamo. Questo si riflette a scuola sullo studio della storia e del mondo contemporaneo, per lo più centrati, l’uno sui drammi del passato (guerre, schiavitù, pestilenze, violenza), l’altro sui problemi attuali (ambiente, povertà, disoccupazione, mafie, terrorismo). Un forte contributo a rinforzare questa propensione innata viene dato dai mezzi di comunicazione, che, consapevoli di quello che “funziona”, in genere registrano più volentieri – quando non cercano attivamente – scandali, disgrazie, disastri e altri ingredienti forti per i loro menù giornalistici.

Per riequilibrare la capacità di valutare la realtà in cui viviamo è decisamente consigliabile, tra i libri che conosco, quello dello studioso svedese Johan Norberg: Progresso: Dieci motivi per guardare al futuro con fiducia. Già nel titolo dato all’introduzione, l’autore espone la tesi del saggio: I bei tempi andati sono ora. Un tempo Norberg condivideva il diffuso pessimismo sul mondo contemporaneo e vagheggiava un ritorno al passato e una società “in armonia con la natura”. Ma lo studio della storia e i molti viaggi lo hanno convinto che non si può avere una visione romantica di come si viveva un tempo.

I grandi progressi, che la rivoluzione industriale e lo sviluppo della scienza e della tecnica hanno prodotto, vengono analizzati in nove sezioni: alimentazione, igiene, aspettativa di vita, povertà, violenza, ambiente, alfabetizzazione, libertà, uguaglianza. Una decima sezione è dedicata alla storia del lavoro minorile (che non è stato inventato dalla rivoluzione industriale) e a un’ulteriore riflessione sulla tendenza al pessimismo, fondata spesso su un’ignoranza a cui non sono estranei i libri di testo.

Sulla diffusione della fame e della denutrizione nel passato Norberg non è dovuto partire da lontano. Nel 1868 una grave carestia colpì la Svezia, molti genitori si trovarono a non avere più nulla da metter in tavola, gruppi di bambini emaciati e affamati giravano da una fattoria all’altra mendicando “qualche briciola di pane”. Ma avere fame era la norma anche in assenza di carestie che l’acuissero all’estremo: “I francesi e gli inglesi nel diciottesimo secolo assumevano meno calorie della media attuale nell’Africa subsahariana, la regione più afflitta da malnutrizione”.

Enormi passi avanti sono stati fatti riguardo all’igiene e alla lotta contro le malattie. Un campo di cui siamo un po’ meno disinformati, però le pagine su come andavano un tempo le cose fanno lo stesso impressione. A loro volta i progressi della medicina hanno portato a un aumento sempre più rapido dell’aspettativa di vita. “All’inizio del XIX secolo – scrive Norberg - in Svezia tra il 30 e il 40 % di tutti i bambini moriva prima del quinto anno d’età. All’inizio del XX la percentuale era scesa al 15%. Oggi è allo 0,3 %.”

Anche gli altri capitoli del libro si leggono con sgomento, ma anche con curiosità e con passione, direi quasi con entusiasmo. E la scuola dovrebbe davvero dare più spazio a questi aspetti così confortanti della nostra storia. Non certo per dimenticare i tanti problemi e le sofferenze che esistono ancora in tante aree del globo, anzi, proprio per suscitare nei giovani, oggi in particolare a rischio di scoraggiamento, la convinzione che studiare e impegnarsi con perseveranza può essere, come in passato, la strada da percorrere per migliorare il mondo. E si potrebbe magari cominciare proprio dalla strepitosa impresa planetaria degli scorsi mesi, la preparazione a tempo di record del vaccino, anzi di più vaccini, contro il Covid. Se il proverbiale Marziano, spesso chiamato in causa per i più vari motivi, visitasse oggi il nostro pianeta, probabilmente esclamerebbe: “Però, questi Terrestri!” 

Giorgio Ragazzini

lunedì 11 gennaio 2021

MINISTRA AZZOLINA, GIUSTO COMPRENDERE I GIOVANI, MA RICORDANDO LE LORO RESPONSABILITÀ

Intervistata stamani da Radio 1, la Ministra Azzolina, pur dichiarando che il governo ha fatto tutto quello che poteva, ha detto di sentirsi “vicina a quegli studenti che si sentono arrabbiati e delusi per il proseguimento della Dad. Anch’io al loro posto sarei arrabbiata”. La Ministra ha aggiunto che la Dad non può più funzionare, perché è uno strumento che può servire per qualche settimana o per qualche mese, ma i ragazzi vivono ormai “un blackout della socialità”.

Giusto. La condizione per avere un rapporto con i giovani è cercare di comprenderli e farglielo sentire. Ma, di fronte alle difficoltà, accanto alla comprensione i ragazzi hanno bisogno anche di adulti capaci di rassicurarli, fortificarli e incoraggiarli a reagire. La sola sintonia non basta, è anche necessario un richiamo alle loro risorse interiori e al loro senso di responsabilità, in alternativa alla rabbia e, in non pochi casi, alla distruttività. E fino a quando viene deciso, anche sbagliando, che è inevitabile adattarvisi a turno, gli studenti dovrebbero fare il possibile per rendere utile questo male minore, nonostante tutti i suoi vistosi limiti. Non è quindi accettabile che qualche allievo non si colleghi, sparisca dal video, non risponda al telefono, escogiti trucchi per fare forca on line. La Ministra poteva poi ricordare che se è giusto pretendere, come fanno gli studenti, il massimo sforzo dalle istituzioni per riaprire le scuole a tutti, non ci si può poi accalcare sconsideratamente e senza mascherina davanti alla scuola e di fronte ai bar, anche solo per non mettere in pericolo i familiari. Bisogna essere coscienti che il gruppo tende a deresponsabilizzare; e sarebbe anzi positivo che qualcuno di loro avesse il coraggio di ricordare il rispetto delle regole ai compagni che se ne infischiano.

Bene ha fatto Paolo Sarti, pediatra e autore di libri sull’educazione, a dire che ai nostri figli “non abbiamo insegnato a fare sacrifici per il bene comune”; e a stigmatizzare “la fallimentare pedagogia delle coccole, giustificativa a oltranza, preservatrice da ogni sforzo, impegno, lotta o frustrazione.” Accanto ai fallimenti educativi, non scordiamoci però delle responsabilità di chi a tutti i livelli istituzionali dovrebbe far rispettare le regole e non lo fa, incoraggiando con l’impunità i comportamenti illegali.

Aggiungo che i ragazzi oggi giustamente impegnati per tornare alla scuola in presenza non sono certo da identificarsi senz’altro con chi si comporta in modo dissennato. Ma sarebbe importante che ne prendessero con forza le distanze.

Giorgio Ragazzini