Nel presentare il nostro mondo alle nuove generazioni, la scuola dovrebbe tenere presente la tendenza della mente umana a prestare più attenzione alle vicende e alle situazioni negative. Una caratteristica che è stata preziosa per noi sapiens quando vivevamo in ambienti in cui i più pronti a percepire rischi e minacce avevano maggiori possibilità di sopravvivere. La distrazione e la sventatezza si pagavano care. Anche gli studi sul cervello hanno dimostrato che i pericoli e le impressioni negative suscitano un’attivazione dei circuiti neurali ben più forte degli stimoli positivi.
Nelle odierne società
avanzate viviamo vite di gran lunga più sicure e possiamo naturalmente
rilassarci un po’, anche se sarebbe sbagliato sostenere che la circospezione
trasmessaci dai nostri avi è diventata inutile. (E magari riuscissimo a
passarne un po’ ai tanti ragazzi che sfidano la sorte con rischiose bravate).
Ma questa
tendenza a “vedere nero” ha anche un effetto indesiderato, appunto quello di
distorcere la nostra percezione del mondo in cui viviamo e di cui tendiamo a
ignorare o a sottovalutare le tante conquiste di cui pure godiamo. Questo si
riflette a scuola sullo studio della storia e del mondo contemporaneo, per lo
più centrati, l’uno sui drammi del passato (guerre, schiavitù, pestilenze,
violenza), l’altro sui problemi attuali (ambiente, povertà, disoccupazione,
mafie, terrorismo). Un forte contributo a rinforzare questa propensione innata
viene dato dai mezzi di comunicazione, che, consapevoli di quello che
“funziona”, in genere registrano più volentieri – quando non cercano
attivamente – scandali, disgrazie, disastri e altri ingredienti forti per i
loro menù giornalistici.
Per riequilibrare
la capacità di valutare la realtà in cui viviamo è decisamente consigliabile,
tra i libri che conosco, quello dello studioso svedese Johan Norberg: Progresso: Dieci motivi per guardare al
futuro con fiducia. Già nel titolo dato all’introduzione, l’autore espone la tesi del saggio: I bei tempi andati sono ora. Un tempo Norberg
condivideva il diffuso pessimismo sul mondo contemporaneo e vagheggiava un ritorno
al passato e una società “in armonia con la natura”. Ma lo studio della storia
e i molti viaggi lo hanno convinto che non si può avere una visione romantica
di come si viveva un tempo.
I grandi progressi,
che la rivoluzione industriale e lo sviluppo della scienza e della tecnica
hanno prodotto, vengono analizzati in nove sezioni: alimentazione, igiene, aspettativa di vita, povertà, violenza,
ambiente, alfabetizzazione, libertà, uguaglianza. Una decima sezione è
dedicata alla storia del lavoro minorile (che non è stato inventato dalla
rivoluzione industriale) e a un’ulteriore riflessione sulla tendenza al
pessimismo, fondata spesso su un’ignoranza a cui non sono estranei i libri di
testo.
Sulla diffusione
della fame e della denutrizione nel passato Norberg non è dovuto partire da
lontano. Nel 1868 una grave carestia colpì la Svezia, molti genitori si
trovarono a non avere più nulla da metter in tavola, gruppi di bambini emaciati
e affamati giravano da una fattoria all’altra mendicando “qualche briciola di
pane”. Ma avere fame era la norma anche in assenza di carestie che l’acuissero
all’estremo: “I francesi e gli inglesi nel diciottesimo secolo assumevano meno
calorie della media attuale nell’Africa subsahariana, la regione più afflitta
da malnutrizione”.
Enormi passi
avanti sono stati fatti riguardo all’igiene e alla lotta contro le malattie. Un
campo di cui siamo un po’ meno disinformati, però le pagine su come andavano un
tempo le cose fanno lo stesso impressione. A loro volta i progressi della
medicina hanno portato a un aumento sempre più rapido dell’aspettativa di vita.
“All’inizio del XIX secolo – scrive Norberg - in Svezia tra il 30 e il 40 % di
tutti i bambini moriva prima del quinto anno d’età. All’inizio del XX la
percentuale era scesa al 15%. Oggi è allo 0,3 %.”
Anche gli altri capitoli del libro si leggono con sgomento, ma anche con curiosità e con passione, direi quasi con entusiasmo. E la scuola dovrebbe davvero dare più spazio a questi aspetti così confortanti della nostra storia. Non certo per dimenticare i tanti problemi e le sofferenze che esistono ancora in tante aree del globo, anzi, proprio per suscitare nei giovani, oggi in particolare a rischio di scoraggiamento, la convinzione che studiare e impegnarsi con perseveranza può essere, come in passato, la strada da percorrere per migliorare il mondo. E si potrebbe magari cominciare proprio dalla strepitosa impresa planetaria degli scorsi mesi, la preparazione a tempo di record del vaccino, anzi di più vaccini, contro il Covid. Se il proverbiale Marziano, spesso chiamato in causa per i più vari motivi, visitasse oggi il nostro pianeta, probabilmente esclamerebbe: “Però, questi Terrestri!”
Giorgio Ragazzini