mercoledì 25 febbraio 2009

ULTERIORI CHIARIMENTI SULLA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Li fornisce lo stesso professor Giorgio Israel (che ha presieduto negli scorsi mesi la commissione ministeriale sulla formazione iniziale dei docenti) in un'intervista a "Sussidiario.net", sulle cui pagine, lunedì scorso, Giovanni Cominelli aveva criticato proprio la bozza "Israel".

sabato 21 febbraio 2009

LA SCUOLA CHE NON TUTELA NESSUNO

I giornali tornano oggi sul caso dell’insegnante di religione che ha investito di proposito due ragazzi nel cortile dell’Istituto tecnico Guala di Bra, a quanto pare esasperato dal comportamento di una classe in particolare. Si sa che le ricostruzioni giornalistiche delle vicende scolastiche sono a volte approssimative; per questo è bene leggersi almeno le meno sintetiche, quelle del “Corriere della Sera”, della “Stampa” e del “Giornale”.
Se le cose stanno come si leggono sui giornali, l’episodio è esemplare e rivelatore: siamo di fronte a una scuola, quella italiana, che troppo spesso non tutela né gli studenti né gli insegnanti: per colpevole tolleranza, per mancanza di strumenti normativi, per assenza di una più rigorosa selezione in entrata di chi vuole dedicarsi a questo difficile mestiere. In un sistema scolastico serio, chi da questo sistema è stato considerato idoneo all’insegnamento ha il sacrosanto diritto di essere sostenuto e difeso. Lasciare che lezione dopo lezione un docente venga sbeffeggiato e insultato è gravissimo e irresponsabile, significa caricare la molla di una possibile tragedia; eppure non risulta dagli articoli che chi lo chiamava “nano” o “Carletto” e gli voltava le spalle sia stato sanzionato come meritava. D’altra parte, le possibilità che i Presidi hanno di intervenire sul lato del docente (per esempio con forme di consulenza o di sostegno) sono minime. E in certi casi (non sappiano se in questo) dovrebbe essere possibile destinare ad altro incarico un docente che proprio non ce la fa.

venerdì 20 febbraio 2009

VERSO UNA NUOVA FORMAZIONE DEI DOCENTI: MENO PEDAGOGISMO, PIÙ CONTENUTI DISCIPLINARI

In un articolo sul "Messaggero", Giorgio Israel, coordinatore del Gruppo ministeriale per la formazione dei nuovi insegnanti, sintetizza efficacemente i risultati del lavoro svolto (unico neo che mi permetto di rilevare: l'idea che sarebbe assodata la natura di "buco nero" della scuola media; in proposito rimando chi volesse approfondire il tema al mio intervento Doppia ipotesi per un relitto con le segnalazioni che seguono, ai post del 23 e del 25 settembre , nonché a quello del 3 ottobre).

GR

martedì 17 febbraio 2009

L'AUDIZIONE DEL GRUPPO DI FIRENZE DAVANTI ALLA COMMISSIONE CULTURA DELLA CAMERA

Stamani intorno alle tredici si è svolta l'audizione del Gruppo di Firenze davanti alla VII Commissione della Camera presieduta da Valentina Aprea, presentatrice del progetto di legge che si occupa soprattutto di riforma degli organi di autogoverno delle scuole e dello stato giuridico dei docenti.
Sergio Casprini e Giorgio Ragazzini si sono soffermati soprattutto sull'organismo che dovrà sostituire il Consiglio d'Istituto (attualmente chiamato Consiglio di amministrazione nel disegno di legge in discussione) e sulla necessità di una compiuta "professionalizzazione" della categoria, sulla falsariga della memoria consegnata ai membri della commissione. Ne pubblichiamo qui di seguito il testo.

PREMESSA: I RISCHI DELLE “GRANDI RIFORME”

L’esperienza insegna la cautela rispetto ai tentativi di riforme “organiche”. C’è il rischio che alcune parti rimangano sulla carta per difetto di mezzi, di chiarezza e di condivisione, anche se non pochi temi affrontati da questo progetto di legge sono sul tavolo da tempo e possono considerarsi maturi. Meglio alcuni passi per volta, di cui si possano riscontrare gli effetti positivi, che una riforma epocale largamente inattuata.

A) AUTOGOVERNO DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE

Valorizzare il terreno dell’organizzazione e far crescere le competenze gestionali. In realtà l’autogoverno delle scuole ha due versanti: quello gestionale e quello didattico. Qui ci si riferisce, per seguire lo schema proposto, al primo aspetto. Sul secondo diremo qualcosa nella parte dedicata allo stato giuridico.
La maggiore difficoltà nel governo delle scuole autonome è la carenza di persone realmente preparate sul piano organizzativo e gestionale, dirigenti inclusi. C’è in molte situazioni un’evidente sproporzione tra i compiti che ormai gravano sui singoli istituti e la capacità di assolverli in modo efficiente (e questo provvedimento tali compiti li rende ancora più gravosi).
A conferma di questa tesi, Giuseppe De Rita scriveva, il 15 gennaio sul “Corriere della Sera”:
“Le opzioni politiche e le leggi non bastano quando si deve governare il sistema scolastico, occorrono responsabilità organizzative ben disegnate e personale ben motivato”. La mancanza di incisività si riscontra “nella programmazione e nella manutenzione dell'edilizia scolastica; nella gestione didattica dei singoli istituti [...]; nelle politiche del personale a tutti i livelli; nella regolazione delle sfere di autonomia e di partecipazione; nella difesa dei controlli ispettivi.[...] Quanta gente frustrata, a tal proposito, abbiamo incontrato negli ultimi anni: dirigenti centrali demotivati e con sempre minore potere; presidi e direttori didattici lasciati alla propria buona volontà; ispettori scolastici senza più ruolo...” Una questione, insomma, che si pone “in termini di basilare organizzazione della macchina”.
Naturalmente esiste spesso (anche se non sempre) una notevole carenza di mezzi finanziari, che però non spiega tutto.
Da questo punto di vista, oltre ai provvedimenti indicati da De Rita nel seguito dell’articolo (che alleghiamo), è necessaria un’azione effettiva di “accompagnamento” dell’autonomia che tenga conto della scuola reale, eterodiretta per moltissimi anni dall’amministrazione centrale. Pertanto, in un processo graduale di attuazione della legge di riforma, occorre trovare un punto di equilibrio tra iper-regolazione dello stato e eccessiva autoreferenzialità delle scuole autonome, un rischio presente in alcuni articoli della legge.
D’altra parte, finora non si è visto un granché quanto a controlli di regolarità e di correttezza; e pochissime risultano le forme di incisiva valutazione.

Governo e partecipazione. Da molti anni l’elezione del Consiglio di Istituto è contrassegnata in molte scuole dall’affannosa ricerca di candidati delle diverse componenti. Alla fine approdano spesso nel Consiglio persone poco motivate, che si sono prestate per spirito di servizio e, in genere, non possiedono che limitate conoscenze e attitudini per dare un contributo significativo. Ci risulta anche che la partecipazione di molti eletti è saltuaria e non sempre si raggiunge effettivamente il numero legale.
Il problema, a nostro avviso, si risolve solo in parte riducendo il numero dei membri e prevedendo la partecipazione di esperti esterni. E quella del rappresentante dell’ente locale proprietario dei locali (che in teoria potrebbe favorire uno snellimento delle procedure di intervento sulle strutture scolastiche) potrà forse essere assicurata dai piccoli comuni; ma in quelli grandi e nelle province la cosa ci pare poco praticabile.
Per quanto riguarda i docenti, si dovrebbe lavorare nella direzione di valorizzarne, professionalmente parlando, l’elezione nell’organismo di cui all’art. 5 (comunque si chiami), considerandola come utile per un successivo sviluppo di carriera e prevedendo anche la possibilità di un incentivo economico.
L’esigenza di sostituire il volontariato con la competenza nella vita della scuola può suggerirci qualcosa anche a proposito (per dirla con De Rita) di “regolazione delle sfere di autonomia e di partecipazione”, con particolare riferimento a quella di genitori e studenti. La loro presenza nell’organo di autogoverno amministrativo è essenziale come elemento di controllo, di trasparenza e di rappresentazione delle proprie esigenze (funzioni che è possibile amplificare ulteriormente con vari strumenti di consultazione degli utenti); tuttavia ci pare che la responsabilità prevalente delle decisioni debba ricadere in ultima analisi sull’amministrazione e sulle componenti tecnico-professionali, che non possono quindi essere sottorappresentate; e in tal senso si dovrebbe disporre in questa legge, non essendo opportuno che su questo punto si lasci la decisione ai singoli istituti.
Ma la partecipazione delle famiglie e degli allievi dovrebbe a nostro avviso essere incrementata anche con la creazione di organismi autonomi sostenuti anche economicamente dall’Istituto, che, soprattutto per gli studenti più grandi, rappresenterebbero una forma di impegno sicuramente più soddisfacente e formativo di quello attuale. Ne prevedono la possibilità tanto il presente PdL (art. 9), quanto lo Statuto degli Studenti (art. 2), ma è necessaria una politica di promozione e di sostegno in questo senso. Pensiamo per esempio a associazioni culturali ben strutturati e gestite dagli studenti, con loro Statuti e attività regolari pomeridiane che potranno riguardare l’orientamento, l’approfondimento di temi culturali, attività sportive, pubblicazioni, siti web, eccetera.
E pensiamo anche alla necessità di favorire una maggior partecipazione di tutti i genitori alla vita scolastica anche attraverso l'organizzazione di incontri sui cambiamenti in atto nella scuola, su nuove normative e via dicendo.

B) STATO GIURIDICO DEI DOCENTI

Tra i diversi provvedimenti previsti in questa sezione del progetto di legge, ci preme evidenziare:

  • la creazione di un’area contrattuale autonoma, sottolineando che appaiono ormai anacronistiche le resistenze che vorrebbero continuare a escludere da questo istituto solo i docenti tra tutti i professionisti dipendenti dello Stato;
  • la creazione di nuove articolazioni della funzione docente, che contribuiscano al governo della scuola sotto il profilo dell’aggiornamento, della ricerca, della formazione e tirocinio dei nuovi docenti, della progettazione di curricoli, dei servizi alla didattica;
  • la creazione di organismi tecnico-professionali di carattere nazionale con articolazioni regionali (ad esempio il “Consiglio Superiore della Docenza” proposto da alcune associazioni professionali);
  • l’elaborazione e la diffusione di un codice di princìpi etici della professione docente, che individui – ma solo dopo un’ampia e non frettolosa discussione nella scuola – gli impegni fondamentali che ciascun insegnante deve assumersi nei confronti degli studenti, dei genitori, dei colleghi e della propria professione. In un paese di cui tanto e a ragione si lamentano le carenze di civismo e senso di responsabilità, la riflessione e la presa di coscienza che questa innovazione comporterebbe può costituire una leva essenziale per innalzare il livello di serietà nella nostra scuola, far ritrovare agli insegnanti il giusto senso di appartenenza insieme alla coscienza dei diritti e dei doveri e infine la consapevolezza che è alla collettività, prima ancora che ai singoli utenti, che un insegnante e la scuola devono in definitiva rispondere del loro operato;
  • l’istituzione di una valutazione periodica di tutto il personale docente (in tutti i suoi livelli di carriera) e dei dirigenti scolastici, con la raccomandazione, però, che nel caso di seria inadeguatezza o di gravi mancanze sul piano deontologico-professionale non si prevedano solo sanzioni blande come all’art. 17 comma 5, ma anche provvedimenti molto più incisivi – e pensiamo quanto meno alla destinazione ad altri incarichi, se non proprio al licenziamento – in quanto solo se si interviene sul demerito professionale si può introdurre una efficace e credibile logica meritocratica nella scuola dell’autonomia.

Martedì 17 febbraio 2009

giovedì 12 febbraio 2009

SCOPERTA A BOLOGNA UNA SCUOLA FOSSILE

È la "Longhena" di Bologna, i cui docenti, convinti di essere ancora nel '68, hanno dato dieci a tutti i bambini in tutte le materie per protestare contro la Gelmini... Oggi si conquistano uno spazio sul nostro blog, oltre che in molti quotidiani, per come brillantemente dimostrano la necessità di affrontare il tema dell'etica professionale. Speriamo che nel frattempo vengano presi adeguati provvedimenti disciplinari; ma è lecito nutrire dubbi: cose del genere accadono perché si sa benissimo che l'impunità è la regola del bel paese. Leggi l'articolo sulla "Stampa".

giovedì 5 febbraio 2009

PAOLA MASTROCOLA: IL VERO RECUPERO È METTERSI A STUDIARE

L'insegnante e scrittrice Paola Mastrocola commenta sulla "Stampa"la notizia che non ci sono fondi per i corsi di recupero e le ipotesi di spostarli nella mattinata sospendendo le lezioni.

LA SCUOLA IRRECUPERABILE

Apprendiamo che le scuole non hanno i soldi per pagare i corsi di recupero. Oh, finalmente ci siamo arrivati! Da un anno aspetto che la bomba scoppi e che emerga l’ipocrisia demagogica che soggiace all’idea di recupero scolastico: era ovvio fin da subito, fin dal decreto Fioroni, che non ci sarebbero stati i soldi per istituire di pomeriggio corsi per sostenere i ragazzi in difficoltà. Non amo gli struzzi che nascondono la testa nella sabbia, quindi avrei preferito una maggiore chiarezza un anno fa. Comunque, meglio tardi che mai: oggi ne prendiamo atto (per fortuna la realtà ha sempre una sua adamantina inoppugnabile evidenza che prima o poi s’impone).Ma sono le odierne reazioni a sconcertarmi. Reazione dei media: alle famiglie non resterà che ricorrere alle lezioni private. Con conseguente prevedibile, e anche in parte giustificata, lamentatio populista: orrore! E i meno abbienti? Sarebbe questa una scuola democratica? Si possono penalizzare così gli sfortunati per censo? Come se davvero non ci fosse altra soluzione. Come se l’infame lezione privata fosse l’unica, ingiusta e sperequativa chance cui una società cinica e bara costringe i derelitti. Che strano! Mi dico: nella stragrande maggioranza dei casi lo studente non ce la fa - nonostante la modestia dell’impegno richiesto dalla scuola oggi - solo perché non studia (almeno nei licei questa mi pare la situazione); quindi si aprirebbe a noi ben altra e più nobile chance, quella di rivolgere finalmente un rimprovero ai nostri adorati e viziati pargoli insufficienti in quattro materie al primo quadrimestre, e dir loro di darsi una mossa e mettersi a studiare, di aprirli una buona volta quei loro maledetti libri e starci sopra sei ore al giorno minimo, per esempio, invece che smanettare su computer, playstation, tivù, iPhone, iPod e altre diavolerie. La seconda reazione che molto mi sconcerta arriva addirittura dall’ex Provveditorato (di Milano, per l’esattezza): benissimo - dicono gli alti dirigenti - siccome non ci sono soldi, consigliamo agli insegnanti di interrompere le lezioni al fine di poter svolgere i tanto agognati corsi di recupero.E qui vorrei prendermi un momento per spiegare meglio la faccenda. L’idea sarebbe che io, insegnante, interrompa i normali programmi che svolgo al mattino per tornare indietro a rispiegare, sempre al mattino, gli argomenti svolti da settembre a oggi. E perché farei questo? Per recuperare quei 5 o 6 o 10 allievi per classe che si son presi 4 di italiano in pagella. In concreto io domani, invece di iniziare la poesia del Novecento, dovrei tornare a spiegare la differenza tra avverbio e congiunzione. Senza contare che le ore eventualmente pagabili per il recupero (15!) sono comunque così esigue che nessun allievo (vista la mole delle sue carenze pregresse!) potrebbe mai essere veramente recuperato.Vorrei dire tutto il mio sconforto di insegnante, nel ricominciare da zero. Mio, e di qualche altro sperduto collega, spero. È come se la scuola stesse diventando un enorme gioco dell’oca dove siamo sempre rispediti tutti, da un perfido maleficio dei dadi, alla casella di partenza. Proviamo sconforto perché abbiamo lavorato bene, abbiamo fatto lezione fin dal primo giorno di scuola, abbiamo spiegato e rispiegato, abbiamo dato e corretto esercizi in classe e a casa. Se i nostri allievi dopo quattro mesi di scuola continuano a prendere 4, noi vorremmo dire che ci dispiace moltissimo ma il nostro lavoro l’abbiamo fatto, non possiamo - e non dobbiamo! - ripeterlo all’infinito (possiamo anche noi invocare una sorta di deontologia professionale?). Dice un proverbio inglese: puoi condurre il cavallo al fiume, ma non puoi costringerlo ad abbeverarsi. A quei nostri allievi vorremmo dire che non si perdano d’animo, che aprano i libri e la smettano di pensare che tocca agli insegnanti (privati o statali che siano) recuperare i loro abissi d’ignoranza, così come tocca ai genitori pagare le lezioni in più. Non è così: qualche cosa, anzi molto, tocca anche a loro, agli studenti, perché ognuno nella vita è responsabile in prima persona di quel che fa o non fa. Alla società, allo Stato, tocca fare in modo che tutti i ragazzi possano con le stesse opportunità avere quei libri da aprire: ma il gesto di aprirli nessuno può compierlo al posto loro, nemmeno se oggi invece che neve piovessero miliardi. Noi insegnanti non abbiamo Proci che premono per sposarci e quindi non dobbiamo, come Penelope, ogni notte disfare la tela. E nemmeno siamo delle macchine spalatrici pagate dal Comune per andare sempre avanti e indietro percorrendo lo stesso corso. Noi non dobbiamo spalare neve o fingere di tessere tele, noi dobbiamo insegnare! E vorremmo andare avanti. Perché a noi piacerebbe molto finire i programmi! Finire i Promessi sposi, le derivate, la seconda guerra mondiale e l’Eneide, perché ci pare brutto fermarci a metà e non sapere mai che cosa dice il povero Turno a Enea che lo sta uccidendo. Ci dispiacerebbe non finire tutto quel che abbiamo programmato, non solo perché ci piace moltissimo Virgilio, e ci piace moltissimo passare le sue opere ai nostri allievi; non solo perché insomma questo è il nostro mestiere, ma anche perché siamo convinti che i nostri ragazzi debbano, alla fine di ogni anno, sapere le cose che avevamo programmato e non solo la metà o un terzo di quelle cose: abbiamo una classe di venticinque o trenta persone davanti, a cui dobbiamo ben qualcosa! Cioè lo svolgimento pieno e più ricco possibile del programma, affinché siano poi persone preparate ad affrontare esami all’università, concorsi per trovare lavoro, nonché i famigerati test Pisa Ocse, a riguardo dei quali è inutile continuare a chiederci perché siamo sempre agli ultimi posti, dal momento che è evidente la ragione per cui lo siamo, visto che continuiamo per svariati motivi ad accorciare sempre più i programmi... Per queste ragioni, se mai mi si chiedesse di sospendere le lezioni per fare il recupero, io non lo farò. Non sospenderò le lezioni perché non mi piace per niente una scuola che va tre passi avanti e due indietro. Ma soprattutto perché nutro un profondo rispetto verso tutti quei nostri allievi - dieci o venti che siano per classe - che hanno finora lavorato bene, che i libri li hanno aperti e che ogni giorno vengono a scuola per imparare qualcosa, convinti che tutto sommato ne valga ancora la pena.

GIORGIA SI È RIFIUTATA DI SCIOPERARE: È PER QUESTO CHE HA 6 IN CONDOTTA?

Alcuni quotidiani - più ampiamente degli altri "Il Giornale" - riferiscono che una studentessa romana si è trovata un inaspettato 6 in condotta sulla scheda, dopo essersi a suo tempo rifiutata di scioperare e di partecipare all'autogestione, chiedendo per di più di poter fare lezione. Racconta anche di essere stata convocata dalla Preside per spiegare il suo comportamento. Senza dare nulla per scontato, non sarebbe il caso di disporre un'ispezione?

mercoledì 4 febbraio 2009

I MOSTRI NASCONO NELLA SCUOLA SENZA AUTORITÀ

Così Stefano Zecchi in un commento sul "Giornale" ai provvedimenti sulla condotta. Va anche ribadito però che se il bullismo è il fenomeno più vistoso, i comportamenti improntati a scarso rispetto per gli altri e a indifferenza per le regole sono pane quotidiano per quasi tutti gli insegnanti. Nascono da una crisi dei ruoli educativi di cui c'è ancora una consapevolezza inadeguata e sono testimoniati dal larghissimo uso che nelle scuole è stato fatto, per il primo trimestre o quadrimestre, del 5 "di avvertimento" in condotta, una sorta di cartellino giallo, che, legittimo o meno in base alla lettera della norma, è significativo dell'estremo bisogno di una scuola più seria che sappia anche punire. Si legga per esempio la cronaca di Daniela De Crescenzo sul "Mattino".

Rispuntano nel frattempo le tanto contestate "classi-ponte". Su "Libero Milano" di ieri la cronaca di una sperimentazione bresciana che sta andando molto bene.

domenica 1 febbraio 2009

L’OBBLIGO SCOLASTICO IN TOSCANA NON È SEMPRE DALLA PARTE DEGLI STUDENTI

di Valerio Vagnoli

Come molti sanno, a differenza di altre regioni, tra cui l’Emilia Romagna, la Toscana costringe gli studenti ad ottemperare all’obbligo scolastico fino ai sedici anni solo all’interno del percorso dell’istruzione, escludendo categoricamente la possibilità che questo possa avvenire anche nei percorsi della formazione professionale.
Finché l’obbligo scolastico era limitato ai quindici anni, era almeno possibile inserire gli studenti, su richiesta delle famiglie e degli studenti stessi e in virtù di una precisa attività di orientamento, in percorsi integrati scuola-lavoro dopo il primo anno delle superiori. Ora, invece, per loro l’attesa è diventata biennale, con conseguenze a dir poco disastrose per chi non ha assolutamente alcuna intenzione di continuare con la scuola.
La prima, tragica conseguenza è che quest’anno, a differenza degli scorsi anni, sono letteralmente scomparsi dal mio istituto una ventina di studenti. Alcuni di questi si erano reiscritti, dopo la bocciatura in prima dell’anno scorso, con l’intento di inserirsi a metà anno nel percorso integrato che da anni, e con esiti solitamente straordinari, la scuola stava portando avanti. Non appena saputo che per poterli frequentare avrebbero dovuto aspettare d’aver compiuto i sedici anni, si sono dileguati. A dire il vero alcune ragazze ogni tanto si fanno vive, per affetto o forse per ingannare la loro noia di giornate passate a zonzo o davanti alla televisione. Di altri non so più nulla. Ovviamente ad ogni ragazzo che scompare fanno seguito tutte le iniziative che la scuola deve portare avanti con puntualità burocratica e, soprattutto, con convinzione pedagogica e umana, tese a convincere gli studenti a tornare a scuola, ma da quest’anno il compito è abbastanza arduo. Tengo a specificare che dagli incontri con le famiglie emerge alla fine una rassegnata condivisione delle scelte dei loro figli, che davanti ai genitori e al sottoscritto rivendicano la loro attesa per inserirsi in percorsi formativi maggiormente imperniati sulle attività pratiche. Impossibile da dimenticare l’analisi profondamente pedagogica di un padre artigiano, impossibilitato a gestire la ribellione e la frustrazione del figlio costretto dalla legge regionale a vagabondare per un paio di anni nella scuola, quando invece (parole del padre) avrebbe potuto utilizzare questi anni cruciali anche per l’apprendimento delle competenze di base di un “ mestiere” , per imparare il lavoro artigianale del nonno.
Alla fine, in aggiunta alla ventina di ragazzi scomparsi dalle aule scolastiche, vi è una sorta di evasione scolastica legalizzata: quella, cioè, di famiglie che optano per una sorta di compromesso nei confronti dei loro figli. Accettano, per non avere noie, che la loro frequenza sia saltuaria e ai limiti della non classificazione, fino al giorno in cui questi compiranno il sedicesimo anno di età per poi andarsene, finalmente in grado di poter frequentare percorsi integrati di qualunque natura essi siano, purché il trovarsi dietro un banco scolastico diventi per loro una situazione marginale rispetto all’attività pratica.