sabato 27 dicembre 2008

CHI SONO I BRAVI INSEGNANTI? OVVERO, ALLA RICERCA DEL MERITO PERDUTO

di Sergio Casprini


Negli ultimi mesi opinionisti, intellettuali, uomini di scuola e di partito hanno promosso una discussione sulla meritocrazia nella Pubblica amministrazione ed in particolare nella scuola. A questo proposito va ricordato l’intervento del Gruppo di Firenze con la “Lettera aperta ai partiti”, sottoscritta da intellettuali e professori universitari e presentata al Liceo Visconti di Roma durante la campagna elettorale di questo anno.
Se nessuno nega l’importanza di promuovere serietà e responsabilità tra i docenti, le proposte che vengono fatte sono purtroppo viziate da pregiudizi e luoghi comuni sugli insegnanti, a conferma della scarsa conoscenza da parte di molti degli specifici aspetti di questa professione.
In primis, nonostante le denunce sulle malefatte dei “docenti fannulloni”, in particolare quella di Ichino, ancora si sottovaluta il fatto che la sanzione del demerito, fino al licenziamento appunto dei fannulloni, sarebbe un primo passo importante per una riqualificazione della scuola italiana in termini di serietà ed efficacia didattica. Ma no: i nostri riformatori meritocratici hanno invece la presunzione di poter facilmente individuare gli insegnanti più bravi per premiarli con incentivi economici e/o con avanzamenti di carriera. Non a caso paradossalmente è stato rivalutato l’operato del ministro Berlinguer, a suo tempo bocciato sonoramente da tutta la categoria docente e non certo per motivi corporativi (su questo vedi l’intervento di Andrea Ragazzini su questo blog).
Ma chi sono dunque gli insegnanti bravi? Sono bravi forse coloro che ottengono un buon rendimento scolastico dai loro allievi? Ci si scontra in questo caso con l’impossibilità di misurare la produttività del docente come si misura la produttività in ufficio o in fabbrica: gli allievi non sono tutti uguali da un punto di vista cognitivo e conta pure il contesto classe in cui sono inseriti.
Sono allora bravi quelli che si aggiornano periodicamente ed inoltre fanno pubblicazioni, acquisendo titoli culturali e scientifici? Quando si parla di aggiornamento mai si pensa anche a un serio e frequente confronto a carattere seminariale tra colleghi (su questo argomento è esauriente l’articolo di Giorgio Ragazzini), ma si ripropone un ritorno all’Università o la frequenza di inutili corsi di tipo psico-pedagogico, (senza dimenticare l’auto-aggiornamento “non istituzionale” dei docenti seri: lettura, cinema, teatro, musei...). Nel caso poi degli insegnanti che hanno all’attivo pubblicazioni nella loro disciplina, c’è da considerare che spesso viene meno l’impegno professionale in classe, assorbiti come sono dal lavoro scientifico.
Infine, sono invece bravi i docenti che assumono ruoli di responsabilità nella gestione didattica od organizzativa della loro scuola oppure partecipano alla realizzazione dell’offerta formativa e all’organizzazione di corsi di aggiornamento o del tirocinio per i giovani colleghi?
In questo caso si confonde la funzione dell’insegnante che opera in classe con quello che assume ulteriori incarichi, sia pure importanti, oltre all’insegnamento. Si tratta ovviamente di nuovi ruoli che vanno definiti giuridicamente a livello nazionale e che sono necessari per andare incontro alle necessità delle scuole autonome.
A mio parere invece si può riconoscere la qualità professionale dei docenti italiani nel verificarsi di tre condizioni: le prime due sono costitutive dell’essere insegnante: la conoscenza della propria disciplina e l’amore per essa, insieme al piacere di insegnarla; la terza è data dalla progressiva acquisizione di maggior capacità professionali garantita dall’esperienza e quindi dall’anzianità di servizio.
Immagino che molti potrebbero considerare queste conclusioni la corporativa riproposizione dei tradizionali automatismi di carriera a scapito dei meritevoli. Nel ribadire intanto che rimuovere dalla scuola i non meritevoli e cioè i fannulloni sarebbe una scossa salutare per tutta la categoria, sono consapevole anch’io che un eccesso di autoreferenzialità può avere effetti negativi se non si trovano i giusti contrappesi.
L’aggiornamento professionale insieme ai colleghi della propria scuola ed una verifica periodica (ogni 4/5 anni) del proprio operato possono però garantire che l’anzianità di servizio non si riduca ad un solipsistico esercizio dell’attività professionale con ovvie ricadute negative sulla didattica.
Sulle modalità della valutazione degli insegnanti e sulle figure a cui affidarla occorre affrontare un altro ordine di problemi, che esulano dal tema che mi sono proposto in questo intervento; posso solo suggerire che una valorizzazione professionale non dovrebbe prescindere dalla costituzione in sede locale e nazionale di organismi tecnici, tipo albi e consigli professionali rappresentativi degli insegnanti, da cui trarre almeno una parte dei valutatori.

LE CATTIVE MAESTRINE DALLA PENNA ROSSA

Lo stile di pensiero “politicamente corretto” in ambito educativo si traduce nella protezione a ogni costo dei figli o degli allievi: da qualsiasi prova, difficoltà, delusione o frustrazione. Purtroppo così facendo non si produce forza psicologica e morale, ma fragilità, pigrizia e scarso senso della realtà.
L’ultima trovata di questo benintenzionato filone pedagogico viene dal Regno Unito, dove si sta diffondendo il consiglio o addirittura il divieto (non si capisce bene) di usare la penna rossa per correggere gli errori degli allievi. Ne parla Cristina Nadotti su “Repubblica” (Addio penna rossa - “Quelle correzioni danno troppa ansia”). L’autrice simpatizza apertamente per questa nuova frontiera dei diritti umani.
Decisamente meno sintonici i commenti . Marco Lodoli sullo stesso quotidiano dà fondo al suo sarcasmo; Marcello D’Orta sul “Giornale” ipotizza un “Complesso Dickens” all’origine dei sensi di colpa britannici; Massimo Gramellini nel suo Buongiorno affianca la notizia a quella del licenziamento di una centralinista della Florida che rispondeva al telefono “Buon Natale”.

martedì 23 dicembre 2008

PROGRAMMI O "IMPARARE A IMPARARE"? UN BIVIO CRUCIALE PER LA SCUOLA

È sempre più evidente l’urgenza di fissare per ciascun livello degli studi alcuni traguardi minimi da raggiungere obbligatoriamente per poter andare avanti. Gli errori ortografici di cui molti laureandi infiorettano le tesi, la povertà lessicale, la difficoltà nell’organizzare testi in modo logico stanno da tempo dando luogo a una florida aneddotica universitaria. Nelle fioroniane “indicazioni nazionali per la costruzione del curricolo”, ad esempio, tra gli obbiettivi di apprendimento per la classe quinta, quello di “produrre testi corretti dal punto di vista ortografico, morfosintattico, lessicale” figura all’ultimo posto di una serie di altre abilità più sofisticate, senza che ne venga sottolineata la centralità. E non a caso l’obbiettivo lo ritroviamo in forma quasi identica fra quelli indicati per la terza media.
Da tempo Giorgio Israel, docente di matematica alla “Sapienza” di Roma, si batte per un ritorno ai programmi, cioè a una serie di contenuti disciplinari che la collettività ritiene indispensabili nei diversi ordini di scuola. E nel far questo non ha mai perso l’occasione per polemizzare contro il superamento dei programmi in favore delle “competenze”, concetto oltretutto sfuggente e controverso. In un’intervista rilasciata a “Il Sussidiario.net” si parla di questo, ma anche della cautela che si deve avere nell’affidarsi alle scuole “autonome” (spesso non in grado di sbrogliarsela con problemi più grandi di loro e soprattutto dei loro dirigenti), nonché della “pazzia” che, oggi come oggi, costituirebbe l’affidare ai singoli istituti il reclutamento degli insegnanti.
Il professor Davide Mulas, del Liceo Ginnasio “Dettori” di Cagliari, ci segnala a questo proposito un articolo di Andrés De La Oliva pubblicato su “El Paìs”, che lo stesso Israel ha riprodotto (in traduzione e lingua originale) sul suo blog e che è intitolato La truffa dell’insegnare a insegnare. Personalmente non metterei sullo stesso piano "imparare a insegnare" e "imparare a imparare". La conoscenza approfondita della materia è senza dubbio fondamentale, ma non sempre basta a saperla insegnare. De La Oliva stesso si contraddice, scrivendo che "i laureati che mai hanno insegnato non sanno insegnare non perché gli difetti una preparazione pedagogica o psicopedagogica, ma perché gli manca la pratica dell’insegnamento". Ma se è utile la pratica dell'insegnamento, non è vero che basta sapere bene la propria disciplina.
Mettere l’ "imparare a imparare" in cima alle competenze è invece un’autentica sciocchezza , dato che, da quando si impara, si impara a imparare più che altro imparando... E imparando cosa? Contenuti disciplinari, appunto. (GR)

sabato 20 dicembre 2008

DA GENTILE ALLA GELMINI NEI LICEI CLASSICI LA STORIA DELL’ARTE RIMANE UN’OSPITE

Scriveva Matteo Marangoni nel 1932: “È un fatto che quanta importanza si dà nelle scuole alla storia della letteratura, tanto poca se ne riconosce alla storia dell'arte, a quell'arte che è certo la più grande gloria artistica d'Italia”.
È una considerazione che Marangoni si troverebbe a dover fare ancora oggi di fronte ai piani studio dei licei che il Ministro Gelmini ha presentato il 18 dicembre scorso in Consiglio dei Ministri. Nei nuovi piani di studio sono diversi gli aspetti criticabili e molte le discipline ridimensionate, o potenziate, secondo criteri poco chiari.
Ma il caso della storia dell’arte è indubbiamente il più peculiare, anche perché è in assoluto l’unica materia in tutto il sistema dei licei (ma anche dei tecnici), per la quale si preveda una sola ora di insegnamento settimanale in ben tre indirizzi di studio: classico, linguistico, delle scienze umane.
In particolare nel Liceo Classico, scuola umanistica per eccellenza, dove si pensava che andasse a regime il piano di studi delle sezioni sperimentali attivate negli ultimi anni (2 ore in tutto il quinquennio), la storia dell'arte, che è parte essenziale del patrimonio culturale europeo, verrebbe riconsegnata alla tradizionale funzione ancillare prevista dalla Riforma Gentile, che pure ebbe il merito di introdurre per la prima volta questo insegnamento.
All’intento-base di ridurre all’essenziale il numero oggi sterminato di indirizzi si dovrebbe affiancare quello di valorizzare le materie che li caratterizzano; e da questo punto di vista, per fare un esempio, ci si chiede se sia logico prevedere nel classico, in luogo di un potenziamento della storia dell’arte, l’aumento di un’ora di matematica.
La nostra classe politica vanta continuamente il primato quantitativo e qualitativo del nostro patrimonio artistico e il prestigio che per questo l’Italia ha nel mondo, proclamandone il ruolo fondamentale anche per le nostre prospettive economiche. Ma simili scelte in materia di istruzione non sembrano troppo coerenti con tali affermazioni. (A.R.)

mercoledì 17 dicembre 2008

SCUOLA: GRANDI RIFORME E PICCOLI PASSI

Sulla “Stampa” Alberto Bisin, docente di economia nella New York University, esamina i risultati dell’indagine internazionale sullo studio della matematica e delle scienze (TIMSS), i cui dati sono stati resi noti in questi giorni (Il bicchiere mezzo vuoto). E conclude che una vera riforma della scuola consisterebbe “nel lasciare più indipendenza alle scuole, ai presidi, alle famiglie”, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione e la retribuzione dei docenti e la libertà di scelta dei genitori. Certo, scrivendo sui giornali bisogna essere sintetici. In questo tipo di interventi, però, manca in genere qualsiasi accenno alle difficoltà e ai tempi realisticamente prevedibili per la loro attuazione. Si tratterebbe di passare (in un periodo abbastanza breve da evitare che la scuola affondi nell’attesa) da un sistema del tutto impersonale – che non concede una virgola al merito – al libero mercato concorrenziale dei docenti e delle scuole.
Quanto sia realistico tutto questo alla prova della concretezza andrebbe forse esaminato meno superficialmente, a cominciare dal fatto che una vera e propria concorrenza tra scuole è irrealizzabile negli infiniti piccoli centri che possono offrire un solo esemplare per ogni tipo di istituto. Comunque parliamone, come suol dirsi.
Intanto, però, senza dover aspettare le calende greche delle grandi riforme, possiamo immediatamente fare qualche passo importante verso una maggiore serietà della scuola a tutti i livelli. E, quanto ai docenti, ci sarebbe già un efficace modo indiretto di valorizzare e stimolare il merito, come abbiamo detto più volte: quello di mettere i dirigenti in grado di colpire il demerito. Cioè i casi di conclamata inadeguatezza (incapacità cronica o sopravvenuta) o inadempienza (grave scorrettezza etico-professionale). Probabilmente non molti, ma dannosissimi per gli studenti interessati e per l’atmosfera morale complessiva della scuola italiana. Questo nel breve termine. Per il medio periodo, una rigorosa selezione in entrata, anche di tipo attitudinale. Niente di elitario, s’intende. Nessuna aspirazione a una casta di sublimi maestri perfetti. Ma un minimo di idoneità relazionale, oltre all’attrezzatura culturale, didattica e deontologica, vogliamo cominciare a pretenderla? (GR)

lunedì 15 dicembre 2008

ZIG ZAG, STOP AND GO, MARCE INDIETRO; MA LA NEBBIA COMINCIA A DIRADARSI

Luca Ricolfi, forse il più acuto osservatore della politica italiana, nell’editoriale di oggi sulla “Stampa” individua i punti deboli della politica del centro-destra, che anche le vicende dei provvedimenti sulla scuola hanno messo a nudo.
“Tuttoscuola” aiuta a diradare la nebbia sull’entità dei cambiamenti di rotta del ministro con un articolo in due parti (Gelmini/1 e Gelmini/2).
“L’Unità”, invece, con la scrittrice Silvia Ballestra, sostiene che “il maestro unico (o prevalente, questione di lievi e paraculeschi slittamenti semantici) è facoltativo”. Ma tra le scelte alternative sembra proprio che non ci sia più il modulo.
Ancora nebbia fitta, invece, sulle sorti dell’italiano nella scuola media, che, secondi gli annunci delle settimane scorse, doveva essere “potenziato” insieme alla matematica. L’orario minimo obbligatorio sarà di 30 ore, mentre dovrebbero sparire le ore solo in teoria opzionali della riforma Moratti (il famoso 27+6). L’insegnamento di lettere, che attualmente dispone di 9 ore più 2 “opzionali” per classe (in pratica le tradizionali 11), secondo quanto si dice perderebbe 2 ore. Facendo i conti: almeno 2 ore di storia, più 2 di geografia, a cui si aggiungerà dal prossimo anno quella di educazione civica; e fanno 5. Per l’italiano ne resterebbero quindi 4, contro le attuali 7. Anziché essere potenziato, subirebbe quindi una decurtazione del 42,8%...

sabato 13 dicembre 2008

LA BACCHETTA MAGICA DELL’AGGIORNAMENTO OBBLIGATORIO


di Giorgio Ragazzini

L’aggiornamento è un diritto del docente o anche un dovere? Questione più volte dibattuta in questi ultimi anni. Sotto il profilo giuridico si può leggere, dal sito dell’Adi, il documentato parere del professor Carlo Marzuoli, uno dei maggiori studiosi della scuola come servizio pubblico, che conclude: è un diritto, ma indubbiamente anche un dovere.
Con ciò, però, il problema dell'aggiornamento è tutt'altro che chiuso. Abbiamo infatti un obbligo ancora privo di oggetto preciso. E cioè: su che cosa un docente si dovrebbe aggiornare? E chi lo stabilisce?
Mentre il medico è tenuto a tenersi informato sulle novità nella diagnosi e nella terapia, l’avvocato sulle nuove leggi e l’ingegnere sui progressi tecnici nel suo campo, non mi pare che per tutte le materie di insegnamento esista qualcosa di così evidentemente necessario. Il nostro lavoro non è una scienza esatta e comporta conoscenze di tipo disciplinare, ma anche relazionale e metodologico; e su questo non ci sono, né ci possono essere, verità indiscutibili.
C’è invece chi è convinto che l’obbligo di aggiornarsi sia una specie di bacchetta magica per la scuola italiana. Tra le più recenti prese di posizione quella dai toni sdegnati e ultimativi di Omer Bonezzi, presidente di “Proteo Fare Sapere”, l’associazione professionale di area Cgil. A mio avviso sarebbe invece deleteria la riproposizione del tipo di aggiornamento prevalente negli scorsi decenni, che, lungi dal riqualificare la scuola italiana, ha largamente contribuito alla demotivazione e al disamore per il nostro mestiere. A quanti colleghi è accaduto, infatti, che l'ispettore, l'esperto, il docente universitario di turno si sia rivolto ai presenti come a professionisti depositari di qualche competenza? A me personalmente mai. E poiché a nessuno fa piacere di essere trattato come oggetto di rieducazione, per di più da persone spesso con poca o nessuna esperienza concreta di insegnamento, è comprensibile che molti di noi si siano stufati di corsi e convegni in cui veniva rivelato “il verbo” sulla didattica, spesso in modo fumoso e astratto.
Non posso fare a meno di citare il tentativo in grande stile di far attecchire la programmazione per obbiettivi (nata negli USA in contesto non scolastico), la quale per un po' è sembrata affascinare, con la sua apparente logica scientifica, un certo numero di colleghi, ma che all'atto pratico si è rivelata arida e impraticabile (centinaia di obbiettivi e sotto-obbiettivi, smania di registrare e valutare oggettivamente ogni respiro del discente...).
D’altra parte un periodo di aggiornamento obbligatorio è esistito, quello legato agli “scaloni” (cento ore di aggiornamento in sei anni), risoltosi in gran parte in una fiera di corsi e corsetti per la maggior parte inutili. Bonezzi questo periodo lo giudica tutto sommato positivamente:
"Il sistema aveva dei limiti: i collegi docenti [...] approvavano tutto, compreso corsi di ballo, scacchi ed equitazione. Con i limiti detti e i brontolamenti degli insegnanti libero professionisti fu una stagione notevole: in 5 anni un milione d'insegnanti ha in ogni modo fatto formazione per 100 milioni d'ore."
Traduzione: il livello dei nostri insegnanti è talmente basso che anche un corso pur che sia è meglio di niente. Questa sarebbe la qualità della "leva strategica fondamentale" per il rinnovamento della scuola...
E allora? Ho sempre pensato – e l’esperienza me ne ha dato ampia conferma – che per trasformare gli insegnanti in professionisti a tutti gli effetti è necessario prima di tutto trattarli come tali, invece che come scolaretti da correggere. Bisogna quindi farla finita col dominio sulla scuola italiana di quella casta dei pedagogisti paraministeriali che ha cercato di imporre dall’alto i suoi dogmI. Il cardine della formazione continua deve essere il metodo seminariale, tipico del mondo della scienza e della cultura alta, in cui ci si scambiano liberamente idee, esperienze, proposte, meglio se svincolate da obbiettivi contingenti. Questo metodo, che ha tra l'altro il vantaggio di non costare nulla o pochissimo, si fonda principalmente non sull'asimmetria tra "esperto" e aggiornandi, ma sulla convinzione che tutti hanno qualcosa da dare (successi da condividere, errori su cui riflettere, problemi da porre ai colleghi), partendo dal proprio patrimonio professionale. Così si valorizzano e rimotivano fortemente i partecipanti, che si sentono “comunità professionale”, anche per il fatto di stabilire loro, e non altri, su cosa aggiornarsi. L’aggiornamento degli “esperti”, invece, presenta spesso in forma compatta e priva di incertezze un ideale molto elevato, che deprime invece di sollecitare le energie (anche perché spesso accompagnato dalla sollecitazione ad accedere a un “nuovo” modo di insegnare).
Ovviamente anche il metodo seminariale ha le sue esigenze, tra cui la preparazione e il coordinamento del lavoro. Ma la strada è questa. Eventualmente saranno poi gli stessi docenti a sentire il bisogno di integrare liberamente il loro lavoro con il contributo di pesone competenti su questo o quel punto.
Quanto all’obbligo (che non è in sé un buon motivatore), è inevitabile che il principio venga affermato. La principale spinta ad aggiornarsi deve essere però non il “dovere”, ma l’esigenza di migliorare l’efficacia della propria azione didattica sotto tutti i profili: disciplinare, metodologico e relazionale. Eviterei quindi di stabilire per legge più di un minimo di ore annuali obbligatorie. Meglio un’adesione libera e motivata che una presenza passiva e poco interessata. Per questo ogni scuola o rete di scuole dovrà progettare l'aggiornamento in modo tale da offrire sempre più di una proposta. In altre parole dobbiamo scegliere tra docente-esecutore e docente-professionista, cioè tra una visione autoritaria dell'aggiornamento come adesione a dogmi didattici stabiliti dall'alto e una visione liberale, imperniata sul binomio libertà e responsabilità.
Teniamo poi conto che le norme che in questo periodo sono all'attenzione del parlamento valgono soprattutto per il futuro, in cui ci auguriamo una approfondita preparazione iniziale degli aspiranti docenti. Il che dovrebbe far cessare i ricorrenti e irrealistici progetti di riqualificazione ab imis dell'intero corpo docente.

POLITICA E CHIAREZZA FANNO SEMPRE PIÙ A PUGNI: ESISTE ANCORA IL DIRITTO A ESSERE INFORMATI?

Ma la Gelmini è tornata sui suoi passi o invece non è cambiato nulla? Si sceglie fra maestro unico/prevalente e modulo oppure fra maestro unico e maestro prevalente? I tagli e i risparmi preventivati ci saranno o no? Quanti hanno scioperato ieri? Quanti sono scesi in piazza? Sulla riforma delle scuole superiori ci sarà una consultazione o solo un’ampia informazione su quanto sarà stato già deciso? (1)
I cittadini italiani – e non solo sui problemi della scuola – sembrano aver perso il diritto a un’informazione facilmente comprensibile sulle decisioni politiche e neppure sui dati numerici si trova facilmente un punto di incontro (ricordate gli scontri sull’esistenza dei “tesoretti”, sui buchi di bilancio, sul vero costo della vita e via dicendo)? La pratica poi di gonfiare in modo ridicolo le cifre di scioperi e di manifestazioni ha fatto perdere ormai ogni credibilità ai commenti del giorno dopo (“flop” e “successo” si alternano anche oggi sui quotidiani senza possibilità di cavarci le gambe).
Fin dall’inizio la tormentata vicenda del maestro unico è stata segnata dall’ambiguità (tra gli altri più volte rilevata da“Tuttoscuola”). Si parlava, è vero, di tener conto delle scelte delle famiglie, ma anche che andava “privilegiata l’attivazione di classi affidate a un unico docente funzionanti con orario di 24 ore settimanali”. Neppure le numerose interviste rilasciate oggi dal Ministro Gelmini riescono a fare del tutto chiarezza. A occhio sembra meno contraddittoria quella pubblicata dal “Giornale”. La integriamo con la cronaca che “Il Sole 24 Ore” dedica all’accordo Governo-Sindacati (preparato dal lavoro in Commissione Cultura di Valentina Aprea). Buona lettura...

(1) Intanto sono in circolazione la nuova bozza di Regolamento per il riordino dei licei e quella per il riordino degli Istituti tecnici (i professionali sono fermi alla prima versione).

martedì 2 dicembre 2008

COM'ERA PREVEDIBILE, ENTRA IN CRISI IL METODO BRUNETTA DI SORVEGLIARE E PUNIRE TUTTI

Il 30 luglio avevamo valutato negativamente i provvedimenti del ministro della funzione pubblica per contrastare l'assenteismo (Però, caro Brunetta, così non si premia il merito...). Siamo solo ai primi di dicembre e già viene al pettine, com'era prevedibile in base all'esperienza passata, il nodo dell'eccessiva spesa di controlli generalizzati. Le visite fiscali se le devono pagare le scuole, i cui fondi sono già al lumicino. I giornali cominciano a segnalare il crescere dell'opposizione a un metodo che, accanto al versante finanziario, colpisce indifferentemente con le trattenute previste tanto i furbi che le persone serie. Leggi.
A proposito di merito, su "Europa" Paolo Francini ragiona su come ripristinare almeno in parte il legame da tempo appannato tra successo negli studi e prospettive di occupazione e di benessere economico.

lunedì 24 novembre 2008

PICCOLA GUIDA AL BLOG

In questo blog vengono pubblicati commenti, articoli, segnalazioni che hanno a che fare con la “ragione sociale” del nostro gruppo: cioè l’obiettivo di una scuola seria e rigorosa, la sola che può garantire a tutti i “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, gli strumenti culturali necessari per raggiungere le mete a cui aspirano.
Sulla colonna principale si trova quanto è stato pubblicato a partire dal 20 marzo 2008, quando il blog fu inaugurato con un appello da noi promosso e sottoscritto da sedici noti studiosi e commentatori, dal titolo: "Scuola, un partito trasversale del merito e della responsabilità".
Nella colonna di fianco, sulla destra, si trovano:
▪ un breve profilo del Gruppo di Firenze (CHI SIAMO);
▪ l’ARCHIVIO DEL BLOG, cioè l’elenco dei titoli (in ordine cronologico inverso) di tutto quello che è stato pubblicato, a cominciare dall’appello di cui sopra;
▪ il collegamento con alcuni nostri articoli e interventi meno recenti (GDF DOCUMENTI E ARTICOLI 2005-2007)
▪ il nostro indirizzo e-mail;
▪ i collegamenti ad altri siti.
In calce a ogni “post”, cioè a quanto viene pubblicato in un certo giorno, ogni lettore può - cliccando su "commenti" - lasciare un commento o leggere quelli di altri lettori.
In alto a sinistra c’è un motore di ricerca con cui si possono trovare nel blog testi su argomenti che interessano.

UN ESEMPIO DI CONCRETEZZA RIFORMISTA SEGNALATO DA MARIO PIRANI

Il Presidente della Regione Sardegna Soru ha stanziato diverse decine di milioni di euro per finanziare iniziative - mirate - di sostegno all'istruzione elementare e universitaria. Leggi.

sabato 22 novembre 2008

CLASSI PONTE: BUON SENSO E PREGIUDIZIO IN DUE LETTERE AL "CORRIERE"

Il "Corriere della Sera" pubblica un'esemplare accoppiata di lettere sulla proposta delle classi-ponte o di inserimento (banali corsi di lingua italiana): quella di un lettore italiano, da cui traspare un'evidente disinformazione, che però non ha impedito al mittente di parlare di "rischio apartheid"; e quella di una donna romena, che assicura: "siamo tutti d'accordo che si tratta di una cosa molto giusta".

venerdì 21 novembre 2008

SULLE "CLASSI PONTE" L'UNITA' SENTE UN ALTRO "ESPERTO" SCANDALIZZATO

Con le dichiarazioni di Berlusconi in appoggio alle "classi ponte", che erano poi state ribattezzate "di inserimento" - e che in realtà non sarebbero altro che corsi di italiano per facilitare l'integrazione nelle classi vere e proprie (vedi nel blog le note del 15 e del 17 ottobre), tornano i toni forti. Sull' "Unità" viene intervistato il glottologo Giuliano Bernini che "boccia senza appello" la proposta. Vale la pena di soffermarsi sulle argomentazioni.
Nella premessa della mozione si parla di "discriminazione transitoria positiva": "un'affermazione estremamente grave", commenta Bernini. Il quale evidentemente non sa che l'espressione "discriminazione positiva" fa addirittura parte della fraseologia politicamente corretta e indica quei provvedimenti, come le "quote rosa", volti a favorire gruppi e categorie sociali che in passato abbiano subito discriminazioni.
Il glottologo rileva poi, sempre nella premessa della mozione leghista, una notevole confusione tra soggetti diversi, tra i quali alcuni "non è affatto detto che non sappiano l'italiano", come i figli degli immigrati nati in Italia. Nel dispositivo della mozione, però, c'è scritto con chiarezza che i corsi saranno riservati a chi l'italiano non lo sa e che questo verrà accertato tramite dei test iniziali.
Per i bambini piccoli, aggiunge Bernini, quelli che arrivano non avendo ancora finito di apprendere la loro prima lingua, è l'italiano a diventarlo e di solito lo apprendono con facilità, mentre "diversa e più complessa" è la situazione quando arrivano da noi già adolescenti; un problema però "già affrontato da molti uffici scolastici provinciali e regionali con corsi di aggiornamento specifico per gli insegnanti di qualsiasi disciplina". Con quali risultati non viene specificato.
Infine il professore afferma addirittura - se non è stato travisato - che nel programma delle classi di inserimento "scompare l'insegnamento dell'italiano per far posto a temi propri dell'educazione civica, che è oggetto dell'apprendimento di tutti i ragazzi in età scolare".
Nulla viene detto sul fatto che corsi preparatori di alcuni mesi, massimo un anno, sono stati adottati in molti paesi europei; e che a favore di questa soluzione si sono schierati molti che nulla hanno a che fare con la Lega. Né l'intervistatore glielo ricorda.
Colpisce quindi la scarsa consistenza e la lacunosità delle argomentazioni in rapporto alla durezza dei toni ("parlano a vanvera", "questi pregiudizi segnano i bambini"...). Quanto al PD, che dovrebbe essere il referente politico del quotidiano diretto da Concita De Gregorio, pensiamo che farebbe meglio a lasciare da parte gli anatemi e a smettere di autoescludersi dalla possibilità di incidere politicamente, contribuendo invece attivamente alla migliore attuazione possibile della mozione leghista. Si tratta di individuare con chiarezza i destinatari del provvedimento e i criteri per selezionarli in modo corretto, stabilire i limiti di durata dei corsi e le risorse necessarie. E vigilare che non si verifichino "discriminazioni negative".
In qualcosa, quindi, possiamo dichiararci d'accordo con il professor Bernini: "Occorre una conoscenza oggettiva della realtà, per circoscrivere il problema, descriverlo e trovare le soluzioni più pertinenti".

martedì 18 novembre 2008

MAESTRO "UNICO": TANTO RUMORE PER POCO?

Così sembra, almeno a leggere l'articolo di Alessandra Ricciardi, l'esperta di scuola di "ItaliaOggi". In sede di regolamento attuativo il provvedimento potrebbe infatti essere ridimensionato, tanto che la giornalista scrive tra l'altro: "Il maestro unico ci sarà, ma dovrà essere residuale". Addirittura. In sostanza la cosa si farebbe soltanto a richiesta dei genitori; ma se le cose stanno così, i "tagli" che hanno gonfiato l'Onda potrebbero anche andare a ramengo. Si attendono chiarimenti, oltre che la reazione di Tremonti ai (ventilati) pareri che le Commissioni istruzione di Camera e Senato dovrebbero dare in proposito. Bilancio dello Stato a parte, lo scioglimento dello psicodramma andrebbe incontro ai fautori della libertà di scelta - almeno nella scuola - da parte delle famiglie.

lunedì 17 novembre 2008

EDUCARE ALLA LEGALITÀ FACENDO RISPETTARE LEGGI GIUSTE

Diciotto indagati per blocco stradale e "corteo selvaggio" a Milano, scrive "La Repubblica". Finalmente, dirà qualcuno. Ma purtroppo l'articolo si conclude così: “In realtà rischiano poco. Il blocco stradale è stato depenalizzato, mentre per il corteo non autorizzato, che si rifà a una legge del 1944, è prevista solo una sanzione fino a 500 euro.”
Il lassismo che permea alcune leggi, e influenza l’applicazione di quasi tutte, costituisce una vera e propria istigazione dei giovani a violare i diritti altrui. Tutte le forme illegali di protesta sono di fatto legalizzate. Bloccare aeroporti, stazioni, strade, paralizzare una città con una manifestazione, scioperare al di fuori delle norme non porta quasi mai a qualche seria conseguenza. Questa disfatta della legge che quasi ogni giorno si ripete davanti agli occhi delle nuove generazioni costituisce una micidiale “diseducazione civica”; e c’è da scommettere che tra i promotori dei mille progetti di “educazione alla legalità” che in questi anni hanno dilagato nelle scuole di ogni ordine e grado ce ne sono parecchi che più o meno giustificano queste azioni e magari sono pronti a battersi contro la “repressione”. Ma nella formazione di un ragazzo sarebbe fondamentale veder sanzionare iniziative che feriscono gravemente la convivenza civile. E si potrebbero creare ogni giorno molte situazioni altamente educative solo facendo rispettare le leggi. Senza bisogno di docenti laureati e abilitati. Basterebbe un controllore che sull’autobus multa chi viaggia a sbafo; o un vigile che coglie in flagrante chi sporca la città; un comune che persegue con efficacia quei “writers” che alcuni sedicenti artisti difendono in nome della libertà d’espressione. Se poi ogni tanto qualcuno che non fa il suo dovere sul posto di lavoro venisse trattato con fermezza, non solo si renderebbe giustizia ai suoi colleghi seri, ma il mondo degli adulti apparirebbe ai giovani più degno di stima e di fiducia.

venerdì 14 novembre 2008

DOCENTI E MERITO: DUE PROPOSTE DI SARTORI

Con la chiarezza e l'essenzialità che gli sono proprie, il professor Sartori sintetizza le sue valutazioni sul lavoro della ministra Gelmini e propone due mosse per l'università.
Leggi.

giovedì 13 novembre 2008

TRE INCONTRI SULLA CRISI DELL'EDUCAZIONE

L'Istituto Superiore di Figline Valdarno (Firenze) ha organizzato un cliclo di tre incontri di grande interesse (per gli argomenti e per il livello dei relatori) rivolto ai genitori e agli insegnanti e intitolato Scuola e famiglia di fronte alla crisi dell'educazione, un tema decisivo per il futuro della nostra società e di quelle occidentali in generale.

Ecco il programma:

mercoledì 19 novembre 2008 - ore 15.30:

IL BULLISMO - Professor Michele ZAPPELLA, neuropsichiatra e docente universitario.

giovedì 4 dicembre 2008 - ore 21:

DIPENDENZE E DROGHE - Dottor Luca TEODORI, psichiatra e psicoterapeuta; Capitano Giovanni MENNELLA, comandante dei Carabinieri di
Figline Valdarno.

mercoledì 10 dicembre - ore 15:

LE DIFFERENZE DELLO STILE EDUCATIVO DEL PADRE E DELLA MADRE - Dottor Osvaldo POLI, psicologo e psicoterapeuta.

lunedì 10 novembre 2008

SARTORI: LE MALATTIE DELLA SCUOLA. PIRANI: PROTESTE E VERITÀ

Due firmatari dell'appello per il merito e la responsabilità nella scuola - dai noi promosso a primavera - fanno il punto della situazione sui problemi e i provvedimenti di cui si è discusso in questi ultimi tempi: Giovanni Sartori sul "Corriere della Sera", Mario Pirani su "La Repubblica".

venerdì 7 novembre 2008

DE BENEDETTI E RAMPINI: ABBIAMO BISOGNO DI UNA SCUOLA PIÙ SEVERA

Centomila punture di spillo, di Carlo De Benedetti e Federico Rampini, parla di come l'Italia "può tornare a correre". Una delle più preziose indicazioni che possiamo trarre - dicono gli autori - dallo straordinario sviluppo dei paesi asiatici (diversi dei quali sono ai vertici delle classifiche OCSE-Pisa) è che c'è uno stretto legame tra la serietà e il rigore della scuola e il progresso di queste società. Riusciremo a metterci in testa che una scuola di alto livello - di cui tutti sottolineano la necessità - non può che essere molto esigente?
Per garantire ai giovani un futuro migliore i papà e le mamme cinesi e indiani sono pronti a tutto. A tutto, meno che a screditare i professori. L'indulgenza scolastica non è di casa da queste parti, la meritocrazia è un principio indiscusso. La selezione negli studi è spietata e nessuno la mette in discussione, men che meno le famiglie. I genitori sono esigenti sul rendimento scolastico dei ragazzi, e il professore è una figura rispettata, severa, quasi sacrale. Chi ha messo piede in un'aula di scuola media, di liceo o di università in Asia sa che in quei luoghi regnano la disciplina, il rigore, il rispetto dell'autorità, la venerazione del sapere. Non perché gli insegnanti cinesi e indiani siano tutti premi Nobel, ma perché tutti sono d'accordo che il sistema funziona solo rispettando quelle regole. Se i genitori di Pechino o di New Delhi cominciassero a dare ragione ai figli contro i docenti, a invocare promozioni facili per tutti, il progresso economico, scientifico e tecnologico dell'Asia si fermerebbe molto presto. Nel tacito accordo che unisce genitori e insegnanti, in quella vasta area di tre miliardi di persone in corsa verso il benessere, c'è una lezione preziosa per noi.

(p. 271)

martedì 4 novembre 2008

LA "PEDAGOGIA DELL’INESISTENZA" : riflessioni sul ruolo dei docenti nei giorni delle occupazioni

di Andrea Perruccio

Quella che segue è la lettera che un insegnante di un Liceo fiorentino ha scritto ad alcuni suoi colleghi, a cui contesta una scarsa consapevolezza del loro ruolo di educatori e un’ambigua solidarietà con gli studenti.

Cari Colleghi,

di fronte alla richiesta di “collaborazione” e di “comprensione” che una parte degli studenti ha rivolto ai docenti del Liceo «Machiavelli», trovo fuorviante porre la discussione sul piano di un eccesso da evitare: “il protrarsi” dell’occupazione sarebbe per voi da scongiurare per le conseguenze che questa prova di forza comporterebbe, in termini di “disagio” fra studenti e di rischio di pregiudizio per il “diritto allo studio”. Chiedete per questo agli altri insegnanti un assenso alla proposta e alla condivisione di forme alternative “più proficue di mobilitazione”, da concordare con gli alunni in cambio dell’interruzione della protesta. Mi sembra che questa impostazione, centrata sull’assioma per cui i contenuti condivisi di un’occupazione la legittimerebbero ipso facto, sia capziosa, compiacente e incongrua.
E’ indubitabile che la natura e i modi dell’espressione delle proprie idee appartengano a una libera scelta di coscienza: ma gli adolescenti dovrebbero essere guidati, proprio nell’acquisizione e nell’affinamento degli strumenti di apertura al mondo e di partecipazione politica, da adulti che abbiano maturato una nitida, magari sofferta, percezione del confine fra ruolo professionale e pratica diretta di manifestazione del dissenso politico. Ora, in virtù di quale paradossale travisamento del proprio ruolo parecchi insegnanti hanno tollerato, se non condiviso, un comportamento illegale come l’occupazione? Quale bene comune viene promosso da una scuola che, dichiarandosi solidale “coi motivi della protesta”, minimizza la gravità di quel comportamento, lo rimuove tendenziosamente dal proprio orizzonte educativo e si limita a rimproverarne sommessamente “il protrarsi”?
A me non sembra coerente con la ragionevolezza di un’etica professionale, approvare un’azione illecita, compiuta da parte di minori durante il loro processo formativo, e nell’istituzione formativa per antonomasia… Sappiamo tutti quanto sia difficile per insegnanti adulti prendere le distanze dalla propria, soggettiva, interiore adolescenza: ma parecchi colleghi ne stanno abusando … Ma è un altro, e per me ben più significativo, il messaggio che sembra provenire dagli studenti, quando chiedono di aiutarli a trovare “altri” metodi, in caso di nostra non condivisione dell’occupazione. Ci chiedono di non abbandonarli: è un messaggio di solitudine.
Quelli di noi che sono anche genitori sanno bene come sia difficile educare l’adolescente a coesistere con la solitudine, ad accettare la propria interiorità, a dar voce alle angosce in modo da fortificarsi nella scoperta della propria fragilità. Ma una parte di noi percepisce soprattutto quanto sia deleteria ogni corriva semplificazione della complessità. In ambito educativo questo si traduce, per me, nel trascurare un valore che si colloca ben al di sopra sia del docente che del discente: la ricerca della verità di un sapere o di una competenza scolastica. E con questa rimozione viene attribuita a studenti, per di più addirittura mediante forme illegali, la finzione di un ruolo attivo e precoce nella partecipazione politica, ovvero la garanzia di visibilità (atroce termine in voga). Se questa non è manipolazione …
Che dire della solitudine oggettiva di un cittadino-consumatore? Fin dal progetto (quello sì!) coerente ed organico di smantellare quanto restava della scuola superiore italiana, coltivato dall’ineffabile accoppiata Berlinguer-Maragliano, i cascami del modello di scuola americana di massa hanno avviato qui da noi a forme di ‘consumismo’ di bassa lega il cliente-studente, fornendogli prodotti massificati e dequalificati, ma gradevoli e rassicuranti. Cosa c’è di più gradevole e rassicurante di un’occupazione avallata con tale leggerezza? Per non parlare di quei genitori che in non poche scuole italiane hanno “occupato” insieme ai loro figli, fulgido esempio di bislacca perversione parentale.
I nostri ragazzi risultano dunque appiattiti nella gretta dimensione del presente e dell’immediato, in sterile e distruttiva attesa di un futuro che si prospetta loro senza speranza d’investimento positivo. Spetterebbe invece a noi insegnanti fondare il nostro fine formativo proprio sulla continuità, sulla concentrazione, sulla tensione costruttiva delle abilità e dei saperi. Solo una scuola pacatamente separata, rispetto al mondo esterno (non certo asettica né impermeabile), è in grado di valorizzare quei percorsi di pazienza laboriosa che davvero scongiurino, nell’adolescente, tentazioni di efficientismo immediato, o, all’opposto, di evasione ludica e auto-annientamento consumistico. E’ stato detto efficacemente (se non sbaglio fin da Pasolini!) che una generazione da mordi e fuggi, abituata ad essere esaudita prima ancora d’aver dato nome all’oggetto desiderato, è una generazione non di cittadini, ma di spostati, di sudditi.
Accarezzando così le velleità studentesche di un illusorio protagonismo, ben lontana dall’esigere metodo e rigore, cedendo invece alla lusinga del dare e dire tutto e subito, la scuola abdica di fatto a se stessa, consegnandosi ad una mostruosa ideologia ‘democraticistica’, che, indebolendo strutture e ritmi formativi, finisce con l’attuare un classismo più feroce di quello censitario di un tempo: la scuola viene di fatto meno ad una reale funzione pubblica, la sola che consenta a ragazzi di famiglie deboli di superare limiti di partenza.
Per tutti questi motivi alcuni di noi, pur con difficoltà, stanno sperimentando un dialogo di tipo nuovo con le proprie classi. Cerchiamo di ricucire lo strappo tra chi occupa e chi è contrario; di incanalare in forme varie (cartaceo, rete, dibattiti) ragioni di legittimo dissenso, documentate ed argomentate, che corroborino la stessa protesta anti-governativa; di convincere i nostri studenti che devono poter comprendere (anche senza condividerle) le motivazioni della nostra richiesta di ‘indennizzo’ delle ore irresponsabilmente (non per colpa loro) perdute.
Mi sentirei di poter applicare a questa occupazione studentesca alcune recenti acquisizioni di Roberta De Monticelli proprio in tema di etica ed educazione. Tutte le volte che ci asteniamo, per comodità o per calcolo, dal pronunciare i “no che aiutano a crescere”, neghiamo di fatto una responsabilità individuale: al soggetto togliamo la libertà di rispondere della propria vita. Negando la responsabilità di un atto illegale, veniamo a mancare di rispetto, come insegnanti, proprio nei confronti di quegli “occupanti” che a loro modo affermano esistenza e libertà. La sanzione, anche la più blanda, ma comunque certa e concreta, implica che chi trasgredisce esiste ed è libero, perché ciò che fa ha conseguenze. Docenti che si riconoscano nel “sono con te, lotta per noi” (o che surrettiziamente lo facciano dire e mettere in pratica agli studenti, avallando un’occupazione illegale) inducono una conseguenza mortificante: “la tua azione non ha conseguenze, non sei neppure libero di trasgredire”. Alle tentazioni di questa pedagogia dell’inesistenza, che cancella la libertà del ragazzo in quanto irresponsabile, dovremmo sottrarci con maggior vigore.

Firenze, 28 ottobre 2008

domenica 2 novembre 2008

UNA LETTERA A GIAN ANTONIO STELLA (CON RISPOSTA) SU BERLINGUER ALFIERE DEL MERITO

La domanda è: il concorso “per lo sviluppo della professione docente” voluto da Luigi Berlinguer nel 1999 era davvero un tentativo di valorizzare il merito tra i docenti e di introdurre nella scuola italiana una seria forma di valutazione degli stessi?
Con una lettera a Liberal avevamo contestato questa tesi, in risposta ad una intervista
di Panebianco (vedi post dell’ 11 ottobre).
Sull’argomento è tornato Gian Antonio Stella con un articolo (“La caccia bipartisan ai consensi facili”) in cui sostiene che quello berlingueriano è stato l’ultimo tentativo di estirpare la cancrena egualitarista che blocca la scuola italiana e che per questo il ministro “fu fatto a pezzi”.
Qui di seguito la lettera che gli abbiamo scritto e la sua risposta, molto cortese ma sostanzialmente irremovibile nella convinzione che anche la nostra argomentata critica alle modalità e ai criteri di quella selezione nasconda in realtà il rifiuto pregiudiziale di qualsiasi valutazione degli insegnanti.


Gentilissimo dott. Stella,

nelle ultime settimane tre autorevolissimi commentatori, il prof. Panebianco in un intervista su Liberal, poi Lei sul Corriere della Sera di martedì, infine il prof. Sabbatucci sul Messaggero di oggi, hanno scritto dell’ex ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer come dell’unico che abbia provato, pagandone poi il prezzo, a introdurre nella scuola una logica di valorizzazione del merito.
Premetto di concordare sul fatto che le logiche (pseudo)egualitarie hanno fatto alla scuola danni enormi, tanto che faccio parte di un gruppo che ha scritto nella sua ragione sociale “per la scuola del merito e della responsabilità”. Ma quella di Berlinguer Santo protettore e martire della meritocrazia è una fama del tutto immeritata: sono tuttora convinto che la sua proposta non fosse in realtà una cosa seria. Come Lei ricorda quella proposta offriva ad una quota predeterminata di docenti “bravi” (il 20%) la possibilità di un incremento stipendiale, continuando a fare lo stesso identico mestiere di prima. A prescindere dal fatto che valutare chi è più bravo a insegnare è comunque una questione assai problematica e delicata, anche Lei concede – ma come se si trattasse di dettagli marginali – che la procedura e i criteri erano quanto meno discutibili. Infatti Riccardo Chiaberge sul Corriere la definì “un’avvilente lotteria”, dove assenteisti e fannulloni potevano fare Bingo e insegnanti preparati e rigorosi rimanere esclusi, essendo fra l’altro basata su una aleatoria prova a quiz e non essendo prevista alcuna valutazione della serietà e della correttezza professionale dei docenti.
Esclusa la Gilda, quel contratto fu sottoscritto da tutti i sindacati, incluso lo Snals: le “nettissime” dichiarazioni che Lei riporta furono un maldestro e tardivo tentativo di recuperare credito quando la protesta ormai dilagava.
Come oggi anche allora ero convinto che per valorizzare il merito bisognasse prima di tutto iniziare a colpire il demerito, che nella scuola era nel complesso circoscritto, ma che la classe politica non aveva alcuna intenzione di sanzionare e tutti i sindacati erano determinati a coprire. Nel nostro paese la prima vera valorizzazione dei meritevoli, almeno sul piano teorico, la si deve alla denuncia dei fannulloni di Pietro Ichino, che infatti con le sue prese di posizione si è “meritato” la scorta.
Con cordialità e stima,

Andrea Ragazzini
Gruppo di Firenze


Caro professore,
sul dovere come primo passo di colpire il demerito sono d’accordo, sul resto non del tutto. Sempre lì torniamo, all’obiezione di troppi sindacati e troppi insegnanti: chi mi giudica? Come può giudicarmi? In base a quali criteri?
In tutto il mondo, tranne le dittature dove giocano altri fattori, la risposta c’è già: ti giudica chi ti paga lo stipendio. E in quanto tale ha il diritto di farlo. Fine. Come il professore ha diritto a dare 4 o 8 in pagella perché fa il professore, così chi paga lo stipendio ha il diritto di giudicare chi lo riceve. Vale per i professori (sono figlio di insegnanti per parte di padre e di madre), per i giornalisti, gli idraulici, i metalmeccanici…
Certo, detta così è una posizione brutale. Ma il senso non può essere che questo, sennò non ne usciamo. Poi ti potrai battere per cambiare questo o quel criterio ma il fatto è che troppe volte da noi tutto ruota intorno alla vecchia canzone di Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare. E questo è inaccettabile.

Gian Antonio Stella

venerdì 31 ottobre 2008

L'EX ANTIPSICHIATRA GIOVANNI JERVIS: NELLA SCUOLA HA VINTO IL "DISARMO ETICO"

Parlando di legge 180 nel suo nuovo libro firmato insieme a Gilberto Corbellini), Jervis spiega la crisi della scuola e va giù duro.
Dai giornali di ieri vale senz'altro la pena di recuperare l'argomentata analisi di Luca Ricolfi, intitolata I due patti scellerati: quello tra scuola e famiglia e quello tra studenti universitari e professori.

lunedì 27 ottobre 2008

IL GIORNALE FA LE PULCI AGLI EX NOSTALGICI DEL MAESTRO UNICO - INSEGNARE EDUCANDO SECONDO ALESSANDRA GRAZIOTTIN - LE "CLASSI DI INSERIMENTO" IN EUROPA

Michele Brambilla
sul "Giornale" prende in castagna Sofri e soprattutto Lodoli, citando i loro elogi del maestro unico di poco precedenti al decreto Gelmini.
Alessandra Graziottin, ginecologa e psicoterapeuta, si schiera decisamente per le nuove norme sul comportamento, ma anche sulla memorizzazione come una delle basi della crescita culturale.
"Tuttoscuola" offre ai suoi lettori un panorama sulle "classi di inserimento" in Europa.

domenica 26 ottobre 2008

LETTERA A BALLARÒ: C'ERANO UNA VOLTA GLI APPELLI TRASVERSALI...

In vista della prossima trasmissione di Ballarò, abbiamo inviato questa lettera al curatore Giovanni Floris:

Caro dottor Floris,
durante la campagna elettorale il piccolo gruppo di cui faccio parte promosse l'appello Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità, firmato da sedici noti commentatori e studiosi che negli ultimi anni si erano in vario modo pronunciati per una scuola più esigente e rigorosa. In ordine di adesione: Pirani, Belardelli, Ferroni, Galli Della Loggia, Israel, Russo, Givone, Veca, Vassalli, De Rienzo, Schiavone, Beccaria, Sartori, Bodei, Craveri, Allulli. Fu presentato a Roma al Liceo Visconti ed ebbe una buona eco sulla stampa. E il Ministro Gelmini, nella sua prima audizione alla Camera, addirittura lo lesse di fronte ai deputati e dichiarò di farlo proprio.
Ma ce ne furono anche altri; e tutti, con diversi accenti e orientamenti, auspicavano che sui problemi della scuola ci fosse confronto costruttivo sui contenuti e non uno scontro ideologico e viscerale. Sembrò che questa esigenza avesse conquistato un larghissimo consenso.

Oggi il livello del dibattito non potrebbe essere più lontano da quegli auspici: approssimazioni, errori, forzature da parte del governo; dall'altra semplificazioni demagogiche e incapacità di proporre alcunché di alternativo, con l'aggravante del silenzio sulla meritoria svolta del ministro Fioroni in direzione della scuola seria, che noi abbiamo sostenuto con convinzione (esami di maturità e di riparazione, revisione in senso rigorista dello statuto degli studenti, procedure più celeri per sanzionare gli insegnanti che hanno commesso reati), anche come manifestazione di un orientamento in senso realmente riformatore della sinistra che a noi pareva essenziale per la scuola italiana.

Ci auguriamo che questo punto di vista possa trovare spazio nella sua prossima trasmissione, andando al di là di questo dibattito così drogato dalle contrapposizioni ideologiche, che è diventato non solo dannoso e diseducativo, ma anche francamente insopportabile.

Cordialmente, Giorgio Ragazzini, docente di scuola media,
Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

* * * * * * *

"Un marziano che, giungendo in Italia, provasse a capire che cosa sta accadendo al nostro sistema universitario farebbe fatica a trovare risposte ragionevoli ad alcune semplici domande."
Così inizia l'articolo di Andrea Ichino sul Sole 24 Ore di ieri, molto utile anche ai terrestri per capire la logica dei famigerati tagli alla spesa universitaria, una logica incongrua e iniqua in quanto tratta allo stesso modo gli atenei ben gestiti e quelli portati allo sfascio da amministrazioni scriteriate e/o clientelari. Quanto a incongruenze però, secondo Ichino, la sinistra e il "movimento"non sono da meno e manca del tutto una qualsiasi proposta alternativa da parte del Ministro ombra Maria Pia Garavaglia.

mercoledì 22 ottobre 2008

ALDO GRASSO E IL GDB (GENITORE DEMOCRATICAMENTE BENESTANTE). CLAUDIA MANCINA: CON I "NO" IL RIFORMISMO PERDE

Non siamo proprio soli nel nostro giudizio sul modo con cui Gad Lerner, lunedì sera come un anno e mezzo fa, organizza le sue serate benpensanti sugli immigrati a scuola. Il critico televisivo Aldo Grasso lo sfotte da par suo sul "Corriere.it".
Tra le voci che si sforzano di valutare con equilibrio il conflitto in atto sulla scuola c'è sicuramente Claudia Mancina dalle colonne del "Riformista".
Un riepilogo efficace degli argomenti con cui si è perseguita l'impotenza educativa della scuola dagli anni settanta a oggi (o ieri) lo firma sulla "Sicilia" il pedagogista Tonino Calà. Efficace e utile perché privo di ipocrite sovrastrutture del tipo "la condotta va bene, però...". Per Calà l'orologio si è fermato alla critica antiborghese di trent'anni fa. La quale, se era discutibile allora, figuriamoci oggi: non esistono infatti la maleducazione, la presunzione, l'arroganza, la mancanza di autocontrollo; no, il voto di condotta maschera la "finalità di creare un omologato consenso nei confronti del 'potere' " (chissà perché tra virgolette: un barlume di resipiscenza?).
Infine, un altro dialogo tra una studentessa e un insegnante sui provvedimenti del ministro ce lo propone il professor Gennaro Lubrano Di Diego.

lunedì 20 ottobre 2008

SCUOLA E IMMIGRATI: UN ARTICOLO DATATO, MA NON TROPPO

A proposito delle violente polemiche sollevate dalla mozione leghista sui corsi di italiano per i bambini stranieri, pubblichiamo un nostro articolo di un anno e mezzo fa su una puntata dell'Infedele di Gad Lerner che proponeva il parallelo tra i ragazzi di Barbiana e i figli degli immigrati e in cui si manifestarono in maniera esemplare tutti i tratti caratteristici dell' atteggiamento "politicamente corretto" di chi è affetto dal "complesso dei migliori".

DON MILANI E “L’INFEDELE”

di Valerio Vagnoli e Andrea Ragazzini

Chi ha seguito “L’Infedele” del 7 marzo dedicato a Don Milani ha avuto modo di assistere ad una esemplare messa in scena di quella “cultura” cattocomunista che dalla fine degli anni Sessanta, anche in nome del Priore di Barbiana, ha egemonizzato la scuola italiana e ancora oggi le inocula i suoi virus. A 40 anni di distanza la “Lettera a una professoressa” ci appare sempre di più come un testo certo unilaterale e manicheo, ma che aveva una sua ragion d’essere nella società e nella scuola di quell’epoca. Mentre è sempre più chiaro che i danni più gravi li ha provocati, e tuttora li provoca, il “donmilanismo”, cioè l’esaltata ideologia egualitaria e pauperistica e le mediocri mistificazioni “politicamente corrette” degli epigoni.
La trasmissione era centrata su una tesi: i nuovi “poveri di Barbiana” sono i figli degli immigrati. Gad Lerner ha subito bacchettato il Ministro Fioroni, apparso come una delle poche persone di buon senso della serata, perché aveva osato affermare che se in una classe c’è il 70% di ragazzi extra-comunitari, questo costituisce un problema. La gran parte della platea è insorta: un problema? Al contrario, è una ricchezza!
Secondo l’impegnativa dichiarazione di Gad Lerner, in studio era rappresentato il meglio della scuola italiana. In realtà la maggioranza di quelle persone (insegnanti, dirigenti, psicologi), esprimevano, per mezzo del loro bulimico ottimismo della volontà, un’acritica visione della scuola, che le rende incapaci di capire ciò che qualsiasi analisi pedagogica (e il buon senso) stigmatizza come problema: e cioè che l’inserimento dei bambini stranieri nella scuola deve avvenire in modo tale da evitare che essi siano concentrati in alto numero nelle singole classi.
Anche noi crediamo che la presenza di bambini di origine straniera possa essere un’ulteriore occasione di arricchimento per la crescita degli alunni e per gli stessi docenti. Ma siamo altresì convinti, anche sulla base delle drammatiche esperienze di altri paesi, che tutto ciò vi può essere se si evitano le scuole ghetto, quelle cioè ove il numero dei bambini extracomunitari è troppo alto, al punto da impedire la possibilità di mirare anche ad un tipo d’insegnamento personalizzato, di fare riferimento ad un progetto comune, di riconoscersi negli obiettivi a cui si richiamano tutte le scuole del Paese. Altrimenti le missionarie della nostra educazione, nel loro impeto volontaristico e buonista, contribuiranno sempre di più a far trasferire i bambini italiani in scuole lontane dal loro quartiere, fenomeno che sta già massicciamente avvenendo.
In definitiva la trasmissione ha messo in luce un tipico schema mentale del politicamente corretto: ci sono problemi, ad esempio quelli relativi all’inserimento di ragazzi stranieri nella scuola, che non possono nemmeno essere riconosciuti come tali e dunque devono essere negati. E chi li pone è immancabilmente criminalizzato, come chi ha l’ardire di chiedersi che scuola avranno i ragazzi italiani in classi in cui sono ridotti al 30%. La risposta a un così ragionevole quesito è stata: faranno scuola ai loro compagni extra-comunitari!
Certa serena supponenza fa pensare a risultati legati a doti miracolistiche piuttosto che razionalmente verificabili e infatti ha già causato gravi problemi, promettendo di produrne altri.
Si sta riproducendo sul tema degli immigrati quello che è accaduto con l’esperienza di Don Milani, cioè che per molti docenti il sogno si è sostituito alla cosa, non potendo ovviamente esportare, come avevano creduto di fare, un modello che si era tutto consumato nell’esperienza particolarissima di un prete-padrone in una parrocchia del basso Appennino toscano degli anni sessanta. Un’esperienza bella e drammatica, come lo può essere una scuola che accoglieva bambini piccolissimi che da soli attraversavano boschi e torrenti per andarvi e che poi vietava loro qualsiasi svago e divertimento.
La conseguenza è che la cosa, generalmente, è venuta malissimo, come di solito accade quando si cerca di adattare a tutt’altre situazioni un modello legato strettamente ad un piccolissimo contesto, ad un determinato periodo storico-sociale e ad una figura, seppur discussa e discutibile, senz’altro dotata di carisma e cultura raffinatissima. Ed è venuta malissimo anche perché i politici e i docenti che si sono ispirati a quell’esempio hanno finito quasi sempre per tradirlo, traducendolo in una superficiale ideologia buonista e permissiva, che peraltro è quanto di più distante si possa pensare dalle istanze del prete di Barbiana.


(Pubblicato su "Notizie Radicali" del 12 marzo 2007)

LO PSICOLOGO RISÉ SPIEGA PERCHÉ È SBAGLIATO COINVOLGERE I BAMBINI NELLE PROTESTE

Nota Risé che tutti deplorano i delitti, le malversazioni, l'indisciplina automobilistica, la sporcizia nelle città; e lamentano per questo lo scarso rispetto per gli altri, per le regole e per l'autorità di una parte dei nostri concittadini. Ma dove si formano queste indispensabili attitudini? Leggi.

domenica 19 ottobre 2008

SABRINA RISPONDE AL SUO EX PROFESSORE

Quella che segue è l’affettuosa risposta di Sabrina, ed è con questa che si chiude, senza altro mio intervento, lo scambio di idee che è ripreso con lei a distanza di un anno e qualche mese, da quando cioè ho lasciato l’insegnamento.
Solo chi è docente, o lo è stato, sa che il vero e impagabile privilegio della professione è quello di essere costantemente stimolati dagli sbalordimenti sul mondo e sulla vita che i bambini e i ragazzi di tutte le età hanno e che, per fortuna, nessuna riforma scolastica potrà mai mettere in discussione. Spero che su questo anche Sabrina sia d’accordo.
(V.V.)

Buongiorno Professore, purtroppo non so quale sia l'indirizzo del suo blog, per cui mi limiterò a scrivere su una semplice mail, e poi se lei lo riterrà opportuno potrà anche pubblicarla come risposta! Io mi rendo conto di quanto lei si attivi per la scuola, ed è giusto che esprima la sua idea per quanto concerne la scarsa consapevolezza di noi studenti sulla politica e soprattutto sul fatto che tale legge contenente tagli all'istruzione sia potuta iniziare già con il ministro Fioroni. È vero, io per prima posso ammettere che di tale cosa non ne sapevo niente. Il fatto principale però è che io non manifesto contro una destra al potere, ma contro coloro che hanno fatto una legge che non rispecchia le mie idee. Potrei farle tanti e poi tanti esempi che la porterebbero a capire perchè io la penso così, e qualora ne voglia sapere di più sarò pronta a farglieli. Quello che certo posso puntualizzare già da adesso è che (e forse un po’ mi conosce) ho sempre messo impegno in tutto quello che ho fatto e specialmente nella scuola. Adesso con una legge, anzi un decreto legge, quindi come ben sa con un iter legislativo molto più breve, mi ritroverò con gravi difficoltà nel proseguire il mio percorso di studi. Sono demoralizzata e sono arrivata a pensare in alcuni momenti di smettere da subito, e come me tantissimi altri studenti. La legge dice che le università "possono" diventare private, in quanto prive di sovvenzioni dallo stato, il che non sarebbe grave se fosse applicato come in tutto il resto del mondo, in cui sono degli enti privati privi di scopo di lucro che gestiscono gli atenei. Ma io mi domando... potrà mai in Italia verificarsi una cosa simile?.... Beh, su questo forse trova pessimista me! Come ben sa con la finanziaria di quest' anno i tagli verteranno soprattutto sull'istruzione e sulla sanità, e non credo che in Italia ci si possa permettere tali tipi di tagli! Otto miliardi di euro sono troppi per una situazione che ci pone terzultimi a livello europeo. Non voglio generalizzare, perchè non tutto è negativo di tale legge, ma posso affermare che ci sono state delle cose che veramente mi hanno fatto riflettere. È vero, tanti studenti hanno aggravato la situazione italiana, ma la verità non sta mai da una sola parte e non è giusto che per loro si debba rispondere tutti. Non voglio dilungarmi troppo, e mi scuso se i toni da me usati non sono stati molto calmi, ma a volte parlo per preoccupazione. E sempre per citare Antonio Gramsci: "Bisogna istruirsi, giacché l'istruzione serve per la vita"

Sabrina

venerdì 17 ottobre 2008

UN PRESIDE SCRIVE A UN' EX ALLIEVA IMPEGNATA CONTRO LA GELMINI

Una mia ex allieva, ora all'ultimo anno della scuola media superiore, mi scrive per informarmi del suo impegno contro la Gelmini e di come sia preoccupata per il futuro visto che le università, per esempio, aumenteranno le proprie tasse di dieci volte le attuali. Chiede cosa io ne pensi, aspettandosi evidentemente una mia adesione all'azione di protesta contro la politica scolastica dell'attuale governo. La mia risposta è alquanto pessimista, soprattutto vi evidenzio le responsabilità dei partiti e dei sindacati che stanno guidando ora l'opposizione alla Gelmini e alla fine non mi esprimo nel giudicare migliore una delle due parti politiche rispetto all'altra. Sabrina mi risponde sentendosi delusa e forse tradita dal mio pessimismo; in realtà era già rimasta molto male del fatto che avessi abbandonato l'insegnamento per fare il preside: scelta che avevo giustificato affermando che da preside avrei avuto modo di incidere maggiormente sulla qualità della scuola. Al suo rammarico fa seguito questa mia riflessione che articola e conferma la mia precedente risposta alla ragazza. (Valerio Vagnoli)

Cara Sabrina,
mi dispiace averti delusa per il mio pessimismo, almeno per quanto concerne l’attuale, estesa, mobilitazione per e della scuola, ma come sai, non mi sono mai preoccupato di compiacere i miei allievi ai quali non ho mai negato, quando me lo hanno chiesto, di esprimere quello che pensavo e penso.
Io non entro nel merito dei tuoi entusiasmi e del tuo desiderio di cambiare il mondo: malgrado l’impressione che ti hanno fatto le mie parole, anch’io continuo ad illudermi che questo mondo si possa cambiare, altrimenti lascerei baracca e burattini e farei qualcos’altro. Tu sai che ne sarei capace. Ed altrimenti smetterei d’occuparmi, come faccio invece costantemente, di scuola, anche attraverso il Gruppo di Firenze, e quotidianamente, bene o male, con il mio lavoro.
Il mio pessimismo, e in questo cogli benissimo il senso di quello che ti ho scritto, nasce dall’aver ancora una volta dovuto constatare che la protesta di voi studenti non nasce da un lento e faticoso percorso di impegno culturale e politico nei confronti delle problematiche legate alla scuola, ma scoppia dopo una martellante campagna politica, non di voi studenti, bensì delle forze politiche e sindacali dell’attuale opposizione, che su buona parte della riforma Gelmini racconta vere e proprie panzane. Una fra tutte? I tagli erano già iniziati con Fioroni e quest’ultimo, d’accordo con Padoa Schioppa aveva già preannunciato che in futuro sarebbero stati ben più ampi. Le stesse misure, per me benemerite e da anni auspicate, relative alla condotta e alla revisione dello Statuto delle studentesse e degli studenti, erano già state avviate dallo stesso Fioroni, mentre i tagli alla ricerca mi indignano, ma non me la sento di marciare accanto a quelli che sono tra i principali responsabili del degrado delle nostre università e che per decenni non hanno fatto niente per premiare il merito, unica possibilità per chi non è ricco, di migliorare la propria condizione. Anzi, spesso l’hanno consapevolmente soffocato, o per scelta del tutto ideologica o semplicemente perché i bravi non intralciassero le beghe degli addetti ai lavori e alle poltrone.
Quando mi capita di leggere, sui giornali di questi giorni, gli accorati appelli di rettori e docenti universitari contro i tagli, provo quasi sempre un profondo senso di disgusto: disgusto che nasce dalla consapevolezza che la gran parte delle carriere universitarie è nata grazie al più italiano dei mezzi per far carriera: il nepotismo. Lo stesso proliferare di facoltà inutili e dispendiose ha quasi sempre avuto lo scopo di elargire cadreghe tra le stesse famiglie e tra gli stessi circoli massonici e politici. In questi anni, dio solo sa quanto l’ho atteso, non ho mai avuto occasione di assistere ad una convinta campagna da parte delle forze politiche e sindacali, che pur si dichiarano progressiste, contro questa corruzione che svilisce chi aveva, e malgrado tutto continua ad avere, come me, un preciso punto di riferimento nei principi generali della nostra Costituzione. E in questi anni ho sperato intensamente che almeno dagli studenti universitari nascesse la rabbia civile o almeno l’indignazione per questo degrado della nostra università o per la sorte a cui erano, e sono, destinati i migliori dei nostri giovani ricercatori: e cioè scappare, se in grado di permetterselo, all’estero.
No, stavolta non me la sento proprio di condividere la protesta con chi è corresponsabile di aver ridotto, nel nostro Paese, la scuola e la formazione in generale, ai livelli in cui essa si trova.
Cara Sabrina, sicuramente ti diplomerai con il massimo dei voti, io almeno lo spero e conosco il tuo valore, ma forse lo farai senza che nessuno ti abbia mai nominato Antonio Gramsci. Da ragazzo lo lessi e lo amai molto, per molti aspetti lo amo ancora e, soprattutto, non mi vergogno, come fanno molti, di averlo amato. Allora, da ragazzo voglio dire, leggendolo erano più le cose che non capivo rispetto a quelle che mi entravano in testa. Una delle riflessioni che però più mi colpirono, e che Gramsci, come avrei scoperto più tardi, aveva mutuato da Goya, ricordava come al pessimismo della ragione si debba accompagnare l’ottimismo della volontà. Ebbene, in questo momento mi sostiene, sulla scuola s’intende, solo l’ottimismo della volontà; la consapevolezza, cioè, che la mia personale, silenziosa e quotidiana fatica per costruire un mondo quanto più dignitoso per me e per gli altri, è l’atto più rivoluzionario che si possa compiere e questo atto lo ritrovo anche nel non nascondere agli altri, come ho fatto con te, quello che si pensa. È il pessimismo della ragione, invece, che mi tiene lontano dalla piazza, da questa piazza che ha avuto tutto il tempo di questo mondo perché la scuola italiana non precipitasse, per esempio, agli ultimi posti fra i paesi dell’OCSE e che ha preferito compiacere gli “utenti” – pensa un po’ come vi hanno chiamati – magari costruendo inutili università in ogni cittadina di provincia e garantendovi successi formativi che non valevano nulla, come di solito appunto non vale nulla tutto ciò che viene concesso al solo fine di compiacere la gente, come accade in certe dittature.
Tu, invece, continua ad entusiasmarti e ad avere, come è giusto, la curiosità e il desiderio di capire dove sta il torto e la ragione: guai se alla tua età non fosse così! So che in questi giorni di occupazione non bighellonerai e che alla fine penserai con la tua testa. Cerca però di comprendere chi, come me, pensa con Montale che la realtà non sia sempre quella che si vede.
Un saluto affettuoso a te e alla classe.

mercoledì 15 ottobre 2008

PER FRANCESCO MERLO IL PROBLEMA DEI RAGAZZI STRANIERI SI RISOLVE CON I BRAVI INSEGNANTI

Da quando si è posto il problema di insegnare l'italiano ai ragazzi stranieri (e sono più di vent'anni), tutti gli insegnanti di buon senso (e sono molti) hanno capito che far seguire le lezioni a chi non sa una parola della nostra lingua - a parte qualche oretta settimanale di lieve alfabetizzazione - è solo una perdita di tempo prezioso, almeno per la maggior parte delle materie. Diciotto anni fa ebbi l'occasione di visitare una scuola media vicino a Firenze, frequentata da alunni cinesi "non alfabetizzati". Alcuni eroici insegnanti arrivavano a studiarsi il mandarino per "integrare" questi ragazzi e sottrarli per qualche attimo ai flutti della noia e della frustrazione. Quel giorno c'era anche il viceprovveditore, largo di elogi per quella scuola che così volonterosamente si spendeva. Quando gli dissi che sarebbe stato molto meglio organizzare corsi intensivi di italiano, in modo da fornire quanto prima agli stranieri gli strumenti per seguire le lezioni, mi rispose: "Sarebbe discriminatorio".
A distanza di tanto tempo siamo ancora allo stesso punto. È stata approvata ieri la mozione della Lega che impegna il governo ''a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola, favorendo il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione e a istituire classi di inserimento, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutici all'ingresso nelle classi permanenti''. In questo genere di cose tutto sta nel come si mettono in pratica; ed è su questo terreno che l'opposizione dovrebbe vigilare, proporre, incalzare. Oppure fare una controproposta. Invece, apriti cielo. Citiamo solo Fassino: il provvedimento "non solo produce un principio di discriminazione, ma la cosa più grave è che discrimina tra i bambini e i più piccoli, che è la cosa più abbietta''.
Per parte sua Francesco Merlo scrive a distanza di ventiquattr'ore un altro articolo tanto fiammeggiante quanto inconsistente sul piano della concretezza. E cioè: il problema esiste, ma la Lega lo pone male, anzi lo aggrava; è vero, nelle classi con molti stranieri il livello tende ad abbassarsi, ma tutto si risolve utilizzando i professori migliori. Del resto siamo avvantaggiati dall'aver affrontato e risolto il problema dei dialetti... Ma a parte il fatto che il napoletano non è il cinese e che gli insegnanti supermen scarseggiano, il punto è che si continua a confondere l'uguaglianza con l'uniformità. Non è discriminazione consentire a un ragazzo straniero di apprendere la nostra lingua in tempi più rapidi, nei modi e nei tempi che si ritengono opportuni e senza escludere momenti di socializzazione nelle discipline in cui è possibile (per le medie si può pensare a educazione fisica, musicale, artistica) o in altri momenti ad hoc, come feste, gite, vacanze... Si tratta di assicurargli di più, non di meno. Perché, secondo il monito di Don Milani che tanto piace a Veltroni, "niente è più ingiusto che far le parti uguali fra disuguali". Con un occhio, d'altra parte, anche al rischio, che in Germania sta divenendo realtà, che a insistere sulla strada sbagliata si vada incontro proprio a ciò che si vuole evitare: le scuole che anno dopo anno hanno visto scemare gli allievi "indigeni" per diventare alla fine scuole frequentate solo da immigrati.

(GR)

Un commento di Piero Morpurgo, che ci ricorda un'altra norma da rivedere: l'automatico collegamento tra età anagrafica e classe di inserimento.
Era arrivato da un paese lontano soltanto da due giorni, non conosceva l’italiano, ma fu accolto dai suoi nuovi compagni che gli regalarono righelli, quaderni, fumetti, dal suo nuovo banco vide la neve e apprese nuovi giochi e nuove conoscenze. Tutto vero. La scuola italiana è imbattibile per l’accoglienza degli studenti stranieri di cui si cerca in primo luogo il sorriso. Tuttavia la legge italiana è iniqua e sconsiderata giacché prevede che un giovane sia inserito in classe in ragione della sua età anagrafica: a 18 anni si sta in quinta liceo anche se non si conosce la lingua italiana e il resto dei programmi! Dunque il coro di indignazione per la mozione della Lega è sconsiderato in quanto chi protesta non solo evidentemente non ha letto il testo, ma nemmeno conosce il contesto. Quando in una classe qualsiasi vengono inseriti 11 stranieri di diversa provenienza e di varia alfabetizzazione su 19 alunni non si può non considerare l’impatto didattico. Noi ‘docenti fannulloni’ facciamo di tutto per accogliere gli studenti spaesati; tuttavia auspicheremmo che la Convenzione di Lisbona del 1998 sia applicata integralmente il che vuol dire l’esclusione dell’ orribile automatismo tra età anagrafica e inserimento nelle classi come disgraziatamente previsto dal DPR 394/1999. Ben venga una norma che preveda l’inserimento di tutti gli studenti in ragione delle loro conoscenze perché chi non conosce l’italiano non può frequentare la 5 liceo solo perché ha 18 anni. Purtroppo in questo anno scolastico i fondi per l’accoglienza degli stranieri sono stati tagliati.

Piero Morpurgo

NB: una versione più ampia di questo intervento si può leggere sul sito della Gilda di Vicenza.
Intanto lievitano indisturbate le iperboli: apartheid, inciviltà, intolleranza razziale... Leggi

martedì 14 ottobre 2008

LE OKKUPAZIONI E LA POLITICA

di Valerio Vagnoli
Così stanno ripartendo le occupazioni, come era nell’aria e come molti auspicavano. Sul Corriere Fiorentino di domenica scorsa si riferisce quanto avrebbe dichiarato il Preside del Michelangelo, che ci sono state pressioni di parlamentari del PD perché gli studenti passassero a questa forma di protesta. Oggi il Preside smentisce, ma chi scrive questa nota è testimone di un episodio a dir poco sconcertante, almeno se si pensa al futuro della sinistra, chiamiamola così, di governo.
In occasione della recentissima festa nazionale del PD qui a Firenze, durante un dibattito dedicato ai problemi della scuola, l’on. Vita si rivolse al rappresentante della Consulta nazionale degli studenti ricordandogli, più o meno, che non dimenticasse “ che esistevano anche le occupazioni” per combattere la riforma Gelmini. E le occupazioni, appunto, dopo anni, cominciano a tornare con i loro riti di sempre e con l’illusione, per molti, che da lì possa ripartire l’interesse dei giovani per la politica, di sinistra s’intende.
Ne abbiamo viste troppe di occupazioni per pensare che ciò possa accadere e se anche accadesse la cosa ci farebbe comunque impensierire. Siamo convinti che riportare i giovani ad occuparsi di politica e in particolare dei problemi della scuola, sia importantissimo e del tutto auspicabile. Ma siamo altrettanto convinti che ciò debba essere il frutto di una lenta, critica e progressiva maturazione di idee che debba trovare innanzitutto i suoi riferimenti nel rispetto delle regole proprie della democrazia e della legalità.
Auspicare, da parte delle forze politiche dell’opposizione, che i giovani occupino le scuole per dimostrare la loro contrarietà alla Gelmini e al governo Berlusconi ci appare, almeno come educatori, avvilente. (Quando sarà la destra, perché all’opposizione, a stimolare gli studenti ad occupare le scuole, quali saranno le reazioni della sinistra?)
Una sinistra di governo si deve giustamente preoccupare di riportare i giovani alla politica, ma non lo faccia in modo così palesemente strumentale e “investa” invece su di loro con pazienza e convinzione: magari spiegandogli che non si è credibili se si fa politica esclusivamente come alternativa all’attività scolastica.
Le occupazioni sono quasi sempre, anche perché vissute come eventi, inevitabilmente risultate dei fuochi di paglia che hanno poi rigettato i ragazzi, nella migliore delle ipotesi, nella routine e nel solito distacco dalla politica.

* * *
Sulla stampa, accanto alle cronache delle okkupazioni, con l'immancabile repertorio di pezzi di colore e di prevedibilissime dichiarazioni di studenti, presidi e docenti, prosegue il dibattito pro o contro la "riforma" Gelmini. A difesa del Ministro e delle sue scelte un intervento sul "Giornale" di Giorgio Vittadini , della "Fondazione per la Sussidiarietà", mentre contrarissima a tagli e accorpamenti di scuole è Mariangela Bastico, viceministro dell'Istruzione nel Governo Prodi. Infine un articolo di Francesco Merlo che ci sembra confermare, almeno ai nostri occhi, di avere smarrito in una polemica politica molto schierata, in questo caso persino mistificante, il carattere molto libero e spesso eccentrico dei suoi commenti di un tempo. Di seguito una breve lettera che gli abbiamo inviato a commento del pezzo.

Vorrei informare il dottor Merlo che il rinsavimento della scuola italiana - cioè il recupero di un po' di serietà e di rigore - è in corso da pochissimi mesi più che da anni ed è quindi tutt'altro che acquisito e consolidato. Aggiungo che non si tratta per nulla di un'iniziativa originale della Gelmini, che è non ha fatto che proseguire la svolta meritoriamente iniziata da Fioroni: esami più seri, recupero reale dei debiti, revisione in senso rigorista dello Statuto degli Studenti. E il voto di condotta, che può in casi estremi portare alla bocciatura, è solo una diversa regolamentazione di quest'ultimo provvedimento (novembre 2007). Gli ricordo infine - visto che sembra averlo dimenticato - che il primo a farsi sostenitore, nel più perfetto isolamento iniziale, di una maggiore disciplina e di una scuola più esigente è stato il suo collega di "Repubblica" Mario Pirani, che per questo motivo apprezza l'operato dell'attuale ministro.

Giorgio Ragazzini - Docente nella scuola media

lunedì 13 ottobre 2008

PER L'UNITÀ GLI STUDENTI DEL SUD SONO SENZ'ALTRO I MIGLIORI

E aggiunge: "I dati Invalsi smentiscono l'Ocse e la Gelmini". L'articolo di Marisa Boscaino si riferisce ai dati sui risultati degli esami di terza media di cui abbiamo detto ieri, riferendo i forti dubbi dell'ADi, basati non solo sul contrasto clamoroso tra questi dati e quelli dell'Ocse, che sarebbe già sufficiente, ma anche sul commento (cauto, per non dire ipocrita) con cui si chiude il comunicato diramato dall'Invalsi, che fa cenno a possibili "comportamenti opportunistici".
Ora, lasciando da parte il Ministro, che aveva semplicemente preso atto dei dati Ocse-Pisa, che cosa si intende sostenere? Che gli esperti dell'Ocse sono in realtà incapaci e/o imbroglioni? E se non è così, non sarebbe il caso di chiedersi il perché di un simile, clamoroso capovolgimento, invece di limitarsi ad alludere a una non meglio precisata carenza della cultura della valutazione? Ma per il tipo di opposizione demagogica, che L'Unità ha scelto di fare ben prima del decreto 137, è evidente che tutto fa brodo.

Appunto di demagogia della sinistra (e di populismo della destra) parla la lucida analisi di Luca Ricolfi, che cerca di rispondere a questa domanda: “Perché il dialogo tra governo e opposizione non decolla?”. E sottolinea tra l’altro che “Veltroni e i dirigenti del PD parlano della politica scolastica come se la svolta rigorista non fosse iniziata con il precedente governo (commissari esterni, esami a settembre), e come se le misure di risparmio di oggi non fossero analoghe a quelle previste a suo tempo da Padoa-Schioppa (Finanziaria 2007), e ampiamente spiegate nel Quaderno bianco sulla scuola preparato dal governo Prodi”.
Nell’editoriale I riformisti del no, Galli Della Loggia fa un’accusa analoga ai sindacati scuola e al PD, quella di non aver prodotto alcuna reale proposta alternativa ai provvedimenti della Gelmini. Purtroppo, possiamo aggiungere, la speranza di una sinistra blairiana, in grado di andare oltre gli stereotipi ideologici, accesasi con il PD prima maniera (e prima ancora con l’effimera “Rosa nel pugno”), si è rapidamente dileguata.
Naturalmente molto critico con le manifestazioni studentesche è Paolo Armaroli sul “Tempo”, che cita ampiamente un articolo in merito apparso sabato sul “Corriere fiorentino”, in cui i ragazzi intervistati risultano “impreparati” sui motivi della loro presenza.

sabato 11 ottobre 2008

L'INVALSI CONSIDERA INATTENDIBILI LE PROVE NAZIONALI DI TERZA MEDIA NELLE SCUOLE DEL SUD?

L'allarme dell'ADi

Il notiziario dell'Associazione Docenti Italiani pubblica una notizia inquietante: le prove nazionali dell'Invalsi che in via sperimentale hanno integrato quelle tradizionali nell'esame di terza media sarebbero state largamente falsate. Maggiori controlli di legalità e adozione di un codice etico-deontologico da parte degli insegnanti italiani: ecco due urgenze di cui nessuno parla.

giovedì 9 ottobre 2008

BRUNETTA HA UN’IDEA ECCELLENTE PER SVELENIRE IL CLIMA: DENIGRARE IN BLOCCO GLI INSEGNANTI ITALIANI

Come ricorderanno i lettori più fedeli di questo blog, non ci dispiacque che il ministro Brunetta, al suo esordio, si presentasse come il castiga-fannulloni, convinti come siamo che la prima forma di valorizzazione di chi fa bene il suo lavoro stia nella puntuale sanzione di chi demerita. Purtroppo con i provvedimenti anti-assenteismo il ministro ha poi percorso la strada più semplice e più “antimeritocratica”, decurtare lo stipendio a chiunque si ammali, senza alcuna distinzione, suscitando con questo la comprensibile indignazione soprattutto di chi ha fatto sempre il suo dovere. Ma a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate ieri, almeno come riportate da “La Repubblica”, il ministro sembra davvero pensare che proprio tutti gli insegnanti sono dei fannulloni: “ I nostri insegnanti lavorano poco, quasi mai sono aggiornati e in maggioranza non sono neppure entrati per concorso, ma grazie a sanatorie. E poi 1.300 euro sono comunque due milioni e mezzo di vecchie lire, oggi l’insegnamento è part-time e come tale è ben pagato”. È grave che un ministro abbia sulla scuola opinioni improntate a un tale sgangherato qualunquismo, ma ci si chiede soprattutto per quale motivo abbia deciso di esternarle, senza curarsi, così sembrerebbe, delle conseguenze, in un clima già di scontro frontale.
Sulla questione del “maestro unico” segnaliamo l’opinione, favorevole, di Lorenzo Strik Lievers, che di scuola elementare si è sempre occupato nel suo lavoro di docente universitario e che come parlamentare radicale si oppose, tra i pochi, all’istituzione del “modulo”.
Infine una nostra lettera a “Liberal”, a commento di alcune affermazioni del professor Panebianco sul presunto tentativo di Berlinguer di introdurre per la prima volta, con il cosidetto “concorsaccio”, seri criteri di valutazione degli insegnanti, insieme a una prospettiva di carriera. Non è, secondo noi, un merito che si può attribuire all’ex ministro, come tanti altri.

mercoledì 8 ottobre 2008

DEMERITO E IRRESPONSABILITÀ - Il caso dell'Einstein di Milano

Un'altra tappa della deprimente epopea della "privacy" in Italia, quella che annovera tra l'altro la cancellazione dei voti dai tabelloni dei risultati di fine anno. La cosiddetta protezione dei dati sensibili imporrebbe ai Presidi di chiedere ai maggiorenni se consentono alla scuola di informare la famiglia dei risultati e delle assenze. Il decreto è il 196 del 2003, ma, secondo una preside citata nell'articolo del "Corriere" sul Liceo Einstein di Milano, un'altra norma prevede che i genitori hanno il diritto di essere informati dalla scuola sui figli ancora a loro carico. Che sarebbe norma di palmare buon senso; ma è diffusa la convinzione che l'assenza di controlli faccia crescere. Lo psicologo Scaparro plaude infatti alla riservatezza in nome della responsabilizzazione dei giovani. È vero esattamente il contrario: in questo modo si coltiva proprio l'irresponsabilità verso la famiglia e si occulta all'occorrenza il demerito, che si tratti di profitto scolastico, di comportamenti scorretti o di assenze dalle lezioni. In poche parole, diritti senza doveri.
Sull'autogiustificazione delle assenze, ecco quello che quattro mesi fa scrivevamo tra l'altro alla neo-ministra Gelmini:

"Giustificazioni dei maggiorenni.
Succede in non pochi istituti che gli studenti che hanno compiuto diciotto anni entrano ed escono (magari in occasione di un compito) a loro piacimento, approfittando della facoltà di giustificare le proprie assenze. A noi sembra evidente che, almeno fino a quando i figli vivono in famiglia a carico dei genitori, a questi ultimi debba essere riconosciuto il diritto-dovere di vigilare anche sulla frequenza dei figli a scuola. Bisogna quindi estendere anche ai maggiorenni l'obbligo di firma o almeno di controfirma del padre o della madre sulle giustificazioni delle assenze".

Leggi l'articolo sul "Corriere".

Da segnalare che anche Sergio Romano, nella sua rubrica, si schiera tra chi denuncia i guasti (insieme ai meriti) del Sessantotto.

(GR)

venerdì 3 ottobre 2008

SONO LE ELEMENTARI L'ANELLO DEBOLE?

È quanto sostiene Luca Ricolfi in un'analisi pubblicata questa settimana da "Panorama". Ci sembra quindi opportuno pubblicare, dopo l'intervista di ieri, anche questo ragionamento piuttosto dettagliato. Anche se rimane doveroso prendere con le pinze i risultati delle analisi internazionali e nazionali, resta il fatto che da qualche settimana in qua il luogo comune della scuola media "anello debole" è stato almeno rimesso in discussione.
Segnaliamo anche un intervento di Giuseppe Bertagna su "Liberal", utile anche perché ricapitola le "visioni" sulla scuola degli ultimi anni. Bisognerebbe lavorare, dice lo studioso, a un "cambiamento strategico", cioè a "un progetto complessivo di ricostruzione delle forme istituzionali e ordinamentali della scuola e dell'università". Pur apprezzando i "correttivi ad alta carica simbolica", come gli esami di settembre e la disciplina più severa, c'è ancora però, a nostro avviso, anche in Bertagna una certa sottovalutazione del ruolo fondantementale del versante educativo ed etico-deontologico del problema, quindi della perseveranza che è necessaria per fare rotta con decisione verso la scuola seria tenendo ferma la barra del timone (vedi rapido accantonamento dell'opera di Fioroni all'interno del PD), e quindi dell'estrema precarietà delle sole riforme "di sistema".
(GR)

giovedì 2 ottobre 2008

IO BOCCIO I CONTESTATORI – Intervista a Luca Ricolfi

di Emanuele Boffi

(da "Tempi.it")

Il sociologo e editorialista della Stampa si conferma tra i pochi in grado di ragionare evitando schemi manichei e tenendo conto della "realtà effettuale".

Con l’accuratezza tipica di chi oppone alla fantasia dei luoghi comuni le carte e i numeri, Luca Ricolfi ha scritto sulla Stampa (Il mito della scuola elementare, 25 settembre) un articolo dettato dal suo sbalordimento per «l’incredibile pioggia di critiche, insulti, manifestazioni, sceneggiate, lezioni di pedagogia (e talora democrazia) che sono state riservate al neo-ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini». Ricolfi, professore di Analisi dei dati all’Università di Torino e autore del celebre Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori, ha dimostrato che «la maggior parte dei numeri spaventa-famiglie che sono stati agitati sono semplicemente falsi». Falso che il bilancio della scuola subirà tagli per 8 miliardi («il taglio del prossimo anno sarà inferiore a 0,5 miliardi»). Falso che saranno licenziati 87 mila insegnati («la riduzione del numero delle cattedre avverrà limitando le nuove assunzioni, la cifra di 87 mila insegnanti in meno si raggiungerà nel 2012 e include nel calcolo le riduzioni già pianificate da Prodi»). Falso che sparirà il tempo pieno. Falso che si ridurranno gli insegnati di sostegno. Falso che saranno chiuse le scuole di montagna. Al catalogo dei Ricolfi ha poi aggiunto che è per lui sbagliato «lo tsunami» scagliato contro il ministro per l’introduzione del cosiddetto maestro unico.

Perché, professore?
Intanto è forse il caso di ricordare che l’introduzione nel 1990 del cosiddetto modulo (3 maestri per 2 classi), con conseguente soppressione della figura del maestro unico, non è stata dettata da genuine scelte pedagogiche, ma molto prosaicamente dalla necessità di salvare posti di lavoro messi a repentaglio dal calo demografico. Vale la pena, in proposito, riportare quel che scrive Gilberto Muraro, uno dei due estensori del parere che – allora – espresse la Commissione incaricata di valutare l’opportunità di sopprimere il maestro unico: «La Commissione espresse dubbi sull’efficacia formativa (della soppressione del maestro unico, ndr) e ridicolizzò la pretesa del ministero della Pubblica istruzione di farla passare come riforma a costo zero in base al fatto che non implicava l’aumento ma solo il mantenimento degli organici in essere, minacciati di disoccupazione per il previsto calo demografico. Erano gli anni del consociativismo, dell’egemonia sindacale, del dolce sonno di un’opinione pubblica convinta che, tutto sommato, il paese continuasse ad avanzare».
È quindi favorevole al ritorno del maestro prevalente?
Personalmente tendo a pensare che il maestro unico sia preferibile al 3 per 2 (3 maestri per 2 classi), o al 2 per 1 (2 maestri per 1 classe, nel tempo pieno), ma contemporaneamente temo che sia difficile reintrodurlo di brutto, dopo quasi un ventennio in cui i maestri si sono abituati a insegnare un solo gruppo di materie. C’è poi un altro problema, ossia il fatto che la preparazione dei maestri sta scendendo, ed è talora gravemente insufficiente in matematica: questo significa che se a una classe capita il maestro sbagliato il bambino è rovinato (su questo ha ragione Umberto Bossi).
Lei elenca quel che ogni docente, di medie inferiori e superiori e anche d’università, spesso si trova a dover constatare riguardo alla preparazione dei propri studenti: errori di grammatica e ortografia, incapacità di presentare tesi e tesine, scarsa preparazione. Di qui, il sospetto che «la scuola elementare è ben poco capace di trasmettere conoscenze e formare capacità». Come invertire la tendenza?
Una strada ragionevole potrebbe essere quella di tornare gradualmente al sistema degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui c’è un maestro (unico) nei primi 2 anni, e un altro maestro (sempre unico) negli altri tre. Questa soluzione terrebbe conto dell’obiezione di Bossi (il rischio “maestro sbagliato” verrebbe attenuato, perché i bambini cambierebbero maestro almeno una volta), e inoltre permetterebbe di differenziare lo stile pedagogico della scuola elementare: più ludico-ricreativo nei primi due anni, più attento allo studio vero e proprio nei tre anni successivi. In questo modo si attenuerebbe anche il salto, oggi drammatico, dalle regole blande della scuola elementare a quelle più rigide della scuola media, cui spesso oggi i bambini arrivano anche psicologicamente impreparati.
In un inciso del suo articolo, lei afferma che «la scuola elementare con la sua impostazione ludica non prepara gli studenti alle prove che dovranno affrontare quando entreranno nel mondo vero». Se tale impostazione è fallimentare, quale dovrebbe essere quella da dare?
L’impostazione ludica è fallimentare, ma la responsabilità principale non è dei maestri bensì dei genitori, troppo spesso incapaci di educare i propri figli. La scuola, a mio parere, ha avuto il torto di adeguarsi alle richieste delle famiglie, ma non potrà mai cambiare le cose da sola, senza un’alleanza con i genitori. Finché mamme e papà saranno solo preoccupati che i pargoli siano felici (a scuola) e non disturbino gli adulti (a casa), la politica non riuscirà a cambiare in meglio la scuola. Insomma, per me il problema è la miopia delle famiglie, che non si rendono conto che gli sconti che i figli ricevono da ragazzi – promozione facile, tanta tv, tanto telefonino, tanti divertimenti – li pagheranno con gli interessi quando saranno adulti.
Il ministro è stata aspramente contestata. Ha fatto scalpore l’idea di alcune maestre di vestirsi a lutto il primo giorno di scuola. Da dove giunge tale astio? Non crede che, con quel gesto, quelle maestre abbiano innanzitutto nuociuto ai propri studenti, trasformando quella che avrebbe dovuto essere una festa (era il primo giorno di scuola) in un funerale?
Il ministro è stato contestato per vari ordini di ragioni, alcune comprensibili altre meno. Fra le più comprensibili: la sincera (anche se immotivata) preoccupazione che il maestro unico comporti una riduzione del tempo pieno; la convinzione che una riduzione delle ore di compresenza si traduca in un danno per gli scolari in difficoltà; la credenza che il ministro chiuderà le scuole di montagna e ridurrà il numero di insegnanti di sostegno. Quanto all’astio che ha accompagnato la contestazione, secondo me deriva da almeno cinque motivi distinti. Primo: molte maestre, magari ferratissime sulla Costituzione, non hanno però il senso delle istituzioni. Esse non si rendono conto di essere al tempo stesso delle persone e dei ruoli. Degli individui concreti ma anche i rappresentanti di qualcosa (lo Stato, la scuola) che sta al di sopra delle loro teste. Mi ha molto colpito il candore (o l’ignoranza?) con cui, qualche sera fa, una maestra ha dichiarato alla trasmissione Porta a Porta: «Per essere rispettati dai bambini non è necessario che si alzino in piedi quando entro in classe». Quella maestra non aveva capito che i bambini devono essere educati non solo a rispettare la persona della loro maestra, ma anche l’istituzione che quella persona (magari indegnamente) rappresenta. Come stupirsi che poi, magari quando sono un po’ più grandi, i ragazzi non manifestino alcun rispetto per le loro scuole, fino al punto di devastarle? Un discorso analogo si potrebbe fare sui programmi e la libertà di insegnamento: uno dei mali della nostra scuola (non solo della elementare, il discorso vale fino all’università) è che in troppi casi l’insegnante si attribuisce una libertà eccessiva nella scelta dei contenuti da trasmettere, come se una sorta di malintesa libertà di espressione (individuale) potesse prevaricare il dovere (istituzionale) di trasmettere le conoscenze condivise e accumulate nel tempo da altri. Secondo motivo dell’astio verso il ministro Gelmini: la difesa degli interessi della corporazione dei maestri elementari, spaventata dalla riduzione dei posti, dal ridimensionamento delle ore di compresenza, dall’introduzione di rischiosi criteri meritocratici. Terzo motivo: l’odio per Berlusconi e per tutto ciò che ha a che fare con il suo governo. Quarto motivo: l’ignoranza e la faziosità, particolarmente diffuse fra le persone politicamente impegnate (la propaganda dell’opposizione è piena zeppa di falsità, sinceramente credute da insegnanti e genitori). Quinto motivo: in molte famiglie progressiste l’educazione politica dei figli comincia molto presto, ed è considerato naturale – se non segno di maturità civile – portare bambini ancora piccoli a manifestazioni politiche, nonostante a quell’età non abbiano alcuna possibilità di formarsi un’opinione autonoma sui temi coinvolti. Mi sembra questa la ragione per cui, contro ogni buon senso, le maestre che hanno inscenato la protesta politica contro la Gelmini non si sono rese conto del fatto che, in questo modo, strumentalizzavano i bambini e snaturavano il senso del “primo giorno di scuola”.
In un articolo sul Corriere della Sera (Il silenzio del Sud, 14 settembre), Ernesto Galli Della Loggia ha rilanciato la denuncia dell’ex ministro Luigi Berlinguer. Sintetizzando: non è la scuola italiana a essere malmessa, è la scuola del Meridione. Condivide questa analisi?
Solo fino a un certo punto. Io penso che anche la scuola del Nord abbia dei seri problemi, che sono oscurati solo dal fatto che i medesimi problemi li hanno quasi tutti i paesi avanzati, con cui di norma ci confrontiamo. Nel Meridione i medesimi problemi sono molto più gravi perché, per un complesso di motivi, la qualità degli insegnanti rimasti al Sud lascia a desiderare, ma soprattutto perché l’asticella dei voti (gli standard necessari per raggiungere la sufficienza) è collocata a un livello troppo basso. Galli Della Loggia ha ragione a notare la rassegnazione della società meridionale, e in particolare dei suoi intellettuali, nei confronti dello stato della scuola del Sud. Però io penso che tale rassegnazione riguardi un po’ tutti i settori della vita sociale (dalla raccolta rifiuti alla sanità) e, a differenza di Galli Della Loggia, ho l’impressione che in questo caso la sinistra e la destra non c’entrino per nulla: la società meridionale è quel che è proprio perché i suoi caratteri di fondo sono i medesimi da secoli, mirabilmente impermeabili a qualsiasi novità proveniente dall’esterno, sia essa un’invasione straniera o un cambiamento del governo centrale.
Ha fatto un certo scalpore la sentenza della Cassazione che ha punito un professore per aver minacciato di bocciatura una studentessa. Che ne pensa?

In realtà la vicenda è stata descritta in modo distorto dai giornali. Per quel che ho capito la Corte non ha detto che un insegnante non può minacciare la bocciatura (ci mancherebbe) ma che non può usare tale minaccia per motivi impropri, ad esempio dicendo: “Ti boccio se i tuoi genitori non ti fanno fare il tempo prolungato”. È comunque vero che, sempre più sovente, i genitori mettono alla gogna gli insegnanti (fino al ricorso alla magistratura) per motivi molto discutibili e non di rado ottengono ragione. Ma qui torniamo al discorso iniziale: è la famiglia il problema. Non solo abbiamo rinunciato a educare i nostri figli, ma facciamo di tutto per impedire ad altri di farlo. È innanzitutto per questo che la scuola, a tutti i suoi livelli, ha perso prestigio e autorevolezza.

Da segnalare anche la risposta di Giorgio Israel a Michele Serra e alla sua teoria secondo la quale la sinistra terrebbe conto della complessità del reale, mentre la destra lo semplificherebbe abusivamente.