lunedì 24 novembre 2008

PICCOLA GUIDA AL BLOG

In questo blog vengono pubblicati commenti, articoli, segnalazioni che hanno a che fare con la “ragione sociale” del nostro gruppo: cioè l’obiettivo di una scuola seria e rigorosa, la sola che può garantire a tutti i “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, gli strumenti culturali necessari per raggiungere le mete a cui aspirano.
Sulla colonna principale si trova quanto è stato pubblicato a partire dal 20 marzo 2008, quando il blog fu inaugurato con un appello da noi promosso e sottoscritto da sedici noti studiosi e commentatori, dal titolo: "Scuola, un partito trasversale del merito e della responsabilità".
Nella colonna di fianco, sulla destra, si trovano:
▪ un breve profilo del Gruppo di Firenze (CHI SIAMO);
▪ l’ARCHIVIO DEL BLOG, cioè l’elenco dei titoli (in ordine cronologico inverso) di tutto quello che è stato pubblicato, a cominciare dall’appello di cui sopra;
▪ il collegamento con alcuni nostri articoli e interventi meno recenti (GDF DOCUMENTI E ARTICOLI 2005-2007)
▪ il nostro indirizzo e-mail;
▪ i collegamenti ad altri siti.
In calce a ogni “post”, cioè a quanto viene pubblicato in un certo giorno, ogni lettore può - cliccando su "commenti" - lasciare un commento o leggere quelli di altri lettori.
In alto a sinistra c’è un motore di ricerca con cui si possono trovare nel blog testi su argomenti che interessano.

UN ESEMPIO DI CONCRETEZZA RIFORMISTA SEGNALATO DA MARIO PIRANI

Il Presidente della Regione Sardegna Soru ha stanziato diverse decine di milioni di euro per finanziare iniziative - mirate - di sostegno all'istruzione elementare e universitaria. Leggi.

sabato 22 novembre 2008

CLASSI PONTE: BUON SENSO E PREGIUDIZIO IN DUE LETTERE AL "CORRIERE"

Il "Corriere della Sera" pubblica un'esemplare accoppiata di lettere sulla proposta delle classi-ponte o di inserimento (banali corsi di lingua italiana): quella di un lettore italiano, da cui traspare un'evidente disinformazione, che però non ha impedito al mittente di parlare di "rischio apartheid"; e quella di una donna romena, che assicura: "siamo tutti d'accordo che si tratta di una cosa molto giusta".

venerdì 21 novembre 2008

SULLE "CLASSI PONTE" L'UNITA' SENTE UN ALTRO "ESPERTO" SCANDALIZZATO

Con le dichiarazioni di Berlusconi in appoggio alle "classi ponte", che erano poi state ribattezzate "di inserimento" - e che in realtà non sarebbero altro che corsi di italiano per facilitare l'integrazione nelle classi vere e proprie (vedi nel blog le note del 15 e del 17 ottobre), tornano i toni forti. Sull' "Unità" viene intervistato il glottologo Giuliano Bernini che "boccia senza appello" la proposta. Vale la pena di soffermarsi sulle argomentazioni.
Nella premessa della mozione si parla di "discriminazione transitoria positiva": "un'affermazione estremamente grave", commenta Bernini. Il quale evidentemente non sa che l'espressione "discriminazione positiva" fa addirittura parte della fraseologia politicamente corretta e indica quei provvedimenti, come le "quote rosa", volti a favorire gruppi e categorie sociali che in passato abbiano subito discriminazioni.
Il glottologo rileva poi, sempre nella premessa della mozione leghista, una notevole confusione tra soggetti diversi, tra i quali alcuni "non è affatto detto che non sappiano l'italiano", come i figli degli immigrati nati in Italia. Nel dispositivo della mozione, però, c'è scritto con chiarezza che i corsi saranno riservati a chi l'italiano non lo sa e che questo verrà accertato tramite dei test iniziali.
Per i bambini piccoli, aggiunge Bernini, quelli che arrivano non avendo ancora finito di apprendere la loro prima lingua, è l'italiano a diventarlo e di solito lo apprendono con facilità, mentre "diversa e più complessa" è la situazione quando arrivano da noi già adolescenti; un problema però "già affrontato da molti uffici scolastici provinciali e regionali con corsi di aggiornamento specifico per gli insegnanti di qualsiasi disciplina". Con quali risultati non viene specificato.
Infine il professore afferma addirittura - se non è stato travisato - che nel programma delle classi di inserimento "scompare l'insegnamento dell'italiano per far posto a temi propri dell'educazione civica, che è oggetto dell'apprendimento di tutti i ragazzi in età scolare".
Nulla viene detto sul fatto che corsi preparatori di alcuni mesi, massimo un anno, sono stati adottati in molti paesi europei; e che a favore di questa soluzione si sono schierati molti che nulla hanno a che fare con la Lega. Né l'intervistatore glielo ricorda.
Colpisce quindi la scarsa consistenza e la lacunosità delle argomentazioni in rapporto alla durezza dei toni ("parlano a vanvera", "questi pregiudizi segnano i bambini"...). Quanto al PD, che dovrebbe essere il referente politico del quotidiano diretto da Concita De Gregorio, pensiamo che farebbe meglio a lasciare da parte gli anatemi e a smettere di autoescludersi dalla possibilità di incidere politicamente, contribuendo invece attivamente alla migliore attuazione possibile della mozione leghista. Si tratta di individuare con chiarezza i destinatari del provvedimento e i criteri per selezionarli in modo corretto, stabilire i limiti di durata dei corsi e le risorse necessarie. E vigilare che non si verifichino "discriminazioni negative".
In qualcosa, quindi, possiamo dichiararci d'accordo con il professor Bernini: "Occorre una conoscenza oggettiva della realtà, per circoscrivere il problema, descriverlo e trovare le soluzioni più pertinenti".

martedì 18 novembre 2008

MAESTRO "UNICO": TANTO RUMORE PER POCO?

Così sembra, almeno a leggere l'articolo di Alessandra Ricciardi, l'esperta di scuola di "ItaliaOggi". In sede di regolamento attuativo il provvedimento potrebbe infatti essere ridimensionato, tanto che la giornalista scrive tra l'altro: "Il maestro unico ci sarà, ma dovrà essere residuale". Addirittura. In sostanza la cosa si farebbe soltanto a richiesta dei genitori; ma se le cose stanno così, i "tagli" che hanno gonfiato l'Onda potrebbero anche andare a ramengo. Si attendono chiarimenti, oltre che la reazione di Tremonti ai (ventilati) pareri che le Commissioni istruzione di Camera e Senato dovrebbero dare in proposito. Bilancio dello Stato a parte, lo scioglimento dello psicodramma andrebbe incontro ai fautori della libertà di scelta - almeno nella scuola - da parte delle famiglie.

lunedì 17 novembre 2008

EDUCARE ALLA LEGALITÀ FACENDO RISPETTARE LEGGI GIUSTE

Diciotto indagati per blocco stradale e "corteo selvaggio" a Milano, scrive "La Repubblica". Finalmente, dirà qualcuno. Ma purtroppo l'articolo si conclude così: “In realtà rischiano poco. Il blocco stradale è stato depenalizzato, mentre per il corteo non autorizzato, che si rifà a una legge del 1944, è prevista solo una sanzione fino a 500 euro.”
Il lassismo che permea alcune leggi, e influenza l’applicazione di quasi tutte, costituisce una vera e propria istigazione dei giovani a violare i diritti altrui. Tutte le forme illegali di protesta sono di fatto legalizzate. Bloccare aeroporti, stazioni, strade, paralizzare una città con una manifestazione, scioperare al di fuori delle norme non porta quasi mai a qualche seria conseguenza. Questa disfatta della legge che quasi ogni giorno si ripete davanti agli occhi delle nuove generazioni costituisce una micidiale “diseducazione civica”; e c’è da scommettere che tra i promotori dei mille progetti di “educazione alla legalità” che in questi anni hanno dilagato nelle scuole di ogni ordine e grado ce ne sono parecchi che più o meno giustificano queste azioni e magari sono pronti a battersi contro la “repressione”. Ma nella formazione di un ragazzo sarebbe fondamentale veder sanzionare iniziative che feriscono gravemente la convivenza civile. E si potrebbero creare ogni giorno molte situazioni altamente educative solo facendo rispettare le leggi. Senza bisogno di docenti laureati e abilitati. Basterebbe un controllore che sull’autobus multa chi viaggia a sbafo; o un vigile che coglie in flagrante chi sporca la città; un comune che persegue con efficacia quei “writers” che alcuni sedicenti artisti difendono in nome della libertà d’espressione. Se poi ogni tanto qualcuno che non fa il suo dovere sul posto di lavoro venisse trattato con fermezza, non solo si renderebbe giustizia ai suoi colleghi seri, ma il mondo degli adulti apparirebbe ai giovani più degno di stima e di fiducia.

venerdì 14 novembre 2008

DOCENTI E MERITO: DUE PROPOSTE DI SARTORI

Con la chiarezza e l'essenzialità che gli sono proprie, il professor Sartori sintetizza le sue valutazioni sul lavoro della ministra Gelmini e propone due mosse per l'università.
Leggi.

giovedì 13 novembre 2008

TRE INCONTRI SULLA CRISI DELL'EDUCAZIONE

L'Istituto Superiore di Figline Valdarno (Firenze) ha organizzato un cliclo di tre incontri di grande interesse (per gli argomenti e per il livello dei relatori) rivolto ai genitori e agli insegnanti e intitolato Scuola e famiglia di fronte alla crisi dell'educazione, un tema decisivo per il futuro della nostra società e di quelle occidentali in generale.

Ecco il programma:

mercoledì 19 novembre 2008 - ore 15.30:

IL BULLISMO - Professor Michele ZAPPELLA, neuropsichiatra e docente universitario.

giovedì 4 dicembre 2008 - ore 21:

DIPENDENZE E DROGHE - Dottor Luca TEODORI, psichiatra e psicoterapeuta; Capitano Giovanni MENNELLA, comandante dei Carabinieri di
Figline Valdarno.

mercoledì 10 dicembre - ore 15:

LE DIFFERENZE DELLO STILE EDUCATIVO DEL PADRE E DELLA MADRE - Dottor Osvaldo POLI, psicologo e psicoterapeuta.

lunedì 10 novembre 2008

SARTORI: LE MALATTIE DELLA SCUOLA. PIRANI: PROTESTE E VERITÀ

Due firmatari dell'appello per il merito e la responsabilità nella scuola - dai noi promosso a primavera - fanno il punto della situazione sui problemi e i provvedimenti di cui si è discusso in questi ultimi tempi: Giovanni Sartori sul "Corriere della Sera", Mario Pirani su "La Repubblica".

venerdì 7 novembre 2008

DE BENEDETTI E RAMPINI: ABBIAMO BISOGNO DI UNA SCUOLA PIÙ SEVERA

Centomila punture di spillo, di Carlo De Benedetti e Federico Rampini, parla di come l'Italia "può tornare a correre". Una delle più preziose indicazioni che possiamo trarre - dicono gli autori - dallo straordinario sviluppo dei paesi asiatici (diversi dei quali sono ai vertici delle classifiche OCSE-Pisa) è che c'è uno stretto legame tra la serietà e il rigore della scuola e il progresso di queste società. Riusciremo a metterci in testa che una scuola di alto livello - di cui tutti sottolineano la necessità - non può che essere molto esigente?
Per garantire ai giovani un futuro migliore i papà e le mamme cinesi e indiani sono pronti a tutto. A tutto, meno che a screditare i professori. L'indulgenza scolastica non è di casa da queste parti, la meritocrazia è un principio indiscusso. La selezione negli studi è spietata e nessuno la mette in discussione, men che meno le famiglie. I genitori sono esigenti sul rendimento scolastico dei ragazzi, e il professore è una figura rispettata, severa, quasi sacrale. Chi ha messo piede in un'aula di scuola media, di liceo o di università in Asia sa che in quei luoghi regnano la disciplina, il rigore, il rispetto dell'autorità, la venerazione del sapere. Non perché gli insegnanti cinesi e indiani siano tutti premi Nobel, ma perché tutti sono d'accordo che il sistema funziona solo rispettando quelle regole. Se i genitori di Pechino o di New Delhi cominciassero a dare ragione ai figli contro i docenti, a invocare promozioni facili per tutti, il progresso economico, scientifico e tecnologico dell'Asia si fermerebbe molto presto. Nel tacito accordo che unisce genitori e insegnanti, in quella vasta area di tre miliardi di persone in corsa verso il benessere, c'è una lezione preziosa per noi.

(p. 271)

martedì 4 novembre 2008

LA "PEDAGOGIA DELL’INESISTENZA" : riflessioni sul ruolo dei docenti nei giorni delle occupazioni

di Andrea Perruccio

Quella che segue è la lettera che un insegnante di un Liceo fiorentino ha scritto ad alcuni suoi colleghi, a cui contesta una scarsa consapevolezza del loro ruolo di educatori e un’ambigua solidarietà con gli studenti.

Cari Colleghi,

di fronte alla richiesta di “collaborazione” e di “comprensione” che una parte degli studenti ha rivolto ai docenti del Liceo «Machiavelli», trovo fuorviante porre la discussione sul piano di un eccesso da evitare: “il protrarsi” dell’occupazione sarebbe per voi da scongiurare per le conseguenze che questa prova di forza comporterebbe, in termini di “disagio” fra studenti e di rischio di pregiudizio per il “diritto allo studio”. Chiedete per questo agli altri insegnanti un assenso alla proposta e alla condivisione di forme alternative “più proficue di mobilitazione”, da concordare con gli alunni in cambio dell’interruzione della protesta. Mi sembra che questa impostazione, centrata sull’assioma per cui i contenuti condivisi di un’occupazione la legittimerebbero ipso facto, sia capziosa, compiacente e incongrua.
E’ indubitabile che la natura e i modi dell’espressione delle proprie idee appartengano a una libera scelta di coscienza: ma gli adolescenti dovrebbero essere guidati, proprio nell’acquisizione e nell’affinamento degli strumenti di apertura al mondo e di partecipazione politica, da adulti che abbiano maturato una nitida, magari sofferta, percezione del confine fra ruolo professionale e pratica diretta di manifestazione del dissenso politico. Ora, in virtù di quale paradossale travisamento del proprio ruolo parecchi insegnanti hanno tollerato, se non condiviso, un comportamento illegale come l’occupazione? Quale bene comune viene promosso da una scuola che, dichiarandosi solidale “coi motivi della protesta”, minimizza la gravità di quel comportamento, lo rimuove tendenziosamente dal proprio orizzonte educativo e si limita a rimproverarne sommessamente “il protrarsi”?
A me non sembra coerente con la ragionevolezza di un’etica professionale, approvare un’azione illecita, compiuta da parte di minori durante il loro processo formativo, e nell’istituzione formativa per antonomasia… Sappiamo tutti quanto sia difficile per insegnanti adulti prendere le distanze dalla propria, soggettiva, interiore adolescenza: ma parecchi colleghi ne stanno abusando … Ma è un altro, e per me ben più significativo, il messaggio che sembra provenire dagli studenti, quando chiedono di aiutarli a trovare “altri” metodi, in caso di nostra non condivisione dell’occupazione. Ci chiedono di non abbandonarli: è un messaggio di solitudine.
Quelli di noi che sono anche genitori sanno bene come sia difficile educare l’adolescente a coesistere con la solitudine, ad accettare la propria interiorità, a dar voce alle angosce in modo da fortificarsi nella scoperta della propria fragilità. Ma una parte di noi percepisce soprattutto quanto sia deleteria ogni corriva semplificazione della complessità. In ambito educativo questo si traduce, per me, nel trascurare un valore che si colloca ben al di sopra sia del docente che del discente: la ricerca della verità di un sapere o di una competenza scolastica. E con questa rimozione viene attribuita a studenti, per di più addirittura mediante forme illegali, la finzione di un ruolo attivo e precoce nella partecipazione politica, ovvero la garanzia di visibilità (atroce termine in voga). Se questa non è manipolazione …
Che dire della solitudine oggettiva di un cittadino-consumatore? Fin dal progetto (quello sì!) coerente ed organico di smantellare quanto restava della scuola superiore italiana, coltivato dall’ineffabile accoppiata Berlinguer-Maragliano, i cascami del modello di scuola americana di massa hanno avviato qui da noi a forme di ‘consumismo’ di bassa lega il cliente-studente, fornendogli prodotti massificati e dequalificati, ma gradevoli e rassicuranti. Cosa c’è di più gradevole e rassicurante di un’occupazione avallata con tale leggerezza? Per non parlare di quei genitori che in non poche scuole italiane hanno “occupato” insieme ai loro figli, fulgido esempio di bislacca perversione parentale.
I nostri ragazzi risultano dunque appiattiti nella gretta dimensione del presente e dell’immediato, in sterile e distruttiva attesa di un futuro che si prospetta loro senza speranza d’investimento positivo. Spetterebbe invece a noi insegnanti fondare il nostro fine formativo proprio sulla continuità, sulla concentrazione, sulla tensione costruttiva delle abilità e dei saperi. Solo una scuola pacatamente separata, rispetto al mondo esterno (non certo asettica né impermeabile), è in grado di valorizzare quei percorsi di pazienza laboriosa che davvero scongiurino, nell’adolescente, tentazioni di efficientismo immediato, o, all’opposto, di evasione ludica e auto-annientamento consumistico. E’ stato detto efficacemente (se non sbaglio fin da Pasolini!) che una generazione da mordi e fuggi, abituata ad essere esaudita prima ancora d’aver dato nome all’oggetto desiderato, è una generazione non di cittadini, ma di spostati, di sudditi.
Accarezzando così le velleità studentesche di un illusorio protagonismo, ben lontana dall’esigere metodo e rigore, cedendo invece alla lusinga del dare e dire tutto e subito, la scuola abdica di fatto a se stessa, consegnandosi ad una mostruosa ideologia ‘democraticistica’, che, indebolendo strutture e ritmi formativi, finisce con l’attuare un classismo più feroce di quello censitario di un tempo: la scuola viene di fatto meno ad una reale funzione pubblica, la sola che consenta a ragazzi di famiglie deboli di superare limiti di partenza.
Per tutti questi motivi alcuni di noi, pur con difficoltà, stanno sperimentando un dialogo di tipo nuovo con le proprie classi. Cerchiamo di ricucire lo strappo tra chi occupa e chi è contrario; di incanalare in forme varie (cartaceo, rete, dibattiti) ragioni di legittimo dissenso, documentate ed argomentate, che corroborino la stessa protesta anti-governativa; di convincere i nostri studenti che devono poter comprendere (anche senza condividerle) le motivazioni della nostra richiesta di ‘indennizzo’ delle ore irresponsabilmente (non per colpa loro) perdute.
Mi sentirei di poter applicare a questa occupazione studentesca alcune recenti acquisizioni di Roberta De Monticelli proprio in tema di etica ed educazione. Tutte le volte che ci asteniamo, per comodità o per calcolo, dal pronunciare i “no che aiutano a crescere”, neghiamo di fatto una responsabilità individuale: al soggetto togliamo la libertà di rispondere della propria vita. Negando la responsabilità di un atto illegale, veniamo a mancare di rispetto, come insegnanti, proprio nei confronti di quegli “occupanti” che a loro modo affermano esistenza e libertà. La sanzione, anche la più blanda, ma comunque certa e concreta, implica che chi trasgredisce esiste ed è libero, perché ciò che fa ha conseguenze. Docenti che si riconoscano nel “sono con te, lotta per noi” (o che surrettiziamente lo facciano dire e mettere in pratica agli studenti, avallando un’occupazione illegale) inducono una conseguenza mortificante: “la tua azione non ha conseguenze, non sei neppure libero di trasgredire”. Alle tentazioni di questa pedagogia dell’inesistenza, che cancella la libertà del ragazzo in quanto irresponsabile, dovremmo sottrarci con maggior vigore.

Firenze, 28 ottobre 2008

domenica 2 novembre 2008

UNA LETTERA A GIAN ANTONIO STELLA (CON RISPOSTA) SU BERLINGUER ALFIERE DEL MERITO

La domanda è: il concorso “per lo sviluppo della professione docente” voluto da Luigi Berlinguer nel 1999 era davvero un tentativo di valorizzare il merito tra i docenti e di introdurre nella scuola italiana una seria forma di valutazione degli stessi?
Con una lettera a Liberal avevamo contestato questa tesi, in risposta ad una intervista
di Panebianco (vedi post dell’ 11 ottobre).
Sull’argomento è tornato Gian Antonio Stella con un articolo (“La caccia bipartisan ai consensi facili”) in cui sostiene che quello berlingueriano è stato l’ultimo tentativo di estirpare la cancrena egualitarista che blocca la scuola italiana e che per questo il ministro “fu fatto a pezzi”.
Qui di seguito la lettera che gli abbiamo scritto e la sua risposta, molto cortese ma sostanzialmente irremovibile nella convinzione che anche la nostra argomentata critica alle modalità e ai criteri di quella selezione nasconda in realtà il rifiuto pregiudiziale di qualsiasi valutazione degli insegnanti.


Gentilissimo dott. Stella,

nelle ultime settimane tre autorevolissimi commentatori, il prof. Panebianco in un intervista su Liberal, poi Lei sul Corriere della Sera di martedì, infine il prof. Sabbatucci sul Messaggero di oggi, hanno scritto dell’ex ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer come dell’unico che abbia provato, pagandone poi il prezzo, a introdurre nella scuola una logica di valorizzazione del merito.
Premetto di concordare sul fatto che le logiche (pseudo)egualitarie hanno fatto alla scuola danni enormi, tanto che faccio parte di un gruppo che ha scritto nella sua ragione sociale “per la scuola del merito e della responsabilità”. Ma quella di Berlinguer Santo protettore e martire della meritocrazia è una fama del tutto immeritata: sono tuttora convinto che la sua proposta non fosse in realtà una cosa seria. Come Lei ricorda quella proposta offriva ad una quota predeterminata di docenti “bravi” (il 20%) la possibilità di un incremento stipendiale, continuando a fare lo stesso identico mestiere di prima. A prescindere dal fatto che valutare chi è più bravo a insegnare è comunque una questione assai problematica e delicata, anche Lei concede – ma come se si trattasse di dettagli marginali – che la procedura e i criteri erano quanto meno discutibili. Infatti Riccardo Chiaberge sul Corriere la definì “un’avvilente lotteria”, dove assenteisti e fannulloni potevano fare Bingo e insegnanti preparati e rigorosi rimanere esclusi, essendo fra l’altro basata su una aleatoria prova a quiz e non essendo prevista alcuna valutazione della serietà e della correttezza professionale dei docenti.
Esclusa la Gilda, quel contratto fu sottoscritto da tutti i sindacati, incluso lo Snals: le “nettissime” dichiarazioni che Lei riporta furono un maldestro e tardivo tentativo di recuperare credito quando la protesta ormai dilagava.
Come oggi anche allora ero convinto che per valorizzare il merito bisognasse prima di tutto iniziare a colpire il demerito, che nella scuola era nel complesso circoscritto, ma che la classe politica non aveva alcuna intenzione di sanzionare e tutti i sindacati erano determinati a coprire. Nel nostro paese la prima vera valorizzazione dei meritevoli, almeno sul piano teorico, la si deve alla denuncia dei fannulloni di Pietro Ichino, che infatti con le sue prese di posizione si è “meritato” la scorta.
Con cordialità e stima,

Andrea Ragazzini
Gruppo di Firenze


Caro professore,
sul dovere come primo passo di colpire il demerito sono d’accordo, sul resto non del tutto. Sempre lì torniamo, all’obiezione di troppi sindacati e troppi insegnanti: chi mi giudica? Come può giudicarmi? In base a quali criteri?
In tutto il mondo, tranne le dittature dove giocano altri fattori, la risposta c’è già: ti giudica chi ti paga lo stipendio. E in quanto tale ha il diritto di farlo. Fine. Come il professore ha diritto a dare 4 o 8 in pagella perché fa il professore, così chi paga lo stipendio ha il diritto di giudicare chi lo riceve. Vale per i professori (sono figlio di insegnanti per parte di padre e di madre), per i giornalisti, gli idraulici, i metalmeccanici…
Certo, detta così è una posizione brutale. Ma il senso non può essere che questo, sennò non ne usciamo. Poi ti potrai battere per cambiare questo o quel criterio ma il fatto è che troppe volte da noi tutto ruota intorno alla vecchia canzone di Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare. E questo è inaccettabile.

Gian Antonio Stella