mercoledì 30 dicembre 2009

ARRIVANO LE COMPETENZE, UN'ALTRA TEGOLA PER LA SCUOLA ITALIANA

Sul sito dell’Associazione Docenti italiani si può leggere lo schema di decreto sulle competenze da acquisire al termine dell’obbligo. Vi si parla (per fortuna) solo delle competenze disciplinari e non di quelle “di cittadinanza” o “di base”, di fronte a cui gli amanti di questo genere letterario attingono l’acme della contorsione mentale, che a sua volta sfocia in un italiano impresentabile (un esempio prodotto da un gruppo di scuole fiorentine: "Segue ed è in grado di partecipare a processi collettivi di elaborazione di regole tenendo conto dell'ambiente, delle relazioni all’interno della comunità scolastica”).
Delle competenze come presunta chiave di volta della scuola abbiamo parlato più volte e ancora più spesso abbiamo dato la parola al professor Giorgio Israel, che sul punto è intervenuto con estrema severità, anche perché chi le magnifica sembra ignorare che il sapere e il saper fare sono da sempre parte, in diversa misura, di tutte le discipline. Infatti, scrive Israel, da sempre c’è “la consapevolezza che conoscere concetti non vuol dir niente se non si sa farne uso fino a riuscire a metterli in opera per risolvere problemi complicati”. Altrimenti, “si introduce l’idea assurda che l’acquisizione assolutamente passiva di concetti sia una forma di conoscenza”. Aggiungiamo che la misurazione delle competenze è difficilissima, come ammettono gli stessi esperti, i quali per giunta non sono neppure d’accordo sulla loro definizione (naturalmente, se per competenza ci si limitasse a intendere un saper fare direttamente legato a una professione - cosa sa fare un cuoco, cosa sa fare un elettricista - la cosa avrebbe senso).
Infine, l’insistenza sulle competenze si accompagna spesso alla svalutazione delle conoscenze disciplinari, viste come nozionismo o astrazione estranea alle nuove generazioni di “nativi digitali”. Accenniamo di sfuggita, solo per completare il quadro, al moltiplicarsi e sovrapporsi di terminologie affini (quali “abilità”,“capacità” e,appunto, “competenza”), del tutto ininfluenti sull’efficacia didattica.
Per il momento invitiamo i frequentatori del blog a dirci cosa ne pensano dopo aver letto l’elenco fissato dal ministero, che per lo meno è relativamente breve (e quindi non soddisferà molti pedagogisti) e limitiamoci a una previsione dettata dall’esperienza: la maggioranza dei colleghi considererà l’innovazione come l’ennesima, irritante e cervellotica imposizione dall’alto e cercherà di sbrigarla alla meno peggio e nel minor tempo possibile, come è accaduto in questi anni di “sperimentazione” (tra virgolette, perché non risulta che sia stato fatto un rilevamento di quello che ne pensano i docenti). Naturalmente questo si tradurrà in perdite di tempo e in ulteriore demotivazione e disorientamento, anche per il fatto di trovarsi a maneggiare due diverse scale di valutazione: i voti da 0 a 10 per le materie e i tre livelli più il “non raggiunto” utilizzato per le competenze. Ma nella scuola italiana, in cui l’esperienza non insegna, si fa così: si impongono degli obbiettivi finali nell’illusione che questo trasformerà a ritroso il modo di insegnare.
Possiamo dunque ragionevolmente concludere che l'introduzione delle competenze risulterà sia inutile che dannosa.
Quanto ai dettagli del modello proposto, alcuni dei quali francamente indecifrabili, converrà tornarci con una nota apposita.

GR

2 commenti:

Papik.f ha detto...

Un primo commento esauriente sarebbe possibile utilizzando l’espressione preferita di Nero Wolfe: “Pfui!” e finendola lì.
Ma proviamo ad approfondire, immaginando cosa potrà accadere in una situazione concreta. Prendiamo per esempio una delle competenze di base: “Utilizzare gli strumenti di base per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario”. In sede di scrutinio, o subito dopo, quando si dovrà espletare il dovere della compilazione, davanti all’ansia da prestazione che questo genere di richieste mira a scatenare in ogni docente, qualcuno, magari il dirigente scolastico, tirerà fuori una griglia con delle fasce, per cui se l’alunno ha, poniamo, sei in Italiano e sette in Storia dell’arte, gli sarà attribuito il livello intermedio. Ciò naturalmente avverrà a posteriori, senza minimamente modificare il comportamento del docente nella programmazione, nel suo svolgimento e nella valutazione; a parte, forse, il costringerlo,a partire dall’anno successivo, a inserire nel documento di programmazione iniziale alcune frasi meramente rituali che saranno anch’esse desunte da appositi formulari in possesso dei colleghi più addentro alle segrete cose (“Me lo fai vedere? Posso fare una fotocopia? Anzi, perché non fai una copia per tutti?”).
Con la formulazione di questa “competenza”, però, si sarà surrettiziamente introdotta una concezione di fondo secondo la quale: a. la lettura di un’opera storico-artistica rientra nell’“asse dei linguaggi”; b. tale attività è interamente riconducibile all’aspetto degli “altri linguaggi” (rispetto a quello verbale); c. è, anzi, sovrapponibile a quelle per la comprensione di un’opera letteraria, altrimenti, non si potrebbe accettare in alcun modo la formulazione proposta e i docenti dovrebbero rifiutarsi di compilare la scheda (sottraendosi, così, a un “ben preciso dovere d’ufficio”). Con il che, si sarà finalmente posto fine a superflue discussioni sul valore e sul significato dell’espressione visiva e figurativa, a inutili dubbi sul fatto che essa costituisca o no un linguaggio in senso proprio e sulla centralità (anzi, unicità) di questo (eventuale) aspetto linguistico per la relativa didattica. Si sarà così contribuito ad affermare, inoltre, come dovranno svolgersi le cose nella scuola del radioso avvenire: se un docente può insegnare la grammatica italiana, dovrà bene saper insegnare anche la grammatica inglese o francese o tedesca, non è pur sempre grammatica? e se opera nel campo dei linguaggi verbali potrà operare anche nel campo di quelli visivi e, perché no, musicali; sempre di linguaggi si tratta, no?
Non mi dilungo, anche perché fuoriescono dal mio campo di competenza specifica, sulle osservazioni analoghe che certo potrebbero farsi a proposito di altre formulazioni proposte dal documento. Tralascio anche ogni riferimento al socialismo reale alla Zdanov, o al “Grande Fratello” nel senso orwelliano, cui sempre mi fa pensare questa volontà di certificare e documentare in carta bollata quali strade, allo sventurato individuo uscito dalla macchina della formazione, è o non è consentito di voler tentare: ma resteranno pur sempre i test d’ingresso delle varie Facoltà universitarie a sparigliare le carte entro questo processo, continuando a modificare e spesso a ribaltare, come già adesso avviene, le indicazioni valutative della scuola secondaria.
In ogni modo, l’obiettivo di fondo pare a me sempre il solito: la riduzione della scuola, nei suoi diversi ordini e gradi, a un’istruzione primaria ampliata nella quale, per i docenti, conti solo la formazione pedagogica e i contenuti disciplinari possano slittare da una materia all’altra, da un ambito all’altro, indifferentemente.

Anonimo ha detto...

Ha ragione Papik: quando la Dirigente ci chiese, al tempo del ministro Fioroni, di analizzare le competenze previste per i diversi "assi culturali" le considerammo un puro esercizio di retorica e il "Pfui" di fatto fu l'unico commento.Abbiamo,ingenuamente, sperato che il cambio al vertice del ministero avrebbe seppellito nel dimenticatoio queste incredibili contorsioni mentali e che i saggi suggerimenti del prof Israel avrebbero portato a ripensare completamente la certificazione delle "competenze". Con grande esultanza dell'ADi (consiglio attenta lettura del commento di Tiziana Pedrizzi)invece, siamo arrivati all'introduzione della certificazione. Così, nel mio liceo scientifico, al termine di un biennio che prevede l'insegnamento delle scienze solo nel secondo anno per sole due ore settimanali (e con ciò si esaurisce l'intero asse scientifico- tecnologico!!!)arriveremo a certificare che un adolescente ,di 15 anni è in grado, a diversi livelli, di " analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale (?) e riconoscere i concetti di sistema e di complessità- analizzare qualitativamente e quantitativamente(?) fenomeni legati alle traformazioni dell'energia ....- essere consapevole delle potenzialità e dei limiti delle tecnologie nel contesto culturale e sociale". Faccio una previsione: tutto resterà come sempre e, se saremo obbligati a certificare il falso, ci rassegneremo ad apporre accanto a queste voci una valutazione del livello, coerente con il voto di scrutino. Anna