mercoledì 16 giugno 2010

FORMAZIONE PROFESSIONALE E FUTURO DEI GIOVANI

I numerosi interventi sul blog relativi al tema della formazione professionale, unitamente al documento di alcuni presidi di istituti professionali toscani, mi stimolano ad una ulteriore riflessione sull’argomento.
Alcuni degli interventi e questo documento rifiutano decisamente il canale della formazione come idoneo all’assolvimento dell’obbligo scolastico, accanto a quello dell’istruzione. Si tende ad affidare a provvedimenti di carattere didattico-organizzativo il compito, non dico di risolvere, ma senz’altro di far rientrare in una situazione almeno fisiologica i drammatici problemi degli istituti professionali. Saranno cioè le didattiche laboratoriali, i tutor, i mentoring, le peer-education e l’aumento di qualche ora di laboratorio a far rientrare gran parte di questi problemi.
Penso che nei tempi lunghi tutta questa serie di innovazioni (in parte già in atto in molti progetti di varie scuole) possa senz’altro migliorare la qualità della didattica e incidere sul dramma dell’altissimo tasso di bocciature e di evasione scolastica; ma non in maniera sostanziale, come purtroppo mi conferma l’esperienza diretta. A portata di mano, invece, abbiamo i dati inequivocabili di quelle regioni italiane e di quei paesi europei in cui la formazione professionale ha dignità pari a quella dell’istruzione e dai quali risulta che l’insuccesso scolastico e formativo rimane al di sotto della soglia del dieci per cento.
Ho terminato proprio in questi giorni molti scrutini di prime e seconde classi ove si applica quasi esclusivamente la didattica laboratoriale, e dove sono presenti orientatori, percorsi individualizzati e tutor. E i risultati confermano, malgrado tali accorgimenti, tassi di bocciatura e di evasione scolastica inaccettabili.
Ebbene, da anni mi sento letteralmente sconvolto di fronte a questi dati, anche perché conosco bene i ragazzi che incontrano le più serie difficoltà e so che gran parte di loro, quando si misurano con attività pratiche, diventano altri rispetto a quello che normalmente appaiono. In realtà, mi verrebbe da dire, proprio in quelle circostanze diventano loro stessi, manifestano quanto di più vero abbiano dentro di sé: interesse e spesso passione per quello che in quei momenti si trovano a fare, e attraverso tutto ciò si avverte che iniziano finalmente ad avere interesse e passione per la vita e per le istituzioni, per prima la scuola.
Invece, quando sono tra i banchi, anche di fronte al più bravo e appassionato dei docenti, è evidente la loro frustrazione e il loro disagio perché privi di attese, se non quella di arrivare ai sedici anni per poter abbandonare la scuola. Non dimentichiamo, poi, un altro aspetto importantissimo di questa situazione: in molte classi gran parte delle ore di lezione sono letteralmente perse a causa del comportamento di molti studenti, che si esprime, nella migliore delle condizioni, attraverso disturbi continui alle lezioni. Capita spesso che in un’ora l’insegnante riesca lavorare a mala pena per una decina di minuti, con i conseguenti disastrosi danni per quegli studenti che, insieme alle loro famiglie, hanno legittime aspettative e motivazioni per la scuola. Scuola che, a differenza di molti loro compagni, questi ultimi hanno scelto per convinzione e non perché, peraltro ingiustamente, ritenuta la più facile.
Ho letto molti interventi e documenti sull’istruzione professionale e mai, ribadisco mai, ho trovato qualcuno che si preoccupi dei più bravi e dei più motivati, di quelli che dall’istruzione si aspettano di ricevere il meglio che essa dovrebbe essere in grado di offrire! Che tristezza, che senso d’ingiustizia mi assale quando famiglie povere o scarsamente scolarizzate, timorose e intimidite dalla loro condizione, che però contano sulla scuola per cambiare il destino dei loro figli, accettano remissive quello che accade, guardandosi bene dal protestare per ottenere ciò che lo Stato dovrebbe loro garantire: ore di scuola, non dolorosi frammenti di ore. Se certe dinamiche accadessero nei licei, se anche in questi indirizzi (i problemi dei professionali si stanno rapidamente estendendo anche ai Tecnici) diventasse arduo svolgere le lezioni perché frequentati da ragazzi demotivati e interessati ad altro, cosa accadrebbe? Ma sappiamo, in un Paese in cui il merito è un diritto da rivendicare solo se riguarda se stessi, della sorte dei poveri ci si interessa spesso per questioni di principio e non con senso di sano realismo e vera volontà di cambiare in meglio la loro vita. La scelta della regione Toscana e di chi la sostiene mi sembra tutta compresa nell’innegabile alto valore morale che il modello contiene, senza preoccuparsi, però, della realtà effettuale che una scelta del genere viene a determinare. Aggravante non da poco per la regione che ha dato i natali a Machiavelli.
Nelle classi prime si può sfiorare e superare il cinquanta per cento di bocciati? Nelle seconde si sfiora il venti per cento? Ai ragazzi interessati e motivati è di fatto vietato il diritto allo studio? “Indietro non si torna!” è la risposta che più volte mi è stata offerta, più o meno garbatamente, da chi non pensa affatto che possano avere successo anche altri modelli culturali nella formazione dei giovani; salvo poi sentire alcune di queste stesse persone sciacquarsi la bocca nei convegni sui meriti di Gardner e sull’importanza di valorizzare le disposizioni personali dei ragazzi.
Una delle accuse più scontate che viene rivolta a chi, come noi del Gruppo di Firenze, vorrebbe ridare prestigio e dignità alla formazione professionale, è che si vorrebbe tornare al passato, agli anni sessanta o giù di lì, quando questa opzione rappresentava un destino definitivo per i ragazzi più poveri da preparare al lavoro. Purtroppo, ancora oggi, molti si pongono di fronte al passato con una certa reverenza nei confronti dell’ideologia di appartenenza, senza però neanche provare a fare quello che il passato ci chiede, cioè d’essere quanto più possibile capaci di ricostruirlo, fin quasi a riviverlo e a sentirsi parte di esso. Negli anni sessanta e anche prima, i centri di formazione professionale furono scuole che preparavano a un lavoro specializzato, e perciò più dignitoso, gran parte dei figli dei contadini e degli operai [1]; ed in virtù di quella formazione moltissimi seppero riscattarsi da un retroterra più vicino al medioevo che alla modernità. Viene da pensare che la celebrazione esclusiva della figura di don Milani abbia oscurato gli altissimi meriti che in quegli stessi anni vanno riconosciuti a centinaia di migliaia di educatori, senza che questi, peraltro, avessero a disposizione quei personaggi potenti e ben introdotti a cui don Milani affidava e raccomandava i suoi ragazzi. Detto per inciso, la raccomandazione a fin di bene è un costume italiano trasversale e pertanto non degno di essere condannato...
Ma torniamo alla storia (e la cosa potrebbe riguardare la lettura che si è prevalentemente data in questi anni dello stesso don Milani). Quando ci rivolgiamo ad essa sotto la pressione dei nostri sentimenti, si finisce per allontanarci irrimediabilmente dal senso di realtà e a volere il passato piegato eternamente al presente, a quello che a noi piace che sia.
Che laboratori di creatività, di attese e di crescita civile furono i Centri di formazione professionale degli anni cinquanta e sessanta! Nessuno vuol tornare a quegli anni, ci mancherebbe altro, ma rispettiamoli e leggiamoli per quello che furono in grado di dare. Innanzitutto grandi speranze e un futuro migliore ai ragazzi di allora: quelle speranze e quel futuro migliore che la scuola di oggi, nuova, moderna e riformata spesso non è in grado assolutamente di dare.

Valerio Vagnoli

[1] Possibile che nessuno ricordi i meriti, tanto per fare un esempio a noi vicino, del Villaggio artigiano di Signa o dei tanti centri di formazione professionale pubblici e religiosi sparsi un po’ in tutta l’Italia?

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Maurizio Sacconi e Mariastella Gelmini

Paolo ha detto...

La formazione professionale? ma lasciamola alle regioni più arretrate del paese: Trentino, Lombardia, Piemonte, Veneto Friuli.

Anonimo ha detto...

I REGOLAMENTI SULLA SCUOLA SUPERIORE RESTANO ILLEGITTIMI

Anonimo ha detto...

Prof. Rendine Agrippino
Caro professore Valerio Vagnoli io la definisco un grande,lei ha evidenziato tutti i problemi dell’istruzione Professionale,con molta chiarezza e professionalità.
Solo il vostro gruppo può cercare di contrastare questa riforma.

Anonimo ha detto...

Rendine Agrippino
Prof.Valerio Vagnoli
vorrei che lei,esaminasse l'ultimo
commento, sul mio documento.

Valerio Vagnoli ha detto...

Gentilissimo Professor Agrippino, innanzitutto grazie davvero e con un po' di sincera commozione. La informo che insieme al Gruppo torneremo sull'argomento, facendo riferimento anche ai passi più significativi della sua lettera che ben centra i problemi più urgenti legati a come in questo Paese, di solito, si tratta la formazione formazione professionale.
A proposito della sua ultima riflessione presente nel commento al precedente articolo, concordo pienamente con quello che scrive. La riforma rischia di cancellare l'identità di quasi tutti gli indirizzi dei professionale, forse si salva quello alberghiero, l'unico che mantiene una sua specificità e che non trova concorrenza in un similare indirizzo tecnico. Per integrare la riforma dei professionali in senso migliorativo, urge che le regioni si diano da fare per rafforzare proprio la formazione professionale, anche in virtù di ciò che la legge offre loro su un piatto d'argento: potere esclusivo in merito, appunto, alla formazione professionale. Ne avranno la forza? saranno frenate dal ritenere una valorizzazione del genere come un ritorno al passato? saranno in grado di dirottare verso il settore della formazione congrue risorse economiche? sapranno essere attente alla realtà e agli interessi dei ragazzi?
Io credo che a lei ci accomuni( parlo a nome del Gruppo, ovviamente) non solo la stessa visione della formazione professionale, ma anche un certo senso di follia che non ci fa rinunciare a credere che la forza delle idee oneste, prima o poi, smuova anche i più restii a confrontarsi con chi la pensa diversamente da loro . Un caro saluto anche ai suoi studenti, Valerio Vagnoli