venerdì 10 dicembre 2010

QUEI PASSATISTI DI SHANGHAI IN TESTA ALLE CLASSIFICHE OCSE-PISA

Quando nel marzo 2008 fu presentato l’appello bipartisan “Scuola: un partito del merito e della responsabilità”, promotori e firmatari[1] furono bollati come “laudatores temporis acti” dall’ex ministro Berlinguer, mentre Andrea Ranieri, allora responsabile scuola del PD, dichiarò: “Ben vengano gli appelli al merito e alla responsabilità, purché non fatti con la testa rivolta all’indietro” (peccato, però, che quelli voltati dalla parte giusta non ne avessero mai fatto parola). Anche se negli ultimi anni le ragioni di una scuola più seria e rigorosa hanno indubbiamente avuto più ascolto nell’opinione pubblica, è ancora forte - e abbastanza trasversale - l’idea che tutto si risolva con una didattica più “moderna” e coinvolgente, largamente “laboratoriale”, che si ricordi di avere di fronte dei “nativi digitali” e via discorrendo. Contro gli ormai numerosi e documentati richiami degli psicologi ai danni arrecati dalla mancanza di fermezza (a casa e a scuola, ma anche nella società nel suo insieme), si continua a vedere l’ombra dell’autoritarismo perfino nel richiamo al rispetto delle regole; e non parliamo del sistematico rifiuto della sanzione in nome del “dialogo”.
Tuttavia i dati dell’indagine Ocse-Pisa del 2009 sembrano smentire ogni facile ricetta pedagogica e confermare invece la necessità di una scuola più esigente sia sul piano dell’impegno e dei risultati che su quello del comportamento. Nel novero delle nazioni più virtuose figurano infatti Cina (Shanghai e Hong Kong), Corea, Giappone, Singapore. E non solo perché dedicano da anni grandi risorse all’istruzione, ma anche perché nelle aule di quei paesi, come scrive Federico Rampini in uno dei suoi libri, “regnano la disciplina, il rigore, il rispetto dell'autorità, la venerazione del sapere”[2].
Il “Corriere della Sera” di ieri dedica un servizio al “primo della classe”, il sistema scolastico di Shanghai, sottolineando la perdurante influenza del confucianesimo. Forse si tratta di un “Made in China” che conviene, se non importare pari pari, quanto meno studiare attentamente.
Sullo stesso quotidiano, Giovanni Belardelli avverte che proprio in molti “moderni” studenti “digitali” si sta atrofizzando la capacità di ragionare.

GR

[1] In ordine di adesione: Mario PIRANI, Giovanni BELARDELLI, Giulio FERRONI, Ernesto GALLI DELLA LOGGIA, Giorgio ISRAEL, Lucio RUSSO, Sergio GIVONE, Salvatore VECA, Sebastiano VASSALLI, Giorgio DE RIENZO, Aldo SCHIAVONE, Gian Luigi BECCARIA, Giovanni SARTORI, Remo BODEI, Piero CRAVERI, Giorgio ALLULLI.

[2] da Centomila punture di spillo di Federico Rampini e Carlo De Benedetti

5 commenti:

Anonimo ha detto...

La capacità di ragionare si sta atrofizzando anche in molti adulti che ritengono normale tenere in classe una ragazzina musulmana con le cuffie durante l'ora di musica perchè il padre è integralista.

Giorgio Ragazzini ha detto...

Sullo stesso argomento,da leggere il convergente parere di Giorgio Israel sul "Giornale" di ieri:

http://gisrael.blogspot.com/2010/12/il-sistema-dellistruzione-e-le.html

Antonio ha detto...

L'assessore all'istruzione della provincia insiste col dialogo. Si dialoghi con i ragazzi che occupano, si dialoghi con gli integralisti, si dialoghi con chiunque, anche con chi si oppone al dialogo imponendo alla figlia le cuffie e con la scuola che in nome del dialogo glielo permette. Per certa gente il dialogo viene prima del rispetto della legge che evidentemente è disprezzata anche da chi dovrebbe rappresentarla e farla rispettare!

Oscar Guidi ha detto...

Consentitemi di esprimervi la mia IMMENSA gratitudine per il discorso che
portate avanti sull'esigenza di serietà, e disciplina, nella scuola.
Il recupero della nostra dignità di insegnanti (ma direi anche di adulti
in quanto tali, e di genitori) non può che passare da qui.
Con entusiasmo. Oscar Guidi

Roberto Riviello ha detto...

I dati Ocse-Pisa certificano matematicamente quello che già si sapeva da un pezzo ed era sotto gli occhi di tutti: ovvero che gli studenti cinesi e giapponesi raggiungono risultati migliori dei nostri perché sono positivamente
influenzati dalla cultura confuciana, che è un' etica ed un sistema di valori, più che una religione in senso stretto. Ma se provassimo a tradurre il termine
"confucianesimo" nella nostra lingua e nella nostra storia? Verrebbe da dire che quegli stessi valori confuciani, spiegati da Rampini nel libro citato,
esistevano ed erano punti di riferimento anche da noi, in modo condiviso, a partire dalla cultura liberale per poi proseguire nel cattolicesimo popolare e
nel socialismo riformista. Ma poi venne il ben noto '68 con il ribellismo, la contestazione a priori, l' immaginazione al potere, il sei politico.
Purtroppo, mentre in Francia e negli Stati Uniti l' onda si esaurì naturalmente dopo pochi mesi, in Italia la pseudocultura sessantottina si è radicata in molte redazioni giornalistiche, case editrici, assessorati alla
pubblica istruzione e, soprattutto, nel mondo della scuola, producendo danni
immensi che ben conosciamo e che le ricerche dimostrano. Le resistenze viscerali di gran parte degli insegnanti nei confronti di ogni tentativo di riforma della scuola in senso meritocratico (Berlinguer ieri, oggi la Gelmini,
domani chissà) testimoniano proprio questo: i figli del sei politico sono passati dai banchi alle cattedre.
Cordiali saluti,
Roberto Riviello