lunedì 19 agosto 2013

SCUOLA DI MASSA E SCUOLA DI CULTURA

In attesa di leggere il libro di Adolfo Scotto di Luzio, La scuola che vorrei, godiamo della bella recensione che sul “Corriere della Sera” di oggi ne fa Ernesto Galli della Loggia. Quest’ultimo si identifica totalmente nelle tesi del libro e soprattutto del fallimento della nostra scuola di massa: aver gettato a mare il meglio della nostra tradizione scolastica  che aveva avuto il suo fulcro nell’essere innanzitutto scuola di cultura. Cioè scuola di qualità attenta ai contenuti piuttosto che soltanto alle metodologie (pure importanti) e soprattutto capace di dare ai ragazzi il senso di appartenenza ad una  comune civiltà  in continua evoluzione e in continua costruzione del “ senso di noi”. Un senso di noi che, a mio parere, è drammaticamente assente nella scuola italiana di ogni ordine e grado;  dove, appunto, dominano le dogmatiche teorie “applicative” dei vari sistemi didattici e pedagogici che per moda si alternano a discapito di contenuti certi e  comuni. 
Per esempio, in base alla mia esperienza pluridecennale di presidente di commissioni d’esame nelle scuole superiori, posso testimoniare che da una ventina d’anni non ho più il piacere di assistere ad orali in cui si parli di Dante, Foscolo, Leopardi o di Manzoni, “accortamente” studiati in quarta, se studiati. Né mi sembra abbia senso sottoporre a una quantità esosa di discipline gli studenti degli istituti tecnici e professionali, che dovrebbero invece concentrarsi su poche materie per approfondirle veramente, come è tipico di una didattica di impostazione umanistica e realmente legata alle nostre  radici culturali. La differenza tra i vecchi maestri di bottega e una moderna formazione professionale dovrebbe consistere soprattutto nel dare la possibilità agli studenti di studiare e contestualizzare le materie professionali in una dimensione storica e artistica: cosa che naturalmente nelle nostre scuole è lontana dal realizzarsi. D’altra parte se nelle scuole pubbliche si può insegnare quello che si vuole, che senso ha curarsi della preparazione dei docenti? E chi si è preoccupato negli ultimi decenni (sottolineo: decenni!) di selezionare dei docenti colti, meritevoli e motivati?
Per Scotto di Luzio e Della Loggia una scuola come la nostra sarà sempre più disertata dalle élite, mentre penalizzerà sempre più le classi meno abbienti,  in quanto, derubricata  a ente gestore di moltitudini in cui gli studenti “sono indotti sempre più a concepire  l’istruzione  come uno specifico, individuale percorso, aperto a molteplici esperienze di vita”,  non potrà permettere ai capaci e meritevoli di accedere, come invece meriterebbero, ai livelli più alti della società.   
Come Gruppo di Firenze ci auguriamo  che questo libro possa rimettere in primo piano il ruolo primario della scuola, quello di affidare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale come base indispensabile  anche della propria riuscita individuale. Per questo è necessario che alla scuola si guardi finalmente con quel realismo critico che è alla base della nostra cultura idealista, pragmatica e anche gramsciana. Invece coloro che hanno avuto in mano le leve del potere scolastico e culturale hanno in genere preferito fare scelte ideologiche e alla moda, anche perché meno impegnative per chi spesso si è trovato a gestirle, quelle leve, per “meriti” di militanza politica e di fedeltà ai partiti, senza avere la preparazione e la vocazione necessarie: quella di essere “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”. (VV)

9 commenti:

V.P. ha detto...

La scuola democratica è una chimera?

di O.N. tuttoscuola.com – 19 agosto 2013

La tranquillità sonnacchiosa della lunga sospensione estiva delle attività scolastiche, ma anche del dibattito sulla scuola, è stata interrotta, domenica scorsa, dall’ampia e anche un po’ provocatoria recensione che Ernesto Galli della Loggia ha dedicato, sulla pagina “Cultura” del Corriere della Sera, al recente saggio dello storico Adolfo Scotto di Luzio “La scuola che vorrei”, edito da Bruno Mondadori.

La tesi dell’autore, sostanzialmente condivisa dal recensore, è che l’istruzione “democratica” è un’illusione, e anche pericolosa, perché l’obiettivo del superamento della scuola e della cultura di élite che avevano caratterizzato la selettiva ma ugualitaria scuola pubblica tradizionale (quella gentiliana, per intenderci) ha di fatto prodotto “la fortissima penalizzazione delle classi meno abbienti, alla cui formazione e progresso sociale la scuola, ormai, serve poco o nulla”.

Sul banco degli accusati stanno in pratica tutte le idee guida che hanno ispirato le politiche scolastiche degli ultimi decenni, da quella della partecipazione a quella dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, dalla flessibilità/personalizzazione dei percorsi individuali alla “illusione di una possibile configurazione e gestione di tipo aziendal-privatistica dei singoli istituti scolastici”.

A differenza di Scotto di Luzio, che analizza la progressiva decadenza della scuola italiana con toni di disincantato pessimismo, Galli della Loggia conclude la sua riflessione con una domanda che lascia aperta la speranza di poter invertire quella che sembra una inarrestabile tendenza al declino: “Non è giunta l’ora di chiederci tutti”, scrive l’editorialista del Corriere, “in una grande discussione politico-pubblica, come e perché è accaduto questo disastro? E dunque come porvi rimedio?”.

Sull’analisi sviluppata da Scotto di Luzio si possono avanzare riserve o condurre approfondimenti (il modello della scuola gentiliana non avrebbe potuto in alcun modo reggere la sfida della scuola di massa), ma la domanda finale posta da Galli è condivisibile, e Tuttoscuola non mancherà di dare il suo contributo all’auspicato dibattito pubblico.

http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=31460

V.P. ha detto...

Anch’io «Non credo che ci siano molte probabilità che il libro di Adolfo Scotto di Luzio, “La scuola che vorrei” (Bruno Mondadori, pp. XX-122, € 15), venga letto dal ministro Carrozza», come esordisce Ernesto Galli della Loggia nel suo articolo di commento.

Come non credo che lo stesso ministro abbia letto il seguente memorandum di Cittadinanzattiva dal titolo identico “La scuola che vorrei”.

"La scuola che vorrei", un memorandum per la Commissione Cultura

di Cittadinanzattiva – 30 maggio 2013

Ufficio stampa Cittadinanzattiva onlus - Cittadinanzattiva consegna memorandum “La scuola che vorrei” alla Commissione Cultura della Camera e chiede impegni precisi su mappatura delle scuole, 8 per mille alla edilizia scolastica, nuovi spazi per l’educazione civica.
Cittadinanzattiva ha consegnato oggi al Presidente e ai capigruppo della Commissione Cultura della Camera il Memorandum “La scuola che vorrei”, otto proposte per il futuro della scuola e dei giovani studenti nel nostro Paese, già votate da 108 scuole di 18 regioni in un solo mese dall’avvio del sondaggio disponibile sul sito web www.cittadinanzattiva.it.
Ecco le otto proposte:
• Completare l’anagrafe dell’edilizia scolastica entro il 2013 e realizzare sopralluoghi tecnici nelle scuole durante la pausa estiva per verificarne le condizioni.
• Diffondere la cultura della sicurezza nelle scuole e sul territorio, istituendo il Responsabile studenti per la sicurezza e vincolando le amministrazioni comunali ad attuare i Piani comunali di emergenza.
• Investire fondi sull’edilizia scolastica, programmando un piano decennale, concertato tra Stato ed enti locali; destinandole l’8 per mille per la parte di competenza statale; affidando gli interventi di piccola manutenzione direttamente agli istituti scolastici.
• Abbattere le barriere architettoniche e non solo che rendono difficile, e a volte impossibile, la la vita scolastica per gli alunni con disabilità.
• Investire sul benessere e la salute a scuola, recuperando spazi verdi e cortili, costruendo nuove palestre, incrementando le campagne informative sui corretti stili di vita, approvando una normativa specifica per la somministrazione dei farmaci a scuola.
• Rilanciare l ’educazione civica nelle scuole e ridare spazi e fondi al servizio civile volontario.
• Riconoscere la cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia o giunti nel nostro Paese da piccoli e favorire l’integrazione degli alunni stranieri.
• Digitalizzare le scuole, ripensando gli spazi anche fisici di apprendimento e prevedendo percorsi formativi obbligatori per gli insegnanti.
“Su questi temi chiediamo impegni precisi e concreti da parte della Commissione. Innanzitutto chiediamo al Presidente e ai capigruppo di farsi promotori di una interpellanza su quella che definiamo l’eterna incompiuta, ossia l’Anagrafe e la Mappatura dell’edilizia scolastica. Inoltre auspichiamo che i membri della Commissione portino avanti la discussione sui disegni di legge per l’assegnazione alla edilizia scolastica della parte ci competenza statale dell’8 per mille. Ed ancora che si facciano promotori di un atto di indirizzo per il rilancio nelle scuole di una nuova educazione civica intesa come spazio e non materia curriculare, in cui sia possibile ai giovani acquisire competenze ed impegnarsi direttamente nella vita pubblica non solo scolastica”*, ha affermato Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale della scuola di Cittadinanzattiva.

SEGUE

V.P. ha detto...

SEGUITO

Cosa chiedono le scuole
Il sondaggio è stato aperto lo scorso 23 aprile sul sito web di Cittadinanzattiva e rimarrà attivo almeno fino a novembre. E’ stato votato ad oggi da 108 scuole di 18 regioni (tutte ad eccezione di Basilicata e Valle d’Aosta).
Hanno risposto studenti (55%), genitori (23%), insegnanti (20%). Un quarto (26% per la precisione) chiede fondi adeguati per la messa in sicurezza delle scuole, il 23% chiede di recuperare spazi verdi, cortili e palestre, il 20% vorrebbe mappatura e controlli costanti nelle scuole per valutarne la sicurezza, il 14% chiede di potenziare la scuola 2.0, l’11% di rilanciare la nuova educazione civica.
Diverse le priorità indicate da genitori, studenti ed insegnanti: la stragrande maggioranza dei primi (89%) considera urgente la mappatura e il controllo degli edifici scolastici; uno studente su due (49%) indica prioritario lo stanziamento di fondi per la messa in sicurezza, quasi uno su quattro (23%) chiede spazi verdi, cortili e palestre nelle scuole, e uno su cinque (20%) vorrebbe una nuova educazione civica; fra gli insegnanti prevale, invece, la richiesta di potenziare la scuola digitale (50% del campione) e il recupero degli spazi verdi (il restante 50%).

L’impegno di Cittadinanzattiva per la scuola
In corso il monitoraggio di circa 250 edifici scolastici in tutta Italia per valutarne il livello di sicurezza, qualità e comfort, nonché la presenza di barriere architettoniche e non solo.
Il 18 settembre i dati del monitoraggio saranno presentati nell’XI Rapporto nazionale.
In corso la campagna “Assente ingiustificato”, con cui volontari di Cittadinanzattiva e Uildm (Unione italiana Lotta alla Distrofia muscolare) stanno monitorando la presenza di barriere architettoniche negli istituti scolastici e procederanno all’abbattimento concreto di alcune barriere fra novembre e dicembre.

a.p ha detto...

Eterno dilemma dover far coincidere quantità e qualità. Nessun paese al mondo c'è riuscito. Se siete in gradi di farlo voi, benvenuti. Diteci però come fare.

Andrea Ragazzini ha detto...

Salta agli occhi che nelle otto proposte del Memorandum di Cittadinanza Attiva, tutte cose in gran parte senz'altro necessarie, manca del tutto la dimensione culturale. Mi pare di capire che la lettura dell'omonimo libro di Scotto di Luzio possa stimolare in proposito delle utili riflessioni.

Enrico D. ha detto...

Coniugare quantità e qualità non è certo facile. Purtroppo negli ultimi decenni è stato notevole l'impegno a NON farle coincidere.

VV ha detto...

Devo dire che il GdF ce la mette tutta per cercare di conciliare le due istanze che non è detto debbano continuare ad essere per sempre tra loro dicotomiche. Noi, almeno, non lo diamo per scontato.

Papik.f ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Papik.f ha detto...

Anch’io aspetto con interesse di leggere il libro di Scotto di Luzio. Mi sembra peraltro condivisibile l’affermazione di Tuttoscuola secondo la quale «il modello della scuola gentiliana non avrebbe potuto in alcun modo reggere la sfida della scuola di massa», ma mi sembra anche che a definirla un’ovvietà non si faccia torto a nessuno. Il punto da discutere sarebbe piuttosto il seguente: vi erano aspetti di principio della concezione gentiliana che avrebbero ancora meritato di essere presi in considerazione, individuando i necessari adeguamenti alla nuova realtà, oppure occorreva proprio buttare via tutto?
Un primo principio gentiliano che mi viene in mente è quello didattico, che fu considerato non più adeguato già nel 1938: dunque per opera del regime nella sua ultima fase di involuzione autoritaria. Gentile infatti aveva previsto, nella sua decisa e determinata opposizione di principio ai pedagogisti, l’assoluta libertà degli insegnanti, non soltanto sotto il profilo metodologico, ma anche sotto quello dell’ordine di successione dei contenuti. L’insegnante era dunque completamente libero di fare tutto quello che voleva, purché preparasse gli allievi a sostenere l’esame finale: infatti la riforma Gentile non previde programmi di insegnamento, ma solo programmi d’esame. Provvedeva poi quest’ultimo, svolto da commissari esterni con una rotazione sull’intero territorio nazionale, sul programma di tutto il triennio, a valutare attraverso gli esiti degli alunni anche il lavoro dell’insegnante.
In fondo era un “teaching to test” anche quello, ma ben lontano dalla (squallida) meccanicità delle prove strutturate e dalla (ridicola) pretesa di una misurazione oggettiva, mirato a un giudizio sintetico sull’acquisizione degli argomenti e sulle capacità di ragionamento ed esposizione, evidentemente nella convinzione – di matrice “umanistica”, per usare la parolaccia innominabile – che se c’erano quelle, le “competenze” si sarebbero poi agevolmente formate nello studio universitario e nella pratica professionale.
Fu Mussolini in persona, dichiarando che la riforma Gentile era stata un errore dovuta ai tempi e alla forma mentis dell’allora ministro, a volere un radicale cambiamento e nel 1938 furono introdotti i programmi obbligatori di insegnamento, sotto il ministero del quadrumviro De Vecchi.
Ha ancora qualcosa da dire un’impostazione come quella di Gentile? Difficile sul piano operativo. Tanto per dirne una, evidentemente si partiva dal presupposto di una maggioritaria qualità di fondo degli insegnanti, fidandosi della loro formazione e selezione, nonché del fatto che le condizioni di lavoro e la reputazione sociale indirizzassero verso l’insegnamento persone dotate di qualità personali valide, e ritenendo che quelli non all’altezza fossero una minoranza, per cui il meccanismo di controllo introdotto avrebbe finito per escluderli.
Io non mi sentirei, tuttavia, di affermare che quella concezione fosse sbagliata in linea di principio, almeno all’interno di una scuola destinata a formare la classe dirigente. E questo è un altro aspetto di principio che sarebbe da discutere; ma questo post è già troppo lungo e mi fermo qui.