“Perché leggiamo ancora la Commedia nell’anno 2017?” A questa domanda
Claudio Giunta, concludendo un recente articolo-recensione sul “Sole 24 Ore” a
proposito dell’attualità o meno di Dante, propone “una risposta molto più
pedestre” di quelle ipotizzate nelle righe precedenti. Che è questa: “Perché
così hanno deciso centocinquant’anni fa coloro che hanno scritto i programmi
della scuola italiana postunitaria” (su questo saggiamente seguiti, aggiunge,
dalle attuali Indicazioni nazionali per
il curricolo scolastico). Risposta che me ne ha ricordata un’altra, quella che
detti a una mia allieva di seconda media che mi aveva chiesto “Ma a che serve
studiare la storia?” Al che tagliai corto dicendo (immagino con un sorrisetto
ironico): “A essere promossi in terza media”. Come quasi tutte quelle dello
stesso tipo, la sua non era infatti una vera domanda, voleva in realtà dire “la
storia non mi piace” (e forse, come conseguenza, non serve a nulla...). Dunque,
prenderla alla lettera e lanciarsi in una perorazione della fondamentale
funzione di
farci-conoscere-il-passato-per-comprendere-il-presente-e-progettare-il-futuro
sarebbe stato inutile. Un alunno interessato a una materia non sente il bisogno
di sapere a cosa serve, così come un bambino che ascolta rapito una fiaba non chiede
il motivo per cui gliela raccontiamo. L’insegnante, quindi, oltre a fare il possibile
per interessare i suoi studenti, dovrà però combattere l’idea – figlia di
un’educazione preoccupata di accontentare sempre e comunque i figli – che la
scuola sia simile a un self service in cui si mangia solo ciò che ci piace, per
di più evitando di assaggiare ogni tanto qualcosa di nuovo. Negli sport fatti
seriamente l’allenatore impone ai suoi ragazzi esercizi faticosi, però essenziali
per una pratica che dia poi soddisfazione. Così la scuola non può (non
dovrebbe) fare a meno di esigere un impegno costante in tutte le discipline,
attraenti o meno che siano per ciascun allievo. “Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non
farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così
fondamentali,” ammonì Barak Obama nel suo
grande discorso
del 2009 agli studenti, mettendo in evidenza la responsabilità di ciascuno di
loro rispetto alla propria formazione.
Ma c’è di più: tutte
e due le risposte apparentemente “pedestri” alle domande sull’attualità di
Dante e sull’utilità di studiare la storia sottintendono la considerazione
dovuta al patrimonio culturale della nazione, come selezionato e aggiornato nel
corso del tempo. Un patrimonio, dunque, non intangibile, e anzi inclusivo (è un
tratto specifico della cultura occidentale) della capacità di revisione critica
delle idee ricevute; ma non va neppure incoraggiata nei ragazzi la pretesa di
mettere in discussione quello che la scuola “consegna” alle nuove generazioni. Ogni
insegnante è in un certo senso, per conto della collettività, il garante dell’importanza
di ciò che insegna. Più ne sarà convinto, più sarà convincente e autorevole per
i suoi allievi.
Giorgio Ragazzini
41 commenti:
Claudio Giunta scrive sempre cose molto interessanti Mi risulta che stia anche scrivendo un testo critico sulla didattica ( o didatticismo che dir si voglia).
Quanto al tema del post di Giorgio Ragazzini, c' è un bel saggio - che io ho scoperto da poco e che magari altri conoscono molto bene- di un sociologo inglese, emerito all' Università di Kent, Frank Furedi ( origini ungheresi)" Fatica sprecata. Perchè la scuola ogi non funziona" Vita e pensiero edizioni, 2012, che tratta con chiarezza e competenza e linguaggio non pedagogico molti temi caldi dell' inversione di tendenza dell' istruzione ( centralità dello studente; personalizzazione dell' insegnamento, ricerca delle motivazioni; felicità a scuola e via dicendo). Rispetto a cosa insegnare a scuola Furedi, che si richiama a Hanna Arendt, scrive " Il primo compito dell' istruzione non è inseguire un mondo in continuo cambiamento, ma preservare il passato in modo che i giovani abbiano le risorse culturali e intellettuali per affrontare le sfide dell' esistenza... Anche se la società è continuamente soggetta alle forze del cambiamento, l' istruzione deve mettere i giovani in contatto e in confidenza con l' eredità del passato" .
Furedi sarà ospite in un convegno a Roma il 5 ottobre e, nota curiosa ( si fa per dire...), il suo libro è scarsamente presente nelle biblioteche pubbliche, comprese quelle universitarie, per non dire delle facoltà di pedagogia. E non è l' ultimo arrivato : è considerato internazionalmente un sociologo di vaglia.
Grazie a Rebert per le interessanti informazioni. Neanch'io conoscevo il saggio.
Chissà come mai il libro di Furedi "è scarsamente presente nelle biblioteche pubbliche, comprese quelle universitarie, per non dire delle facoltà di pedagogia"...
E' la scuola che si deve adeguare o sono gli studenti a doverlo fare?
Sono antichista e da sempre sostengo che un'educazione rivolta esclusivamente al presente è un appiattimento delle conoscenze e del senso critico. Conosciamo confrontando, esplorando le differenze, sondando le difficoltà. Se la scuola ripropone la banalità del circostante non è più che un prolungamento della televisione o di altri media, che fanno pure meglio il mestiere, essendo pieni di notizie aggiornate. Sinceramente non ne posso più di interrogazioni sull'attualità di Dante, di Omero, di Euclide Cartesio: sono in pura malafede. Nessun uomo razionale può fare a meno delle radici della propria civiltà e uno dei compiti della scuola è proprio questo.
Comunque, riflettiamo sui risultati: vi sembra oggi di avere studenti più soddisfatti, più preparati, più curiosi, più disposti a impegnarsi nello studio?
Una risposta onesta non può che essere negativa.
Un ministero criminale, al soldo dell'informatica e dello straccionismo, sta cercando di abolire qualsiasi diacronia dalla scuola. Dalla scrittura in corsivo allo studio delle lingue classiche tutto viene messo in discussione per produrre una massa amorfa, piatta, ignorante, semianglofona e semiitalofona.
Sapete che mediamente uno studente universitario non sa scrivere un periodo corretto? Che usa 'gettonare' e 'posizionare' perché li ha sentiti in televisione? Che confonde 'trama' con 'brama', 'paventare' con 'anelare' perché non è più abituato a leggere testi scritti in un italiano minimamente sorvegliato?
Cosa si è voluto ottenere con gli ultimi trent'anni di riforme? Il ministero ha mai risposto a qualcuno dei suoi pessimi risultati?
Sarebbe tempo di andare fattualmente contro tutto questo, senza tanti strombazzamenti: lavorare dalle elementari alle superiori in gruppi coerenti sugli obiettivi di trasmettere secondo metodi e contenuti il più possibile pre-riforme.
Non se ne può più di questo sfacelo.
RR
Un problema non secondario è che il miur procede inarrestabile: dando la spinta a informatica, liberalizzazione dei programmi, perdita di ore scolastiche con pseudo lavori riduce la preparazione di base degli studenti.
Ora, con il famigerato decreto 24 crediti ridurrà la preparazione di base dei futuri insegnanti, che saranno costretti a intasare i piani di studi con fuffole pedo-psicologiche rinunciando alle materie qualificanti dei loro percorsi (tutti: dagli ingegneri agli storici dell'arte dovranno sottrarre quattro esami al loro curriculum scientifico). Se poi le prove del concorso saranno tarate su questi nuovi metodi, praticamente non interesserà verificare quanto uno sa la materia, ma cose tipo 'insegnare a imparare' e 'metodologie del computer per la didattica'. Sperimenteremo a breve anche questi frutti marci.
RR
Imbattendomi per serendipità (posso usare questa parola anche se non l'ho imparata a scuola?) in questo blog "mastrocolico" (mi scuserete anche per questo secondo neologismo...) ho scoperto che, negli ultimi novant'anni, la ricerca pedagogica dell'intero globo, con tanto di testi e articoli scientifici (decine di migliaia, altro che la vostra "bibliografia essenziale sulla crisi dei ruoli educativi") frutto di costante ricerca-azione, di analisi e confronto dati, si è praticamente sbagliata su tutto.
Purtroppo, caro RR, gli studi nel campo della metodologia e della didattica vengono quasi completamente ignorati dai docenti, così come i testi normativi a partire dal CCNL in cui all'art. 27 è ben specificato il profilo professionale del docente (se lo rilegga). La scuola di oggi è messa molto male per le motivazioni opposte a quelle di cui lei parla. Infatti, nonostante la ricerca, la letteratura scientifica e la normativa vadano in un'altra direzione, la stragrande maggioranza degli insegnanti, a tutti i livelli (ma con un progressivo peggioramento verso la secondaria di I e II grado) di scuola, continua ad operare attraverso una didattica trasmissiva e contenutistica. Proprio quello che voi auspicate, cioè, come modello di risanamento contro "le fuffole pedo-psicologiche" e "le cose tipo 'insegnare a imparare e 'metodologie del computer per la didattica'" è finora, l'approccio più diffuso e utilizzato nelle scuole, almeno nel 90% dei casi. E basterebbe farsi un giro all'interno delle comunità docenti per verificare l'enorme e strenua resistenza che c'è a tutto ciò che va al di là dei contenuti del libro di testo e degli strumenti di valutazione di un secolo fa. Questo rende penosa la scuola italiana, il suo schiacciamento su un paradigma monolitico e anacronistico, anche se per alcuni, come lei, ancora valido.
E lasciamo perdere che un insegnante non sappia rispondere ad una domanda di senso di un suo studente perché "un alunno interessato a una materia non sente il bisogno di sapere a cosa serve"..... dai su, veramente pensa questo? Ma di cosa stiamo parlando?
Davanti a una simile diatriba, la mia reazione tende a essere contraria ai miei principi. Se siamo a questo punto, meglio, forse, la libera concorrenza.
Si facciano scuole trasmissive e contenutistiche e si facciano scuole che seguono le indicazioni della letteratura scientifica (naturalmente, quella autoreferenziale, mentre chi non è d'accordo con noi su tutto non è scientifico, come sempre). Scuole dove si studia secondo quello che è l'antico concetto di Ginnasio e di Liceo, e si facciano scuole con l'apprendere ad apprendere, i docenti facilitatori e l'alternanza scuola-lavoro.
Staremo a vedere, poi, in quale dei due tipi di scuole la classe dirigente manderà i suoi figli.
Per me sarei pronto a scommettere su quello che accadrebbe. Ma naturalmente potrei perdere.
Papik.f dice bene. Vale sempre la massima evangelica: "Ex fructibus eorum cognoscetis eos".
Come per ogni altro campo del sapere, anche per la didattica, se si vuole avvalorare una tesi, la si mette in confronto con i risultati di studi e ricerche. Ma vedo che quello che dice la letteratura scientifica non vi piace, quello che dice la normativa neanche, e allora sì che questo è il mestiere più bello del mondo dove ognuno fa quello che gli pare... Sul discorso della libera concorrenza, sarebbe auspicabile qualcosa del genere, ma viviamo da sempre incanalati nel pensiero unico della lezione frontale e delle conoscenze trasmissive, chi fa qualcosa di alternativo (anche semplicemente dare spazio a chi chiede al proprio docente perché si studia quello che si studia, e si sa che la classe dirigente non vuole persone che si facciano domande) rappresenta una minima percentuale sul totale. Quindi, per rimanere alla massima evangelica ricordata da Busiride, questi sono i risultati. Diventa paradossale spostare il problema su qualcosa che non esiste o esiste solo in potenza. Ripeto, basta girare per le scuole.
Frank Furedi “Fatica sprecata. Perché la scuola oggi non funziona”, “Il nuovo conformismo”
La tesi controcorrente di Furedi è che l'istruzione è importante per se stessa, per i contenuti che veicola. Apprendere le conoscenze e le scoperte frutto di esperienze fatte da altri, in luoghi anche remoti e in situazioni storiche diverse da quelle cui sono abituati, permette ai giovani di sviluppare le imprescindibili capacità di pensare, conoscere, immaginare, osservare, giudicare, interrogare.
Nel recente On Tolerance (2011), Frank Furedi smaschera la sostanziale intolleranza del politicamente corretto, ma tra i suoi bersagli più recenti spicca il cosiddetto paranoid parenting, ovvero come e perché, a forza di proteggere i ragazzi, i genitori abbiano sviluppato una sindrome molto simile alla paranoia.
E mentre ancora si discute se esista o meno una ‟fobia scolastica”, basta che un bambino sia un po' vivace o turbolento perché venga dichiarato affetto da un disturbo da deficit dell'attenzione.
Frank Furedi “Fatica sprecata. Perché la scuola oggi non funziona”, “Il nuovo conformismo”
Vedo che si continuano a copia-incollare stralci di recensione a questo Furedi (perché non qualcosa della Mastrocola, allora? Anche nel Belpaese ci sono dei teorici di certa levatura).
Purtroppo la tesi del carneade Furedi, tutt'altro che controcorrente, rientra nel più refrattario ed inestirpabile mainstream didattico dato che la quasi totalità dei docenti italiani considera "l'istruzione importante per se stessa, per i contenuti che veicola" e basta.
Ecco "perché la scuola oggi non funziona".
Nicola Contegreco "si continuano a copia-incollare stralci di recensione": e quale è il problema? sono contributi proposti alla riflessione e alla critica, segnalazioni, non sono conclusioni prescrittive.
tu puoi fare lo stesso - se vuoi - oppure continuare a criticare a prescindere e a priori gli altri.
Nessun problema, diabolico.
Non voglio contrapporre la linea di pensiero del carneade Furedi (la cui sostanziale inconsistenza ho potuto rilevare leggendo un'intervista rilasciata ad Avvenire) a quella di nessun altro. Sarebbe un confronto patetico.
In questa sede non mi sento di aver criticato, ho semplicemente delineato una tesi che contiene in sé un paradosso, ovvero che se la scuola va male, non può andar male a causa dell'innovazione metodologica e bla bla bla che, nella migliore delle ipotesi resta solo descritta sui documenti normativi e sulle programmazioni didattiche che i docenti sono costretti a fare in un certo modo per dimostrare ai propri DS di attenersi alla legge. Se la scuola va male, va male proprio perché non c'è l'applicazione concreta ed operativa di nessuna innovazione metodologia poiché, al netto di quanto si dice e si predica, la lezione frontale e la didattica contenutistica - o come scrive la recensione che tu riporti "l'istruzione importante per se stessa, per i contenuti che veicola" - rappresentano, a tutt'oggi la modalità utilizzata dalla quasi totalità dei docenti. Quindi di cosa stiamo parlando?
La resistenza e le voci fuori dal coro sono sempre di un piccolo gruppo contro la massa. Ora, decidi tu chi è il piccolo gruppo e chi è la massa, perché a me sembra che spesso, su mass media, social o blog come questo la realtà venga fraintesa e distorta. Puoi copia-incollare e segnalare altro, però non so se questa la riesci a smontare.
Ah, a proposito, io mi chiamo Nicola Contegreco. Con chi ho il piacere di dialogare?
Concordo con V.P. la cui identità si trova con facilità nel link da lui indicato. D' altronde ognuno è libero, in questo blog, di scegliere la denominazione con cui presentarsi. Ciò detto, Furedi è un carneade per qualcuno ma non per tutti. C' è chi lo conosce da tempo, lo stima e lo considera e nessuno di questi è un carneade. A meno di considerare tale la comunità accademica internazionale...
Quanto alle posizioni di Nicola Contegreco, alcune curiosità : perchè l' istruzione non dovrebbe avere valore in sè stessa? Perchè l' istruzione deve essere concepita come mezzo per conseguire un fine ad essa estraneo? Perchè la lezione frontale è così repellente?
Infine sulla didattica come scienza esatta, ecco un altro copia incolla (di un altro
carneade?)- non me ne voglia Contegreco- http://www.claudiogiunta.it/page/3/
Didattica della fuffa...
Rebert, forse mi sono espresso male in italiano o forse non è stato attento nella lettura perché dal suo post mi mette in bocca cose che non ho detto.
Ho detto, invece, ripartendo dal post iniziale di Ragazzini, dal carneade Furedi e dal carneadino Giunta (io sono rimasto - non me ne voglia Rebert - a Dewey, a Vygotskij, a Bruner, a Lipman, a Guido Petter, a Danilo Dolci, a Paulo Freire, a Wiggins, solo per citare i classici, anche se pure Gianni Rodari andrebbe riletto con attenzione), seguiti dagli autori degli altri commenti qui sopra, che la didattica che voi vedete minacciata non corre alcun rischio perché saldamente radicata, da sempre, nelle aule di tutte le scuole d'Italia, nel cuore profondo di una classe docente iper-refrattaria e cristallizzata sull'indice del libro di testo. E che il paradosso nasce dal lamentarsi dello status quo attribuendone le cause a qualcosa che esiste solo sulle carte. Adesso è più chiaro?
Buona domenica, Rebert.
Contegreco, non è in discussione il diritto di ognuno di avere i propri riferimenti culturali, semmai il fatto di giudicare posizioni diverse senza entrare nel merito.
Io ero stata attenta ai suoi messaggi e per questo avevo tentato di chiederle ragione di certe sue affermazioni, come quelle che si riferiscono alla nocività della lezione frontale o altro. Poco male, ma per concludere, senza polemica, credo che si debba precisare ( il Gruppo di Firenze mi correggerà se sbaglio) che la preoccupazione del post di Ragazzini non attiene alla didattica ma all' istruzione, cioè "a quel progetto concepito per fornire ai giovani il genere di conoscenza e l' eredità di sapere che una società considera indispensabili". Citato da un carneade e aderente ai principi della nostra Costituzione ( si spera non giudicata carneade...) Buone cose a lei.
Nei miei post non volevo parlare di riferimenti culturali personali, sarebbe stato facile, ognuno dice la sua, ma di letteratura scientifica, di ricerca, di risultati, come succede per ogni altro campo del sapere (nessuno ha mai parlato di didattica come "scienza esatta"). Non a caso ho fatto riferimento anche alla normativa degli ultimi vent'anni, migliaia di pagine che la quasi totalità dei docenti non ha letto, non conosce e non applica - unica categoria professionale in questo: ognuno fa quel che ritiene meglio, pensi se lo stesso succedesse con le altre professioni... - continuando a snocciolare in modo frontale i contenuti del libro di testo, uno dopo l'altro fino alla fine.
Ma se poi mi si precisa che non è di "didattica" che si parla ma di "istruzione", bene allora comprendo di non essere veramente in grado di proseguire oltre il ragionamento.
Cordialmente.
NC
Vedo solo ora.
Immagino che Nicola Contegreco sia un dipendente del ministero pagato per sostenere le idee che devono essere imposte ai docenti italiani, volenti o nolenti.
Ho molti anni di esperienza e non ho mai visto, neanche una volta, ragazzi ben formati, critici e consapevoli che non uscissero da scuole molto tradizionali.
I progetti del PD servono semplicemente ad assimilare l'Italia a un sistema scolastico globale di livello complessivamente basso e non trasmissivo delle conoscenze, in cui l'individuo sia manipolabile attraverso canali mediatici e governativi che trasmettono istruzioni da eseguire per controllare masse eterogenee.
Liberalizzato in quanto ciascuno fa ciò che vuole (tanto i risultati non importano) e in cui il progetto digitale è meglio del lavoro lento e sistematico fatto con la fatica di docenti e studenti.
Mi chiedo come non sia possibile vedere tutto questo: io giudico dai risultati, che sono pessimi.
Questo inizio di taglio delle superiori mi fa orrore; il docente che rinuncia a fare Dante e la grammatica mi fa orrore, la trasformazione del percorso in progetti fantasmagorici mi fa orrore, la cancellazione del passato dai programmi i fa orrore.
Speriamo in una resistenza fattuale: non tutti siamo in vendita.
RR
C'è un po' di confusione in giro, mi rendo conto.
Per sua fortuna (e di quelli come lei), RR, le idee imposte ai docenti rimangono solo idee che nessuno mette in pratica ed è proprio questo che, come lei giustamente afferma, rende i "risultati pessimi".
Le nuove metodologie e l'innovazione (compresa quella digitale) riguardano, nella scuola italiana, una minima, esigua percentuale di docenti e studenti (quelli sì che resistono) e, soprattutto, non hanno nulla a che fare con i "progetti del PD" - soggetto politico che aborro in ogni sua forma e rappresentazione - ma con la letteratura scientifica globale degli ultimi 90 anni (che la invito a consultare) e con un adeguamento agli standard europei dove, come è noto, i risultati sono ben diversi. Io non so lei che mestiere faccia, non credo l'insegnante, altrimenti conoscerebbe la situazione.
Questa è la realtà fattuale, se poi mi riporta anche la fonte da cui hai attinto che Dante e la grammatica sono stati cancellati dai programmi...
All'estero i risultati sono "ben diversi" semplicemente perché "ben diversa" è l'idea stessa di scuola. Ed è per questo che le famose statistiche che vedono l'Italia agli ultimi posti non hanno alcun valore. Applicare criteri di valutazione concepiti per le scuole straniere alla scuola italiana è esattamente come voler misurare la lunghezza di un palo con una bilancia o la capacità di un recipiente con un metro.
L'idea italiana di scuola è quella della tradizione europea, quella cioè di formare la persona colta; all'estero a partire dagli anni Sessanta si è invece affermata - suppongo per influsso statunitense (quanto è importante vincere le guerre!) - un'idea diversa di scuola, volta non a costruire la persona di cultura ma a rendere l'individuo padrone di una serie di tecniche da spendere nella vita pratica. Quasi tutti i paesi dell'Europa centro-settentrionale, a cominciare da quelli più piccoli e meno popolati (in cui l'influsso delle culture "forti" è più marcato), nel decennio 1960-1970 hanno riformato profondamente i loro sistemi scolastici, tanto da renderli irriconoscibili. Nessun dubbio sul fatto che questo nuovo sistema consegua perfettamente i suoi scopi, tanto è vero che all'estero hanno ingegneri così formati e i ponti non crollano, hanno medici così formati e i pazienti non muoiono come mosche. Quindi nulla da obiettare quanto all'efficacia dei metodi. Molto discutibili rimangono invece gli scopi.
Ora siamo arrivati all'"idea di scuola"...
E allora lei che dice, Busiride, la vogliamo cambiare quest'idea di scuola che risale (come lei scrive) a più di 50 anni fa? L'idea di una scuola non slegata dalla realtà percorre tutta la pedagogia dalla paideia greca, al Rinascimento, all'Illuminismo, a Goethe, fino, e solo alla fine, all'attivismo americano. lasci perdere i tempi che poi impiega il sistema culturale e socioeconomico italiano per capire certe cose.
Io, da quando sono capitato su questo blog (attraverso un post di facebook dove, giustamente, tutti avevano ignorato il contenuto di un link intitolato "Perché si studia quel che si studia") rimango veramente esterrefatto da certe affermazioni. Eccone un'altra: "La scuola è quella che forma la persona colta". Ma cosa è una "persona colta"? Forse un individuo che può partecipare ai quiz di Gerry Scotti o vincere le partite a Trivial con gli amici?
L'unica speranza che mi rimane, a questo punto, è che i vari Busiride, RR, Rebert, etc. (ho sbagliato: avrei dovuto firmarmi Tex Willer) non siano insegnanti. Anche se il rischio c'è.
"E allora lei che dice, Busiride, la vogliamo cambiare quest'idea di scuola che risale (come lei scrive) a più di 50 anni fa?".
Il Suo ragionamento è difettoso: una cosa si cambia non perché esiste da un certo numero di anni, ma perché è giudicata non buona. Il fattore "età" è del tutto ininfluente. Altrimenti avremmo dovuto smettere di mangiar pane da quel dì, visto che esso risponde a un'idea di cibo alquanto antica.
E in ogni caso l'idea italiana di scuola non dev'essere cambiata proprio perché è una buona idea di scuola. Com'è dimostrato dal fatto che, a dispetto di tutte le statistiche che, lo ripeto, non hanno alcun valore, tutti i nostri alunni che decidono di perdere il loro tempo frequentando all'estero il penultimo anno di scuola superiore affermano, concordemente e qualunque sia il paese da loro visitato, che le scuole straniere sono una cosa ridicola e che loro erano guardati da compagni e insegnanti come dei mezzi geni.
E com'è dimostrato dagli esilaranti "programmi di studio" che i suddetti alunni riportano dall'estero quando rientrano. Un'alunna di liceo linguistico che ha frequentato il penultimo anno in Irlanda ha portato un programma in cui spiccavano attività quali "costruzione di un portachiavi di legno" e in cui l'intera storia della musica occidentale era riassunta in due soli argomenti: "Beethoven e i Beatles". Testuale.
Ecco, io di una scuola così non so proprio che farmene, tanto fa abolire del tutto l'obbligo e passare le mattinate passeggiando nei boschi o per le vie della città, s'impara certamente di più.
Quanto all'ultimo paragrafo, Lei spera che io non sia un insegnante; io invece su di Lei non spero nulla di particolare, poiché io credo nella libertà e sono convinto che, qualunque metodo uno adoperi, se lavora con competenza e convinzione farà bene. Cosa che non mi sembra si possa dire di Lei.
Infine, Lei bonariamente rimprovera me ed altri perché scriviamo con uno pseudonimo, mentre Lei usa il suo nome. Giusto, però da qualche anno la scuola è diventato un brutto ambiente e, a dispetto della "libertà d'insegnamento" con cui tutti si riempiono la bocca, per chi non è in linea con le "calde raccomandazioni" del ministero il pericolo della delazione ai prèsidi è sempre dietro l'angolo, pericolo che certo non corre chi con il ministero canta all'unisono.
"L'idea di una scuola non slegata dalla realtà percorre tutta la pedagogia dalla paideia greca, al Rinascimento, all'Illuminismo, a Goethe, fino, e solo alla fine, all'attivismo americano".
E' ovvio, l'oggetto primo dello studio non può essere che la realtà, materiale o non materiale. Quel che io non vedo con favore è una scuola del tutto appiattita sulla realtà, o peggio ancora sulla realtà del presente. Anche perché sarebbe proprio questa l'idea di scuola che pagherebbe il prezzo più alto di quelli che Lei chiama "i tempi che poi impiega il sistema culturale e socioeconomico italiano per capire certe cose". Avremmo una scuola che, nel nobile intento di tenere il passo con la realtà presente in divenire, per la sua stessa struttura di organismo statale non ce la farebbe mai ad allinearsi veramente, e si troverebbe sempre un passo indietro.
Quanto alla definizione di "persona colta", se la partecipazione ai quiz televisivi ha come risvolto il portarsi a casa un bel po' di quattrini, perché no?
Rispondo al cortese invito: molte cose sono di fatto cancellate dagli attuali programmi sia per l'esorbitante numero di iniziative extra e parascolastiche in atto sia per la continua pressione a privilegiare il Novecento e la contemporaneità sia per la sempre peggiore preparazione degli insegnanti e scarsa concentrazione dei ragazzi e, infine, perché le varie riforme hanno cambiato i piani orari, tolto e aggiunto dove pareva ai nostri modernisti tecnomani al miur, impedito di approfondire lo zoccolo duro delle materie disperdendo le forze in mille rivoli poco utili. La bischerata ultima del lavoro sottrae ai licei svariate settimane di studio, inutilmente; i 'progetti' sottraggono ore ai programmi.
Non dubito che si possano sperimentare, in piena libertà e senza pressioni (art. 33 della costituzione) didattiche nuove, ma dubito forte dei risultati. Li ho anche visti in una scuola media 'innovativa' nel senso ministeriale odierno e sono scadenti (didattica digitale, costruzione di diorami, interviste in giro per la città, no studio pomeridiano, disarticolazione dei contenuti), tanto che i professori all'esame di terza media dettavano le soluzioni dei test invalsi per nascondere l'ignoranza degli studenti.
RR
Le mie fonti sono studenti che arrivano a Lettere: ormai la percentuale di coloro che avrebbero i veri requisiti (conoscenza delle lingue classiche, senso letterario, senso storico, capacità di scrivere correttamente) è una assoluta minoranza. Molti arrivano da licei e sperimentazioni appoggiate dal ministero e la preparazione di base è penosa. Mi figuro quando cominceranno i 'quadriennalisti' ora grandemente sponsorizzati nel vergognoso proposito di tagliare un anno di scuola superiore.
Naturalmente abbiamo il tacito ordine di abbassare il livello per far passare tutti e io non mi adeguo, ma non sono in grande compagnia.
In quest'epoca tanti fanno finta di niente e stanno zitti.
RR
Tornare su questo blog sta diventando un'esperienza quasi lisergica tanto sono allucinanti le argomentazioni e le visioni della realtà che vi si leggono. E già per questo, vale la pena rispondere, per conoscere "nuovi mondi" e perché il confronto con l'Altro può sempre accrescere le possibilità del nostro cammino di formazione.
Non voglio controbattere punto per punto alle parole di Busiride, ma apportare qualche piccola precisazione. Lasciamo stare il riferimento al "programma", termine e concetto che dovrebbero essere scomparsi almeno da un ventennio dalla normativa (ah già, lei non segue la normativa ministeriale, si avvale della cosiddetta "libertà di insegnamento"), lasciamo stare l'argomentazione sulla "persona colta" (che da sola contraddice tutto il suo discorso) e lasciamo stare anche l'esempio del "pane" (un po' furbesco, poiché è di qualcosa di molto diverso che si parla).
Dunque, o la scuola così com'è - e come è stata finora, che è lo stesso - ha funzionato bene e quindi viviamo una realtà moralmente solida e siamo parte di una cittadinanza attiva che è il prodotto proprio di quella scuola; oppure viviamo in un tipo di società che non ci piace molto, con un alto tasso di ignoranza, dove l'argomento principale è la critica alle istituzioni moralmente degradate, il tutto partorito proprio da quella idea di scuola (che poi è la stessa dove uno studente che si fa una domanda di senso su ciò che gli viene propinato come studio è uno che, in realtà, “non fa una vera domanda” ma sta solo dicendo che non gli interessa - questo nella testa di Ragazzini e del suo Gruppo).
E allora: delle due l'una.
Quello che ha destato la mia voglia di intervenire su questo blog mastrocolico è stata l'idea di un RITORNO (ricordata anche in un video, trovato su youtube, da Giorgio Ragazzini, molte parole e poca sostanza) alla scuola del "merito e della responsabilità". In quel video, inoltre, a dimostrazione che la normativa non sempre dispiace, il Ragazzini lodava la legge Gelmini per aver riportato importanza sulla "condotta" (sic), mentre nel DPR 122/2009 si parla di "comportamento", costrutto certo sfuggevole ma, sicuramente, più complesso e non certo limitato all'azione della condotta, che è ben altra cosa.
Quindi, se si sente il bisogno di un RITORNO a qualcosa, vuol dire che quella cosa adesso non c’è più, giusto?
Purtroppo, invece, quell'idea di scuola è propinata da quasi tutti i docenti, ancora oggi, è radicata imperturbabilmente in ogni cattedra presente in ogni aula scolastica e ben tollerata dalla quasi totalità dei dirigenti scolastici che, in questo, sono del tutto identici ai propri docenti, poiché ex-docenti anch'essi.
Io non so in quale realtà parallela viva Busiride pensando di essere un carbonaro soggetto a recriminazioni da parte del DS a causa delle sue idee ‘rivoluzionarie’ e, per questo, costretto a nascondersi dietro uno pseudonimo…
Io non ho nessun timore nell’esprimere le mie idee con il mio vero nome, nonostante sia parte di un’esigua minoranza, non solo su questo blog (dove sono l’unico a rispondere ad un coro che va verso un’altra direzione rispetto alla mia) ma anche nella mia scuola e nelle scuole la cui realtà ho potuto conoscere come formatore, dove quelli che escono fuori dallo schema “lezione frontale-libro di testo” devono spesso scontrarsi (o essere costretti a dare spiegazioni) con dirigenti, colleghi e famiglie.
Su, torniamo nella realtà, non diciamo sciocchezze.
Firmato: Uomo Ragno
Nessuno La obbliga a tornare qui. Se vuole infliggersi questa punizione libero di farlo, ma altrimenti cambi aria. I siti che condividono le Sue idee sono senz'altro molto più numerosi e interessanti. Io di solito non frequento ambienti dove non mi sento compreso. Ma forse Lei ha la vocazione dell'apostolo che io non ho.
Come poi Lei possa azzardarsi a giudicare la mia visione della realtà non lo capisco proprio. Insegna forse nella mia scuola? No. Conosce il mio preside? No. Conosce i miei colleghi? No. Conosce i miei alunni? No. Conosce le loro famiglie? No. Conosce l'ambiente della città in cui vivo? Probabilmente no. E allora donde tanta sapienza?
Lei è uno di quelli che afferma che il "programma" dovrebbe essere sparito dalla scuola almeno da vent'anni. Io invece affermo, proclamo e attesto che senza programma semplicemente non c'è scuola. E' pertanto chiaro che parliamo lingue diverse. Però chi propugna l'abolizione del programma dovrebbe anche spiegare come intende far passare il tempo a scuola, perché la cosa è tutt'altro che chiara. Ognuno ha la sua idea, così abbiamo studenti che, poiché abitano in via Accademia, han frequentato la scuola Tale e san tutto di Dante ma nulla di Pirandello, mentre altri studenti, che invece han frequentato la scuola Tal Altra perché abitavano in piazza Giulio Cesare, di Dante hanno solo una vaga idea mentre sanno tutto del poeta contemporaneo Pinco Pallino perché era lo zio del loro insegnante. Che sistema scolastico sarebbe mai questo? Allora per coerenza dovremmo abolire la scuola di stato e lasciare libera iniziativa ai privati (non per nulla le teorie scolastiche che non contemplano i programmi vengono da paesi in cui non esiste il quasi monopolio dello stato nell'istruzione, che - come è noto - è una particolarità italiana).
Quanto alla questione del "ritorno", essa non concerne i metodi di insegnamento: è evidente a tutti che la scuola di oggi è ben lungi dall'essere perfetta. Però la sua mancata perfezione non è dovuta al fatto che si adottano metodi errati, come Lei sostiene, ma al decadimento della disciplina e del rispetto delle regole, da parte di tutti. Come spiegare altrimenti che gli stessi metodi fino agli anni Sessanta funzionavano egregiamente e oggi non funzionano più, se sono sempre gli stessi? I metodi non funzionano più perché oggi gli alunni han capito che studiare non serve, perché tanto alla fine son tutti promossi, perché negli scrutini i 4 diventano regolarmente 6, e l'ordine di alzare i voti sono i prèsidi stessi a darlo; perché se si copia il compito non s'incorre in alcuna sanzione a meno di non essere colti in flagrante (ma basta che l'alunno getti il bigliettino nello zaino e la fa franca, perché non possiamo perquisire le loro borse), perché se si danneggia la scuola o la sua dotazione tutto finisce con una pacca sulla spalla, perché se si marina la scuola oltre il numero di ore teoricamente consentito si trova sempre il medico compiacente che firma un certificato, quando non è il consiglio di classe stesso che, motu proprio, trova una motivazione che giustifica le assenze, perché se non si raggiunge il numero minimo di partecipanti alla gita scolastica la gita si fa lo stesso "col morto", e via proseguendo.
E, naturalmente, lo stesso vale per gli insegnanti: se anziché fare quel che dovrebbero fare leggono il giornale o raccontano agli alunni le ultime prodezze del loro gatto va bene lo stesso, se qualche famiglia fa rimostranze basta che l'insegnante in questione sia sempre disponibili a portare gli alunni in gita e diventa subito il beniamino del preside, e come tale intoccabile. Lei conosce insegnanti che non fanno il loro dovere? Io sì, più di uno. Lei ha visto qualche insegnante sanzionato per questo? Io no, mai. Questa è la scuola che vivo ogni giorno, altro che realtà parallela! Se la Sua scuola è diversa, ebbene, beato Lei, La invidio. E' per i motivi ora elencati che la scuola non funziona. I metodi non c'entrano nulla. Cambiare i metodi senza cambiare il comportamento delle persone facendo una buona volta rispettare le regole è tempo perso. Anzi, è solo l'alibi dei gattopardi.
P. S. Io non ho mai usato la parola "sciocchezze" in riferimento alle cose da Lei scritte. Lei non è il Padreterno: si regoli di conseguenza.
La mia scuola, signor o signora Busiride, è purtroppo esattamente come la sua e come la quasi totalità di tutte le scuole: programma, lezione frontale, interrogazioni e 3 compiti a quadrimestre,scrutini finali e voti in decimi sulla scheda. Infatti sono quelli come me ad avere problemi nella scuola di oggi (che è identica a quella di ieri), non certo quelli come lei. Se non conosce la storia della scuola italiana e non sa quello che è successo dagli '60 in poi in Italia (ed è successo qualcosa di epocale, mi creda, se lo vada a rivedere), se non conosce la normativa degli ultimi 20 anni e non sa che il programma è stato sostituito dalle "indicazioni" e che le conoscenze non devono rimanere saperi inerti ma diventare "competenze per la vita", questo è un problema suo. Ma forse lo sa - o lo ha sentito dire - e, siccome nel nostro lavoro (unico caso) si può fare come ci pare tanto a nessuno succede niente, ha deciso che non le piace la questione e che è meglio rifare il programma di 30 anni fa, etc.
Che poi le visioni tra esseri umani siano diverse è una cosa sacrosanta, ma quando si discute su un tema, si argomenta facendo riferimento o a documenti condivisi (cioè la normativa) e/o a quello che dice la ricerca (e neanche questa va bene). Una discussione dialettica non può andare avanti con delle argomentazioni di carattere personale senza che queste siano confermate o, per lo meno, corroborate da qualche parte, altrimenti la sindrome del Padreterno ce l'ha lei, non io.
Devo dire che ho apprezzato nel complesso un dibattito che, seppure non esente da sbavature polemiche, si differenzia dalle infantili e spesso volgari zuffe frequenti su internet.
Prima di dire qualcosa sul “rifiuto” della ricerca pedagogica, almeno una precisazione: il Gruppo di Firenze non ha mai predicato il RITORNO alla scuola del passato, anche se in tutti i processi storici ci sono cose da recuperare, in genere aggiornandole per qualche aspetto. Quanto al “Ridare onore al merito”, come sostenni nella citata intervista, darei la parola a Sergio Givone, che nel 2008 ne scrisse esemplarmente sul “Messaggero”. Su questi due punti si può leggere: http://bit.ly/2fEfoDz.
Veniamo al rifiuto degli studi metodologici e didattici da parte della “stragrande maggioranza degli insegnanti”. La mia esperienza di corsi di aggiornamento è stata negativa innanzitutto per le modalità comunicative. Se i “formatori” ti fanno capire che quello che hai fatto finora è completamente sbagliato; se non vieni trattato come un professionista che ha una sua esperienza e qualcosa da dire in proposito; se insomma hai l’impressione che si tratta di aderire a una verità indiscussa e non di una comunicazione tra pari su questioni su cui confrontarsi, che possibilità ci sono di non avere una reazione di rigetto? Aggiungiamo l’impostazione molto spesso teorica degli incontri, quando ne servirebbe una di carattere esperienziale per assimilare un metodo, e la frittata è già fatta. Un insegnante adotta un metodo se se ne sente potenziato, non se si cerca di obbligarlo; cosa che purtroppo si tenta a ogni piè sospinto. La prima stesura del decreto sulla valutazione, che prevedeva l’abolizione dei voti e il recupero delle lettere, era chiarissimamente dettata dall’intenzione di costringere i docenti a cambiare metodologia. E se si facesse un serio bilancio della normativa sui Bes, basata sull’imposizione di procedure invece che su un serio aiuto agli insegnanti da parte di figure realmente competenti, si rileverebbe un vero aumento dell’efficacia didattica o un puro e semplice abbassamento delle richieste? Ma naturalmente lo stile dell’aggiornamento non può essere scisso dal suo contenuto. Che dire allora della catastrofica insistenza sulla didattica per obbiettivi e sottobbiettivi a decine? Non era forse sbagliato in partenza voler inserire in schemi così rigidi la didattica? Infine vorrei dire a Nicola Contegreco: quando qualcosa non funziona così ampiamente e per tanto tempo, servirebbe chiedersi se c’è qualcosa che non va nella proposta, pur scontando un certo conservatorismo degli insegnanti italiani, legato anche a una formazione largamente (e spesso faticosamente) autodidattica.
In positivo: base dell’aggiornamento dovrebbe essere il lavoro seminariale fra pari, con tutte le implicazioni di valorizzazione del ruolo che il metodo comporta. Ci si confronta, si scambiano esperienze positive, si individuano le esigenze di ulteriore approfondimento, si possono invitare esperti o scegliere corsi. Così si diventa protagonisti e non oggetti passivi della nostra formazione continua. Implicita in questa scelta è la libertà metodologica, con cui ciascuno costruisce il proprio armamentario, in grado di adattarsi alle situazioni e alle classi. E invece di demonizzare la lezione frontale, quando si sa benissimo che ce ne sono di bellissime e di noiose, non sarebbe smeglio investire nel miglioramento delle competenze comunicative dei docenti, mettendoli in grado di fare – anche – lezioni frontali più efficaci?
Infine: gran parte dei testi di pedagogia e di didattica sono scritti in un italiano illeggibile, la famosa “lingua di legno” che si è diffusa a macchia d’olio negli ultimi decenni. Una raccomandazione dunque gli esperti: leggete Piero Angela, imparate da lui e sarete senz’altro più letti.
Su alcune cose sono d’accordo con Giorgio Ragazzini. Ad esempio dove dice che è sbagliato inserire la didattica in schemi rigidi. O quando parla della formazione e di come si pongono (non tutti) i formatori nei confronti dei corsisti, anche se, per esperienza, continuo a credere che l’ostilità maggiore da parte dei docenti provenga dal non volere/non sapere cambiare un modo di agire ipercollaudato nei decenni (e i cui meccanismi hanno visto in atto già da quando erano studenti).
È interessante, invece, constatare come nella dialettica docente-studente vada bene l’approccio frontale e trasmissivo per far capire le cose, mentre in quella formatore-docente ci si lamenta di una “impostazione molto spesso teorica degli incontri, quando ne servirebbe una di carattere esperienziale per assimilare un metodo”. Più sotto, Ragazzini dice che bisogna rendere i docenti “protagonisti e non oggetti passivi della nostra formazione continua”. Benissimo. Sono pensieri che sposo totalmente. Mi chiedo, però, perché non trasferire questo modo di vedere le cose anche in classe?
La benedetta lezione frontale.
Qui, nessuno demonizza l’uso della lezione frontale se questa rappresenta UNA delle metodologie, insieme a molte altre, a disposizione del docente; si demonizza, invece, la lezione frontale quando questa rappresenta l’UNICA metodologia che il docente conosce. E questo, purtroppo, ancora accade dappertutto e a tutti i livelli. Ho sempre pensato una cosa che potrebbe servire (da parte mia) anche per terminare questo lungo dibattito, ed è una cosa che dico spesso ai miei colleghi durante i consigli e ai docenti che seguono i miei corsi: se la lezione frontale e la didattica trasmissiva funzionano, non c’è alcun bisogno di usare metodologie alternative. Se i risultati e gli obiettivi vengono raggiunti in quel modo cosa ci importa di tutto il resto? Questo è quanto. Ma il problema è che il più delle volte, i docenti “frontali” non raggiungono i risultati sperati – o li raggiungono per una piccola percentuale, quella che, molto probabilmente, raggiungerebbe gli stessi risultati positivi a prescindere dal docente e dalla metodologia -, oltre a ritrovarsi di fronte una classe che si annoia e si distrae perché non coinvolta direttamente nei processi epistemologici della disciplina. (E non voglio neanche ricordare tutti quei docenti che, alle superiori, leggono il libro di testo in classe, spesso senza far seguire la spiegazione alla lettura. A tal proposito, ho diverse testimonianze di miei ex-alunni).
Nessuno impone niente a nessuno, ci mancherebbe. Ricordiamoci, però, che la sacrosanta “libertà metodologica, con cui ciascuno costruisce il proprio armamentario, in grado di adattarsi alle situazioni e alle classi” non è una questione di stile o di gusti personali, ma di risultati. E lungi da me qualsiasi logica di tipo aziendale. Parlo semplicemente di dare un senso a quello che si fa ogni giorno: se ho una classe di venti persone e dieci di questi non raggiungono la sufficienza o non studiano affatto, non posso sempre pensare che sono un bravo insegnante che ha in classe, dieci bravi studenti e dieci “asini”. L’ho pensata così i primi anni, vittima del retaggio culturale degli anni di scuola frequentati da studente e del vuoto pedagogico e didattico-metodologico che mi aveva lasciato un’università costruita completamente sui saperi disciplinari. Ma per fare il mestiere che poi ho fatto bisognava capire come veicolarli quei saperi.
Non dimentichiamoci una cosa importantissima: oltre alle competenze disciplinari, il docente deve possedere competenze “psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti” (testo dell’art. 27 del CCNL, un documento, almeno questo, che ogni insegnante dovrebbe conoscere). Il docente ha il dovere di mettersi in discussione. Il docente ha il dovere di studiare, di formarsi, di capire come cambia la realtà intorno a lui e, con essa, le persone. Ha il dovere di fare, cioè, quello che chiede a gran voce di fare ai suoi studenti. E lo deve fare sempre, fino a quando sarà in servizio, proprio come qualsiasi altra figura professionale oggi esistente nel nostro modello di società. (La scuola non è un microcosmo che vive in una campana di cristallo dove il tempo si è fermato). Questa per me è la base della scuola del “merito e della responsabilità”.
Sui testi di pedagogia e didattica, infine, ci si potrebbe confrontare. Io ne ho letti e studiati molti la cui lingua era molto comprensibile.
Anch'io mi trovo d'accordo con Giorgio Ragazzini. Ho smesso di frequentare corsi proprio perché, fin dal corso di formazione per neoassunti, che ho seguito nella primavera 2001, tutte le lezioni erano impostate in polemica contro la lezione tradizionale e contro il modo tradizionale di fare scuola, polemica condotta peraltro con lo stesso argumentum auctoritatis contro cui si scagliavano, per cui se qualcuno di noi esprimeva perplessità i "formatori" alzavano subito la voce, quasi fossimo colpevoli di lesa maestà. Purtroppo capita spesso che chi propone qualche novità tacci l'intera storia del genere umano di stupidità e ignoranza, ma con ciò fa danno alla propria causa, perché le idee buone dovrebbero imporsi in forza della loro stessa bontà, e non in forza di una calunnia continua verso un passato presentato attraverso uno specchio deformante e denigrante. E' questo aspetto che mi ha indispettito nei primi interventi di Nicola Contegreco: l'accusare la lezione frontale di essere causa di ogni male. Ora leggo posizioni più articolate.
Quanto al fatto che la classe docente sia poco propensa a cambiare i propri metodi, in molti casi è vero, ma questo dipende dall'età media che è in genere molto alta (quasi tutti i miei colleghi sono nati prima del 1960) e dalla preparazione, che non è sempre all'altezza del compito. Ad esempio, io da sempre propugno l'introduzione del metodo induttivo-contestuale nell'insegnamento della lingua latina, ma ho avuto sempre tutti i colleghi contro. Loro dicevano, in modo del tutto apodittico, che il metodo non funziona, che così s'insegna un "latino finto" (che vorrà dire poi mai?), invece la verità è un'altra: per gestire quel metodo bisogna avere competenza attiva nell'uso della lingua latina. E questa competenza non ce l'ha nessuno di loro perché non si insegna da nessuna parte. Che è, mutatis mutandis, quell'ammantare di scientificità una decisione che si prende per pura convenienza già visto ai tempi in cui si volle togliere la versione dall'italiano in latino: si diceva che era un esercizio senza senso perché oggi nessuno ha più bisogno di scrivere in latino, ma il vero motivo è che era la parte più difficile dell'apprendimento, e doveva essere pertanto eliminata in nome del facilismo imperante. Con il risultato che oggi il latino si apprende male proprio perché si tratta di un apprendimento completamente passivo.
Se ero stato poco chiaro o troppo sintetico (avevo tagliato quasi mille battute della prima stesura per rientrare nei limiti imposti da blogger), chiarisco che:
- non considero affatto la lezione frontale l'unico metodo valido, tanto meno nella scuola media dove ho insegnato;
- la libertà metodologica deve essere accompagnata dalla responsabilità: se i metodi adottati portano a dei risultati bene, altrimenti bisogna provvedere (e in casi estremi estromettere);
- la formazione deve essere permanente e obbligatoria (non nel senso di aderire obbligatoriamente, salvo eccezioni, a quello che ci propongono dall'alto);
- sacrosante le competenze disciplinari, metodologiche, relazionali;
- quanto al male profondo della scuola italiana, di cui abbiamo parlato infinite volte, direi che è ben sintetizzato nell'ultimo capoverso dell'intervento di Busiride del 13 agosto, ore 15,58.
Resta la verità che chi non studia è spesso promosso come chi studia. Questo non incentiva alcun impegno. V
Nel progettificio quadriennale voluto da tre elle e Confindustria che spazio avranno le materie non applicative e la libertà di insegnamento? Bonus, pentole e premi a che risponde meglio. V
L'introduzione forzata dei famosi 24 crediti psicopedaantropologici renderà i docenti meno addentro alle loro materie e molto addentro a un'enorme quantità di fuffa metodologica che impesterà i piani di studio.
Come simpatico effetto collaterale, molte materie di nicchia scompariranno, perché gli studenti cercheranno di conseguire i 24 crediti nel loro piano di studi e toglieranno quattro materie che concernono la loro effettiva specializzazione.
Non è una questione di poco conto: la scuola si sta trasformando sempre più in uno spegnitoio ammazzaconoscenze. Un '68 ritardato, l'imbroglio dell'insegnare a imparare, la sostituzione dei contenuti con una chiacchiera intorno ad essi, la favola brutta del consulente digitale che ti mostra ma non ti insegna.
Il tutto attraverso semplici decreti legge pubblicati nella calura agostana. Complimenti.
RR
Sono Peter di Milano... Alcuni dicono che l'incantesimo d'amore non funziona, ma ho visto che l'incantesimo d'amore funziona tutto a causa del dottor ADELEKE il miglior lanciatore che ha lanciato un incantesimo per me e ha riportato mio marito a me e ora stiamo vivendo come una famiglia tutto grazie al dottor ADELEKE. È possibile contattarlo su WhatsApp: +27740386124 o inviarlo via e-mail: ( aoba5019@gmail.com )
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