“Corriere Fiorentino, 18 gennaio 2017”
In Italia c’è un esercito di giovani
disoccupati che sfiora il 33 per cento. E però molti settori dell’economia
offrono posti di lavoro che nessuno vuole. L’argomento è stato anche al centro
di un’attenta analisi di Dario Di Vico sulle pagine del Corriere della Sera di
domenica. Assurdità e contraddizioni. Tuttavia né a livello nazionale né locale
risultano in cantiere misure per affrontarle né tantomeno per risolverle. E a
rendere quasi tragicomica la situazione, le decine di migliaia di posti di
lavoro che rimangono scoperti non sono in settori dell’economia residuale,
occasionale o stagionale, ma proprio in quelli trainanti, a partire dal
turismo. E paradossalmente perfino in Sardegna, dove esistono oltre venti
scuole alberghiere, capita — ha scritto Di Vico — che «non si trovino in loco
abbastanza diplomati degli istituti alberghieri». E capita anche che siano
migliaia i posti disponibili per gli operatori delle cure estetiche, anche se
le scuole per formarli non mancano; ma manca ai ragazzi l’esperienza pratica
per essere in grado di svolgere la loro professione con una preparazione
adeguata. A limitare le loro competenze concorrono vari fattori; e una delle
carenze più drammatiche nei tecnici e nei professionali è data anche dalla
cronica inadeguatezza dei laboratori, un problema che la recente rivisitazione
degli istituti professionali non mi sembra in grado di risolvere. Ma occorre
anche soffermarsi sul tema dell’alternanza scuola-lavoro che non può né deve
interrompersi, a mio parere, alla fine della scuola superiore. Sarebbe infatti
opportuno che anche le Università, almeno nella grande maggioranza degli
indirizzi, introducessero nei loro piani di studio qualificati percorsi di
esperienza pratica per rimediare a una preparazione spesso troppo teorica. Certo,
una università qualificata richiedi investimenti importanti e ci sembra a dire
il vero improbabile una detassazione generale se si vuole davvero coniugare
qualità, utilità e merito. Né possono essere solo i pochi e costosissimi Its
(Istituti Tecnici Superiori) a garantire quanto serve all’economia nazionale.
Rimangono, inoltre, le enormi responsabilità della gran parte delle Regioni
che, pur obbligate dalla legislazione a occuparsi direttamente della formazione
professionale, l’hanno usata in certi casi per finanziamenti, spesso illeciti,
a organizzazioni e strutture scolastico-formative inadeguate, approssimative ed
essenzialmente interessate al proprio tornaconto economico.
A tutto ciò si aggiunga l’incapacità,
talvolta altrettanto scandalosa, di non saper programmare percorsi rispondenti
alle vocazioni economiche locali. Perciò quei pochi giovani che hanno una
adeguata preparazione, anche universitaria, per far fronte alle richieste delle
imprese sono costretti a spostarsi da una regione all’altra per stipendi che
nella maggior parte dei casi diventano così sufficienti alla mera
sopravvivenza. Alla fine rimane e si amplia il paradosso da cui siamo partiti,
quello della distanza tra ciò che il mondo del lavoro offre e la capacità di
far fronte a queste offerte. Su come questa distanza possa essere colmata
speriamo di ascoltare qualcosa di utile nel corso della campagna elettorale.
Purché dopo ci si ricordi di un vecchio e poco seguìto proverbio che ammonisce:
«Ogni promessa è debito».
Valerio
Vagnoli
2 commenti:
Ho letto che in una cittadina inglese la maggior parte degli infermieri è italiana e da noi gli ospedali sono in carico ad infermieri precari. Si fugge per non morire di rabbia.
Sono infermieri interinali che grazie a regole ue possono essere pagati meno di quelli strutturati! V.
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