sabato 8 giugno 2019

IL TRIONFO DI ROUSSEAU


Uno dei maggiori rischi che una democrazia possa correre è quello di permettere che la si scimmiotti proprio in uno dei luoghi deputati a insegnarla, come accade spesso nelle scuole superiori in occasione degli spazi che gli studenti autogestiscono (o addirittura si prendono con le occupazioni) per fare «le loro esperienze» di democrazia diretta. È quanto avviene da quando il diritto alle assemblee fu legalizzato nel 1974 dai cosiddetti Decreti delegati che sancirono la nascita della «partecipazione democratica» in diversi ambiti, scuola compresa. E con il diritto di svolgere attivi e assemblee fu varata la rappresentanza degli studenti e dei genitori negli stessi organi di gestione della vita scolastica. E forse proprio con queste misure si accentuò il lento e inesorabile declino della nostra scuola, la cui debacle, ahimé, è ormai scientificamente accertata. Furono però sufficienti pochi anni perché l’entusiasmo partecipativo degli studenti si spegnesse per riaccendersi ogni tanto con il riesplodere delle proteste. A sancire l’immiserirsi delle assemblee, come scriveva ieri il presidente dell’Anp Toscana Alessandro Artini, contribuirono negli anni le norme che avrebbero dovuto regolarle, sempre più confuse, contraddittorie e spesso demagogiche, al punto da consentire di parteciparvi solo al delegato del preside e non agli altri docenti; quasi che un loro aiuto ai ragazzi nell’organizzarle e nel gestirle minasse chissà quale autonomia. Evidentemente per molti è ancora difficile scrollarsi di dosso il macigno della pedagogia russoiana, dogma educativo negli anni Sessanta, con la condanna di qualsiasi intervento dei maestri per correggere, e perciò compromettere, la spontaneità dei bambini e dei ragazzi. Anche parecchi dei nostri esperti di educazione, legislatori compresi, sembrano poco inclini ad aggiornarsi e a tagliare i ponti con la loro «illusa gioventù» (V. Cardarelli). In tanto marasma normativo è facilissimo pescare la norma che contraddica le decisioni, soprattutto in fatto di disciplina, prese dagli organi scolastici. E ancora più facile è imbattersi in un vizio di forma, vista l’esosa mole di decreti, contratti, circolari, atti d’indirizzo, inviti, leggi con cui un preside dovrebbe gestire la scuola. E a questo, cioè a un vizio di forma, si sono attaccati i genitori di alcuni studenti del liceo Petrocchi di Pistoia per chiedere e ottenere l’annullamento delle misure disciplinari comminate ai loro figli, mesi fa opportunamente sanzionati perché in occasione di un’assemblea si erano resi colpevoli di gravi episodi di bullismo.
E alla presenza di un vizio di forma, l’organo di garanzia regionale, istituito all’interno del rispettivo Ufficio scolastico, non poteva che annullare i provvedimenti. D’altra parte la mia personale esperienza mi porta a credere che, se il ricorso fosse stato fatto al Tar o al Consiglio di Stato, di sicuro un motivo per annullare le sanzioni disciplinari si sarebbe trovato anche senza alcun vizio di forma. Non tanto per colpa dei magistrati, ma soprattutto grazie alla fioritura di una miriade di regole spesso non chiare. Ciò contribuisce a spingere famiglie e avvocati a cercare il cavillo per fare ricorso, con notevoli possibilità di vincerlo. Delegittimando così ulteriormente la funzione della scuola, oltre alla professionalità e alla dignità dei suoi docenti. Così il trionfo di Rousseau continua insieme a quello dei genitori che non educano i loro figli e, per dirla con Luca Ricolfi, impediscono anche ad altri di farlo.
Valerio Vagnoli
(Editoriale del “Corriere Fiorentino”, 8 giugno 2019)

1 commento:

georges Matorell ha detto...

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