Si sa che la scuola da tempo non riesce
più a essere quello che vorremmo: un punto fermo nella costruzione del futuro
dei nostri figli e della nostra identità nazionale. Anche i noti e recenti dati
dell’indagine Ocse-Pisa hanno confermato ciò che dicono da anni, e cioè che i
nostri ragazzi sono davvero messi male e in particolare che la capacità di
comprendere ciò che leggono sta inesorabilmente naufragando e spesso non
riescono neppure a leggere bene ad alta voce. Non occorre essere profeti (basta
il buon senso) per renderci conto che le cose continueranno a peggiorare in
assenza di decisi interventi nella direzione giusta. Perché quando a mancare ai
nostri quindicenni è la preparazione di base, significa che a fallire è anche
la nostra scuola di base. Eppure quella che un tempo si chiamava «elementare»
aveva contribuito fino a qualche decennio fa a dare conoscenze e competenze
fondamentali davvero straordinarie, omogenee e diffuse su tutto il territorio
nazionale. E non a caso, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, gli
italiani si riconobbero finalmente in una Patria comune, perché comune era
diventata la loro lingua e la loro cultura di base, proprio grazie alla scuola
elementare; mentre è stato a mio avviso sopravvalutato il ruolo pur utile della televisione e soprattutto quello di "Lascia o raddoppia".
Alla base del successo di quella scuola c’erano innanzitutto maestre e maestri che erano figure di grande importanza nelle comunità in cui operavano e sapevano che era irrinunciabile raggiungere gli obiettivi stabiliti dai programmi. Tanto più che alla fine della seconda e della quinta classe sarebbero stati verificati e giudicati da colleghe e colleghi che avrebbero esaminato i loro allievi e, di conseguenza, il loro lavoro. E c’erano inoltre famiglie che dalla scuola si attendevano quello che a molti di loro non era stato concesso; e cioè che almeno i loro figli sapessero leggere e scrivere e fare i conti, magari per poter controllare che il bottegaio o il padrone non si approfittassero della loro ignoranza. Fu quella una grande scuola a tal punto da primeggiare per anni e anni a livello internazionale. C’è da chiedersi, tra l’altro, quanto abbia influito il fatto di togliere il maestro, pardon, la maestra unica affidando le classi, come avviene da qualche decennio, a una girandola di docenti spesso costretti a perdersi dietro progetti, attività multidisciplinari, progettazioni a breve, medio e lungo termine fatte spesso, come le norme stesse richiedono, specialmente di chiacchiere e burocrazia. E le materie da sole sono almeno una dozzina. È facile, così, perdere di vista gli obiettivi fondamentali di una scuola di base.
Alla base del successo di quella scuola c’erano innanzitutto maestre e maestri che erano figure di grande importanza nelle comunità in cui operavano e sapevano che era irrinunciabile raggiungere gli obiettivi stabiliti dai programmi. Tanto più che alla fine della seconda e della quinta classe sarebbero stati verificati e giudicati da colleghe e colleghi che avrebbero esaminato i loro allievi e, di conseguenza, il loro lavoro. E c’erano inoltre famiglie che dalla scuola si attendevano quello che a molti di loro non era stato concesso; e cioè che almeno i loro figli sapessero leggere e scrivere e fare i conti, magari per poter controllare che il bottegaio o il padrone non si approfittassero della loro ignoranza. Fu quella una grande scuola a tal punto da primeggiare per anni e anni a livello internazionale. C’è da chiedersi, tra l’altro, quanto abbia influito il fatto di togliere il maestro, pardon, la maestra unica affidando le classi, come avviene da qualche decennio, a una girandola di docenti spesso costretti a perdersi dietro progetti, attività multidisciplinari, progettazioni a breve, medio e lungo termine fatte spesso, come le norme stesse richiedono, specialmente di chiacchiere e burocrazia. E le materie da sole sono almeno una dozzina. È facile, così, perdere di vista gli obiettivi fondamentali di una scuola di base.
Nel 2017 oltre
700 docenti universitari avevano spiegato, in un appello «contro il declino
dell’italiano a scuola», in quali condizioni arrivassero molte matricole. E
chiedevano «una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti, con
l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli 8 anni del primo
ciclo», tra cui il dettato ortografico e il riassunto. C’è stata solo qualche
modifica all’esame di terza media e niente per la scuola primaria, peraltro
privata da anni di qualsiasi esame. Non si potrebbe ricominciare da qui?
Valerio
Vagnoli
(“Corriere Fiorentino” del 22 dicembre 2019)
3 commenti:
Sono totalmente d'accordo. All'Università arrivano studenti che non comprendono quello che leggono. Si dovrebbe ripartire dal dettato e dal riassunto nella scuola elementare e nella media inferiore diminuire la mole di nozioni che i ragazzi devono imparare selezionando ciò che è significativo, per es. nello studio della storia o nell'analisi logica. Perché i complementi si sono moltiplicati a dismisura? Basterebbe attenersi ai casi della lingua latina, ad ognuno dei quali corrispondono due o tre complementi principali.
Io aggiungerei anche di curare la calligrafia. I ragazzi arrivano alle superiori che non sanno scrivere in corsivo e non usano più le maiuscole, ciò va benissimo per scrivere post sui social, ma non per la scuola e quindi una formazione più profonda. Questo è dovuto a mio avviso al fatto che nella primaria si insegna a scrivere in contemporanea il corsivo e lo stampatello minuscolo e maiuscolo. Non basterebbe imparare a leggere lo STAMPAtello minuscolo e maiuscolo e lasciare che siano i computer a usare i caratteri a stampa?
Enrica Mussi
Sono d'accordo con l'articolo e con i due commenti. Quindi riassunti e corsivo. Perché come fa uno a dire la sua se non capisce bene quello che dicono gli altri? Ah la grammatica che si faceva un tempo! Analisi grammaticale, l'anno dopo l'analisi logica e poi quella del periodo. E poesie a memoria. I bambini e i ragazzi imparano tutto. I testi a memoria dopo il '68 sembrarono imposizioni autoritarie. E smisero anche i maestri di dire: "Ragazzi, allora per venerdì imparate a memoria questa poesia". Io, ora vecchio, imparai molto a memoria e mi sento ricco. Un bel testo a memoria è una ricchezza musicale, lessicale, anche filosofica. Ho avuto studenti all'Università di molti paesi e li ho trovati comunque meno preparati dei nostri. E per stimolare la preparazione su un testo scritto non resta che studiare testi che esistono solo scritti, cioè: latino. Questo serve per avere un sentimento della storia umana perché in qualche modo il passato ti parla e ti costriunge a capirlo.
Giovanni Falaschi
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