lunedì 25 ottobre 2010

LA FINE DEI MESTIERI NELL’ITALIA DEI “CALL CENTER”

Ieri, gran parte dei quotidiani dedicavano ampio spazio a quanto Confartigianato denuncia: è difficilissimo trovare dei giovani disposti a fare una serie di mestieri. I ragazzi italiani sono quasi tutti intenti a realizzare il sogno dei loro genitori, un diploma liceale, perché il liceo, si sa, o almeno così pensavano e pensano tanti illuminati pedagogisti e politici italiani, è la scuola dei ricchi, quindi quella che ha maggior valore, ed è quella che insieme alla “sistemazione” di prestigio, dovrebbe garantire la vera cultura, quella che finalmente mette sullo stesso piano i pierini e luigini italiani. Peccato poi che la storia vada diversamente e che troppi laureati siano in cerca di occupazione.
Proprio coloro che si sono tanto appassionati alle “intelligenze multiple” si sono spesso accaniti nel volere a tutti i costi un sistema formativo sostanzialmente “licealizzato” (si veda l’ampio schieramento a favore del biennio unico alle superiori). Magari sono le stesse persone che pontificavano in convegni e corsi di aggiornamento su quanto fosse importante attuare un’istruzione quanto più possibilmente individualizzata e rispettosa dell’intelligenza e della personalità dell’individuo.
Così, oggi, gran parte di quelle ragazze e ragazzi sono fuori dal mercato del lavoro o passano, nel migliore dei casi, da un part-time all’altro, bramando qualche ora di lavoro nei call center o in una supplenza a chissà quanti chilometri da casa (quella dei loro genitori, ovviamente). Ai campioni della pedagogia e della politica scolastica “progressista” andrebbe ricordato che così non viene garantito il diritto ad essere almeno un po’ felici ed appagati dalla vita. Sfido chiunque ad esserlo se a trenta o quarant’anni si trova in tasca una laurea inutile e un certificato di disoccupazione.
Un’ultima riflessione. Ovviamente i figli dei benestanti, coloro che possono contare su genitori professionisti, manager, dirigenti, eccetera, continueranno ad essere i soliti pierini. Infatti in un sistema in cui il merito non conta quasi nulla, la mobilità sociale rimane rigidamente orizzontale, esattamente come vogliono i tanti interessati alla moltiplicazione delle sedi e facoltà universitarie e ostili, nello stesso tempo, alla formazione professionale. Meglio disoccupati e infelici a trent’anni e oltre, e destinati ad un lavoro di ripiego, ma “acculturati” e illusi da una formazione liceale e universitaria senza alcun sbocco occupazionale. Esattamente come accadeva nelle Filippine di Marcos negli anni settanta e nei primi anni ottanta. Auguriamo loro di non subire, alla fine, il destino di tanti giovani laureati che negli anni ottanta abbandonarono le Filippine per cercare lavoro in ogni parte del mondo. (Valerio Vagnoli)

Il Comunicato della Confartigianato
L’articolo di Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera
Il commento di Oscar Giannino sul Messaggero

7 commenti:

Sergio Palazzi ha detto...

Ovviamente, parole sante.

"Ah certo, non vorrai mica che mia figlia vada all'istituto tecnico, lei deve avere una cultura...", ripete ogni brava mamma minimamente borghese, dalla parrucchiera o in coda al banco del supermercato.

Quel che mi fa un po' innervosire è continuare a usare il termine "tecnico-professionale" per le scuole dverse dai licei. Non sto a ripercorrere tutta la storia, anche se avevo studiato dei documenti di circa cent'anni fa sul dibattito che c'era allora tra gli emuli dei don Ferrante e dei personaggi di Parini che volevano licealizzare la scuola e la cultura (e purtroppo ci riuscirono), e chi, discendendo dai Cattaneo e su fino ai Galileo ed ai Bacon, diceva che il profilo tecnico era non solo PIU' socialmente utile ma anche PIU' culturale...

Ecco, la mistificazione che è passata, anche nella testa degli insegnanti, è che il percorso tecnico sia una cosa simile a quello professionale, diciamo serie B e serie C, perchè non si può chiamare "scuola" qualcosa in cui si faccia altro che stare seduti nei banchi a guardare dei libri, o al più ad assistere a "dimostrazioni" di laboratorio per la "verifica" delle leggi scritte nei libri. I primi a perpetuare la mistificazione sono ovviamente i docenti delle medie inferiori che fanno l'orientamento, e che spesso nemmeno sanno quali scuole ci siano sul loro territorio ma conoscono solo la venerata parola che inizia per L.

E la distinzione gerarchica tra le scuole si traduce in una distinzione di dignità dei frequentanti. Peccato che a guardare proprio bene...

Recentemente nella città dove lavoro ci sono stati gli studenti di un liceo scientifico, la cui fama peraltro era già nota quando studiavo io, che hanno bigiato per andare ad irrompere nelle altre scuole a volantinare "contro la Gelmini", entrando nelle aule a viso coperto. Dopo lunghe polemiche sulla stampa, e non so se e quante denunce, pare che la scuola di appartenenza assegni loro un giorno di sospensione, caspita! Pare che tra i corsari giuggioloni non ci fossero studenti di istituti tecnici. In compenso, al recente open day, c'era la fila di genitori davanti allo stand di quel liceo.

L'ultima volta che mi sono affacciato in un'aula di liceo scientifico, istituto fortunatamente migliore del precedente, per parlare con una collega di questioni di servizio, ho visto una mandria di giovanotti svaccati che per tutto il tempo in cui sono rimasto non facevano che discutere e scherzare ad alta voce, nonostante un paio di duri richiami della collega. Non ho potuto che commentare "è vero che io sono abituato ad un istituto tecnico e dai miei mi aspetto di più..."

Ci vorrà una generazione di falliti da call center (i "paraumanisti light", li chiama una preside milanese) per capire la truffa sociale di far credere alle famiglie che il LIICEEEO (pronunciato arrotando bene le vocali, ovvio: e non parlo di quello vero, cioè il Classico) è la sola scuola degna di farsi scaldare i banchi dalle terga dei loro pretenziosi ma scioperati figli.

E continuare a identificare nella stessa espressione due cose egualmente importanti, ma che strutturalmente dovrebbero essere quasi agli antipodi, come istruzione tecnica ed istruzione professionale, non fa che perpetuare questo inganno sociale.

Papik.f ha detto...

Tutto vero, mi chiedo però se la riforma Gelmini, che trovo assai apprezzabile per quanto riguarda i Licei, non sia andata in una direzione sbagliata per i restanti indirizzi.
Il Bauhaus di cui parla Maurizio Ferrera non spuntò come un fungo, ma fu l'erede e il frutto dell'evoluzione delle scuole di Arts&Crafts, nate in Gran Bretagna ma diffusesi in tutta Europa. In Italia queste scuole avevano assunto (dopo un evoluzione che sarebbe interessante studiare, a partire dalle Scuole di Arti e Mestieri e dai Musei artistico-industriali post-unitari), la forma degli Istituti d'Arte. La riforma ne ha fatto piazza pulita per trasformarli in Licei artistici.
Ho insegnato per anni in un professionale per grafici pubblicitari e alcune volte capitava che gli alunni più validi, in seguito agli stage e alle attività di terza area che svolgevano negli ultimi due anni, riuscissero a passare direttamente dallo studio ai primi contratti di lavoro. Magari accadeva di rado, ma accadeva. Questo indirizzo, insieme a molti altri, è stato soppresso; e come cercano di sopravvivere (comprensibilmente) gli insegnanti scampati al naufragio se non istituendo una sezione di Liceo artistico?
A me sembra difficile sostenere che simili scelte vadano in direzione di un potenziamento dell'Istruzione professionale.

Andrea Ragazzini ha detto...

Del tutto d'accordo con Papik.f, nel giudicare molto negativamente soprattutto la riforma dei professionali, dove le ore di laboratorio, cioè quelle più importanti, sono ridotte ai minimi termini. Si doveva fare il contrario, svoltando decisamente verso una formazione professionale di alto livello, anche nel campo dell'arte e dell'artigianato. Avanti invece con le illusioni dei "paraumanisti light", secondo l'efficace battuta del preside milanese.

Anonimo ha detto...

Perdonate l'ignoranza. Cosa significa il riferimento ai luigini e pierini?

Valerio Vagnoli ha detto...

In premessa devo dire che, per un lapsus, chissà perché ho scritto “Luigino” invece di “Gianni”. Detto questo - e ringraziando chi me lo ha fatto notare - spiego che nella Lettera ad una professoressa di don Milani si contrappongono costantemente le sorti scolastiche e sociali del bambino ricco (Pierino) e di quello povero(Gianni). In polemica con certa vulgata donmilaniana, ritengo che la personalizzazione dei percorsi scolastici e formativi sia necessaria e rispettosa delle attese e del carattere di ciascun individuo, anche nel caso in cui si tratti di un adolescente che si affaccia alla vita con le sue attese che nessuno, tantomeno chi si occupa della loro formazione (i docenti) e del loro futuro (i politici) dovrebbe censurare o tarpare. Se ai Gianni di oggi e, ovviamente, anche ai Pierini, si fa credere che i percorsi professionali sono per falliti e per chi non è proprio adatto al liceo, si rischia di essere ancora più classisti di quanto non lo fosse la società contro la quale don Milani inveiva. Dei maestri veri e dei politici altrettanto veri dovrebbero invece fare di tutto per diffondere il concetto che nessuna scuola è migliore e più prestigiosa di altre, ma che è importante appassionarsi a ciò che desideriamo fare per farlo bene e per sentirsi uguali agli altri. Invece si inculca loro, fin da quando sono ragazzi, che la società è dotata di valori culturali di carattere piramidale, per cui trovarsi alla base di questa piramide significa scegliere un profilo basso e inferiore rispetto ad altre opzioni formative. Il paradosso è che i responsabili di tale abominio sociale sono tanti pedagogisti, si fa per dire, e politici, si fa ancora per dire, che si professano progressisti!
Valerio Vagnoli

RENDINE ha detto...

CARO PROF VAGNOLI,MA NON CI POSSIAMO CONFRONTARE IN UN DIBATTITO TELEVISIVO,CON QUESTE PERSONE CHE HANNO FATTO LA RIFORMA
NELLA SCUOLA PROFESSIONALE.QUESTI RAGAZZI HANNO BISOGNO DI NOI, PER INSERIRSI NEL MONDO DEL LAVORO.
QUESTE PERSONE INCOMPETENTI NON SANNO IL DANNO CHE STANNO CAUSANDO
AI RAGAZZI, E AL MONDO DEL LAVORO?
IO PENSAVO CHE QUESTA RIFORMA RIMEDIASSE ALL'ERRORE FATTO DAL FAMOSO PROGETTO 92 IN CUI RIDUSSE LE ORE TECNICHE-PRATICHE E SOPPRESSE ALCUNE QUALIFICHE, TRA CUI LA QUALIFICA DI MOTORISTA MECCANICO, OGGI LA PIù RICHIESTA.
E DA ALLORA CHE è INIZIATA LA DISPERSIONE SCOLASTICA.LA NUOVA RIFORMA è UNA CONFUSIONE TOTALE, L'ISTRUZIONE PROFESSIONALE HA PERSO LA SUA IDENTITà.
ALCUNI RAGAZZI ISCRITTI AL PRIMO ANNO SCOLASTICO VOGLIONO ABBANDONARE GLI STUDI, PERCHè NON CI SONO PIù LE QUALIFICHE.COSA FANNO QUESTI RAGAZZI?

Valerio Vagnoli ha detto...

Gentilissimo Professor Rendine, condivido in pieno la sua sintesi. Dubito tuttavia che qualcuno possa invitarci ad un contraddittorio televesivo: i giornalisti, evidentemente, sono troppo presi dal desiderio di dimenticare i loro trascorsi scolastici per essere interessati alla scuola, e coloro che l'hanno rovinata sono spesso( lo dico per esperienza personale) refrattari a qualsiasi confronto, almeno quanto lo era il povero islandese con la natura. Ovviamente non dobbiamo portare pazienza: ci ignorano, ma noi non ignoriamo loro, perché pensiamo che solo attraverso un serio confronto si sviluppa, citando ancora Leopardi. ".. in meglio l'onesto e il retto
conversar cittadino..". Così non rinunciamo, esattamente come fa Lei, a denunciare le incongruità di certe scelte. Non saremo chiamati in televisione, ma avremo la coscienza tranquilla( dice poco, di questi tempi?)perché, al contario di altri, anziché nasconderci dentro il confortante sogno dell'ideologia, abbiamo preferito misurarci costantemente con la realtà e con i problemi reali che essa propone.