Lo smartphone
in classe?
È un incentivo
alla distrazione
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Il proibizionismo
non funziona
La scuola insegni
a essere liberi
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GIORGIO RAGAZZINI
Sull’uso
scolastico dello smartphone, di cui si è occupata Valeria Strambi su La Repubblica Firenze, si discute da
tempo e in modo particolare da quando la ministra Fedeli ha deciso di creare
due gruppi di “super esperti, per elaborare, entro gennaio, linee guida e
proposte operative”. A parte il fatto che i veri super esperti in materia
sono i docenti, che da qualche anno devono combattere un avversario in più
della già labile capacità media di attenzione dei loro allievi, mi permetto
di mettere in fila i principali motivi per cui si tratta di un’iniziativa
profondamente nociva. Lo farò subito dopo aver ricordato che proprio in
questi giorni il ministro francese dell’educazione ha deciso di vietare l’uso
dei cellulari, già operativo durante le lezioni, anche durante pause e
intervalli. "Oggigiorno
– ha dichiarato – i bambini e i ragazzi non giocano più nelle pause, sono
tutti di fronte ai loro smartphone e dal punto di vista educativo questo è un
problema". Detto questo, i
cellulari in mano ai ragazzi durante le lezioni sono un formidabile incentivo
a distrarsi praticamente impossibile da controllare. Lo conferma lo stesso
presidente dell’Indire Biondi citato nell’articolo, che pone come condizione necessaria
per permetterlo il “ribaltamento di spazi e tempi dell’apprendimento”.
Qualunque cosa significhi, non sarà così né domani né l’anno prossimo, il che
equivale alla necessità di vietarli. Secondo motivo per dire no: non è
affatto un bene che la scuola si faccia invadere da tutti i fenomeni “che
ormai fanno parte della quotidianità di tutti noi”, come dice la
professoressa Ranieri. Al contrario, gli allievi devono poter fare esperienza
della possibilità di non rimanere rinchiusi in tutto ciò che il mondo esterno
ci propone e propina. Esistono poi ormai numerose conferme scientifiche della
diffusione di una vera e propria dipendenza dal cellulare, diventato per
molti ragazzi fonte di stress e di ansia, per il bisogno di essere sempre
contattabili e la paura di esaurire la carica. E secondo una ricerca britannica, il 60% dei giovani tra i 18 e 29
anni va a letto con lo smartphone. Non si capisce quindi perché,
mentre si mettono in guardia i giovani rispetto a fumo, alcol e droghe, si
debba poi addirittura nobilitarlo come insostituibile strumento didattico.
L’autore è tra i
fondatori del Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della
responsabilità
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LUDOVICO ARTE
Il Gruppo di Firenze ha da tempo dichiarato guerra alla
scuola che considera “buonista”. E non perde occasione per ribadire che
occorre recuperare autorevolezza e serietà attraverso l’ordine e la
disciplina, il rigore e i divieti. Così si chiedono più bocciature, si
rivaluta il voto di condotta, si propongono i cani antidroga per far paura ai
ragazzi, si esigono misure esemplari verso chi non rispetta le regole.
L’ultima crociata è quella contro i telefonini, i nuovi demoni dei tempi
moderni. Il Gruppo di Firenze rappresenta, naturalmente, una idea di scuola
legittima. Che trova facile consenso in quella parte di opinione pubblica che
cerca certezze nel ritorno al passato. Noi la pensiamo diversamente.
Ripartiamo dalla questione dei telefonini. Che oggi se
ne faccia un uso eccessivo è certo. Ma è altrettanto certa la loro utilità,
come dimostra il fatto che tutti li abbiamo in tasca. A meno che non si pensi
che il demonio si sia impossessato di noi. La scuola non deve seguire le
mode, ma non può essere fuori dalla realtà. Perché la scuola fuori dalla
realtà l’abbiamo conosciuta e non la rimpiangiamo. Il problema non è il
telefonino in sé. E’ l’abuso. Ma contrastarlo con i divieti sarebbe come
bloccare le auto perché ci sono gli incidenti stradali. Il proibizionismo ha
già dimostrato storicamente la sua inefficacia e, oltretutto, impedire
qualcosa agli adolescenti alimenta spesso il loro desiderio. Lo
psicoterapeuta Renato Palma racconta una simpatica storiella in cui la
comunità dei Sissipole si contrappone a quella degli Unsipole. La scuola
italiana è stata per troppo tempo vittima degli Unsipole, che vietavano di
tutto. Riempire di mostri l’immaginario dei nostri ragazzi non ci sembra la
strada giusta. Vorremmo una scuola in cui le regole liberino e non
imprigionino, dove si educhi a essere autonomi e responsabili, anche rispetto
ai telefonini. Il modello autoritario, che, per dirla con Recalcati, pretende
di indicare la retta via e raddrizzare le viti storte, non è il nostro.
Perché le viti storte le amiamo e perché vorremmo che ognuno la retta via se
la trovi da solo. In una parabola un uomo va dal dottore per un terribile mal
di testa. Racconta che non beve mai, non fuma, non fa sesso e va a letto
presto. E’ moralmente rigoroso e non cede alle tentazioni. “Il suo problema è
semplice”, gli dice il dottore, “Ha l’aureola troppo stretta, non c’è che da
allentarla un po’”. Ecco, una scuola che fa venire quel genere di mal di
testa non ci interessa.
L’autore è dirigente scolastico e
collaboratore di “La Repubblica Firenze”
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domenica 17 dicembre 2017
IL CELLULARE A SCUOLA: PERCHÉ NO E PERCHÉ SÌ (“la Repubblica Firenze” di oggi)
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24 commenti:
Che vergogna difendere il cellulare a scuola: a scuola si ascolta l'insegnante. E poi cosa vuol dire che 'la scuola fuori dalla realtà l'abbiamo conosciuta e non la rimpiangiamo'? Che parli per sé: io rimpiango moltissimo la scuola di soli tre decenni fa.
Inoltre in questi fautori del nuovo, anime candide, mai un sospetto degli intrallazzi economici tra il ministero e la Apple. Sono ingenui e profondamente stupidi.
RR
Ma soprattutto: perché mai bisogna sbracciarsi per dare ulteriore visibilità a un figuro insignificante come Ludovico Arte, che non è riuscito a ottenere il minimo seguito nemmeno dopo che uno dei maggiori quotidiani nazionali gli ha offerto la possibilità di scrivere sulle sue pagine ufficiali?
Nel suo blog giornalistico, in cui ripete sempre le stesse banalità mielose e buoniste, non c'è quasi mai nessun commento, e quei pochi che ci sono sono negativi.
Vale la pena di parlarne, e di considerarlo un interlocutore credibile?
Ho letto oggi il giornale e sono andata su internet per cercare il gruppo di Firenze perché con mio marito abbiamo discusso di quello che avete scritto. I nostri due figli hanno frequentato una scuola fatta di chiacchiere tanti progetti e insegnanti alla mano. Ne sanno meno di noi che ci siampo fermati alla terza media. Gli sono manacate le esercitazioni con i cellulari ma su quelli ne sapevano più di me fin da quando erano alle medie. Quando gli ho domandato quale insegnante ricordino più volentieri nessuno dei due mi ha fatto un nome. Vorrà dire qualcosa o no? Io gli ricordo tutti i miei insegnanti e soprattutto due che sapevano insegnarci e guai se non s'imparava. I nostri sacrifici per farli studiare sono serviti a poco.
Marisa
I cellulari servono a copiare, distrarsi e fare foto inopportune durante le lezioni. V.
Il proibizionismo è inefficace solo quando resta sulla carta, come purtroppo in Italia da molti decenni sistematicamente accade. Altrove invece non saranno molte le cose vietate, ma quelle che sono vietate sono vietate davvero, e le punizioni sono inesorabili.
Chi sarebbe poi questo Ludovico Arte?
Il commento di Marisa andrebbe incorniciato e messo nell'atrio di tutte le scuole. V.
Concordo. Il commento di Marisa è la dimostrazione che la diminuzione di serietà della scuola danneggia maggiormente proprio quelle persone che a parole si sostiene di voler aiutare e non voler “escludere”.
Il che del resto è una banale ovvietà per quanti non guardano la realtà con i paraocchi ideologici, come invece avviene da cinquant’anni a questa parte.
Gli smartphone sono utili altrimenti non li avremmo in tasca. Che razza di argomento sarebbe? Le padelle antiaderenti sono utili altrimenti non le avremmo in cucina. Le chiavi inglesi sono utili altrimenti non le avremmo nella cassetta degli attrezzi. I rasoi sono utili altrimenti non li avremmo in bagno. Eccetera.
Ogni oggetto ha una sua utilità, si tratta di vedere se lo specifico oggetto smartphone abbia una sua utilità nella didattica. Tutti gli oggetti citati ce l’hanno, entro particolari indirizzi di insegnamento; ma nella grande maggioranza delle lezioni apporterebbero solo disturbo e pericolo. Sono convinto che anche lo smartphone, in determinati casi, possa averla e in tali casi, ben delimitati e circoscritti, vada usato se l’insegnante lo ritiene opportuno.
Il problema è il suo uso diffuso e continuato che costituisce un ovvio disturbo dell’attenzione e della correttezza di comportamento durante le lezioni. Oltre a favorire, come hanno fatto notare in Francia, una tendenza a preferire i contatti virtuali alle relazioni reali durante gli intervalli.
Un altro problema, ancora più grave, è l’ostinazione con la quale personaggi che non sembrano avere particolare dimestichezza con il congiuntivo insistono a voler imporre dall’alto lo smartphone come panacea di tutti i mali dell’insegnamento, o comunque quale necessario elemento di rinnovamento e strumento di una scuola-che-guarda-al-futuro-e-deve-essere -al-passo-con-i-tempi-e-con-le-esigenze-della-società.
Proprio come a suo tempo avvenne per le LIM, il cui triste declino, scritto nella realtà delle nostre scuole sin dall’inizio (chiunque ne avesse la minima conoscenza avrebbe potuto, e dovuto, prevedere il destino ineluttabile di un qualsiasi strumento di costosa manutenzione), sembra si stia ora concretizzando e rendendo evidente a tutti.
A proposito delle Lim confermo, in base alla mia esperienza, come l'ubriacatura sia quasi del tutto passata. Nei miei ultimi anni di lavoro osservavo come più aumentava il loro numero e meno venivano usate, mentre continuavano ad essere presi d'assalto i laboratori tradizionali, pur inadeguati e insufficienti. Colpa certo dei docenti, forse più a loro agio con la tradizione, ma anche consapevolezza da parte loro che neppure con le Lim si sarebbe realizzato il tanto celebrato trionfo di una didattica nuova e di un catartico totale coinvolgimento dei ragazzi nelle lezioni. Senza contare che la vera didattica laboratoriale la si fa nei laboratori e non davanti a schermi, singoli o collettivi essi siano, che si oppongono frontalmente senza creare quel coinvolgimento che invece i laboratori tradizionali riescono ancora a garantire. E riescono anche a coinvolgere maggiormente gli studenti costringendoli a quel connubio mente-braccio che alla fine riesce a trasmettere loro entusiasmi concreti e oggettivati di fronte ai risultati finali positivi da urla di gioia e braccia spalancate.
Nella mia personale esperienza, le lim si usano eccome, frequentemente e diffusamente, ma solo come proiettori.
Ossia, per mostrare agli alunni materiale scaricato direttamente da internet in quel momento... oppure per mostrare agli alunni materiale che l'insegnante ha preparato a casa e che si è salvato su un chiavetta o su una cloud.
Il cellulare in classe è più migliore dei libri.
Parola di ministra.
E mi raccomando, niente congiuntivi. V.
Il professor Ludovico Arte ha risposto sul suo blog a un'obiezione sullo stesso stile di quelle che appaiono qui.
E ha ribadito la sua solita posizione: se i ragazzi giocano col cellulare a scuola, è colpa degli insegnanti che fanno lezioni troppo noiose.
Se solo noi ci sforzassimo di fare lezioni più divertenti dei videogiochi o degli scambi di messaggini frivoli su whatsapp, allora il problema non esisterebbe.
La responsabilità è nostra, perché non siamo capaci di essere abbastanza accattivanti e di fare concorrenza alle seduzioni commerciali e consumistiche.
Meraviglioso.
Se queste persone fossero coerenti nelle loro idee dovrebbero propugnare parallelamente l'abolizione dell'obbligo scolastico: se infatti la scuola è un luogo dove gli alunni devono andare per divertirsi, che bisogno c'è di obbligarli? Esiste forse lo stadio dell'obbligo? La gelateria dell'obbligo? La discoteca dell'obbligo? Ovviamente no. L'unica cosa che è (o era) "dell'obbligo", come la scuola, è - guarda un po' - il servizio militare. Ovvero una cosa che nessuno, tranne un esiguo numero di volontari, percentualmente pari a quello dei "secchioni" a scuola, faceva volentieri.
Invece di solito queste persone che hanno una visione lunaparchesca della scuola sono anche i più sfegatati sostenitori dell'innalzamento dell'obbligo a 18 anni o più avanti ancora.
Non si rendono neppure conto della macroscopica incoerenza delle loro posizioni.
E pretendono pure di essere ascoltati? Ma per piacere...
Mi sembra abbia troppa acrimonia nei vostri confronti. Che ne pensate?
Marisa
Molti che scrivono di scuola la detestano e vogliono trasformarla in luna park. Misterium fidei. V.
Ho conosciuto Arte quando fummo entrambi invitati da una radio fiorentina per un confronto su temi educativi; e fu un dialogo molto civile, senza punte polemiche. Per questo anch'io mi sono chiesto il perché di questi toni. Un'ipotesi plausibile è che dipendano almeno in parte dai risultati, resi noti di recente, del sondaggio che abbiamo commissionato all'istituto Eumetra (v. post del 30 novembre). Fino a oggi, chi la pensa come il preside Arte poteva presumere di avere dalla sua la maggioranza della popolazione su come la scuola dovrebbe atteggiarsi rispetto alla disciplina e alla valutazione degli apprendimenti. Dopo quei dati, secondo i quali dal 60 al 70% circa degli italiani sono per una scuola più rigorosa sia sul comportamento che sulla preparazione, questo non è più possibile. Di qui, forse, un accentuarsi della polemica.
Fa il preside? Poveretti gli insegnanti della sua scuola.
Poi sono anni che si è consapevoli del fallimento di certi modelli: l'esigenza di tornare indietro è molto sentita da famiglie e docenti.
RR
Sono sempre io (paniscus) anche se scrivo da un altro accesso occasionale, senza registrarmi con la solita login. E ammetto che stavolta non parlo da insegnante, ma da privata cittadina.
Vedo che si è paragonata la discussione sui cellulari a quella sulle ispezioni antidroga delle forze dell'ordine con i cani, che sarebbero da evitare in quanto a rischio di traumatizzare i poveri fragili studenti.
A prescindere da ogni questione ideologica, io dico apertamente che se uno dei miei figli frequentasse una scuola in cui si tollerano comportamenti non solo illegali, ma oggettivamente pericolosi per l'incolumità e la salute dei ragazzi (come lo spaccio di stupefacenti, per quanto "leggeri"), senza prendere provvedimenti formali, non solo gli farei cambiare scuola all'istante, ma denuncerei la scuola per complicità.
Per quanto possa personalmente strafregarmene se qualche maggiorenne si fa le canne in privato... resta il fatto che se qualcuno se le porta a scuola (dove non è consentito fumare nemmeno normali sigarette di tabacco perfettamente legale) non è per uso personale, ma è solo ed esclusivamente per spacciarle ad altri, e lo spaccio è reato.
Se venissi a sapere che mio figlio frequenta una scuola in cui lo spaccio è tollerato, e in caso di evidenza conclamata di spaccio si fa di tutto per non chiamare la polizia per evitare traumi o per evitare scandali, io pianterei un casino che la metà basta.
E assicuro che lo farei esattamente allo stesso modo anche se ci fosse il sospetto che ad essere coinvolto fosse mio figlio stesso.
Paniscus 10 e lode.
Grande Paniscus. V.
Il D.S. Arte mi pare fuori della realtà. Vive nel paese dei Balocchi dove tutto è consentito con la conseguente trasformazione in asino.
Pone i problemi senza dare soluzioni: troppo facile. Della serie " se lo conosci evitalo".
Massimo
Purtroppo non mi sembra affatto "fuori dalla realtà", anzi, all'esatto contrario: è perfettamente integrato nella realtà della società attuale, e agisce consapevolmente in maniera da adattarvisi.
Il suo atteggiamento è funzionale a rispondere alle aspettative di un'utenza, sia studenti che genitori, che vuole esattamente quello.
Ossia disimpegno, superficialità, gratificazione immediata senza sforzo, giustificazione a oltranza per qualsiasi comportamento, protezione assoluta da qualsiasi contrarietà e da qualsiasi limitazione al capriccio individuale, e diritto a ritrovarsi serviti con la pappa pronta (e, se questo non avviene, lamentarsi che è sempre colpa qualcun altro).
La 'ggente vuole questo (anche se non si dice "ggente", ma adesso si dice "partecipazione al dialogo educativo" o "esigenze del territorio", e il preside-venditore glielo dà. Non è sbadataggine, o nemmeno idealismo, è una strategia voluta, per accattivarsi il consenso dell'utenza e di una certa categoria di opinione pubblica.
silvia p.
Sono Peter di Milano... Alcuni dicono che l'incantesimo d'amore non funziona, ma ho visto che l'incantesimo d'amore funziona tutto a causa del dottor ADELEKE il miglior lanciatore che ha lanciato un incantesimo per me e ha riportato mio marito a me e ora stiamo vivendo come una famiglia tutto grazie al dottor ADELEKE. È possibile contattarlo su WhatsApp: +27740386124 o inviarlo via e-mail: ( aoba5019@gmail.com )
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