venerdì 6 luglio 2018

MA ERA PROPRIO DEL TUTTO SBAGLIATA LA CHIAMATA DIRETTA?

Sui social, e non solo, docenti e sindacati scuola festeggiano l'accordo con il nuovo ministro della Pubblica istruzione con cui si abolisce la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei presidi. Entro certi limiti, questo istituto rappresentava una delle poche misure sensate contenute nella Legge 107. Anche se si trattava di un provvedimento alquanto raffazzonato, la novità c'era e poteva essere nel tempo molto utile. Cosa non andava e cosa poteva servire in quella norma? Prima di tutto, non erano state previsti efficaci controlli e forme di valutazione per “incentivare i presidi ad assumere gli insegnanti migliori invece che i loro protetti”, come ha scritto Andrea Ichino. In secondo luogo, non sarebbe stato opportuno estendere la chiamata diretta a tutti i docenti, come prevedeva la 107 dopo una prima fase in cui era riservata all’organico funzionale. Questo in considerazione della particolare tutela della libertà di insegnamento prevista nel nostro sistema (concorso pubblico e stabilità del posto di lavoro), a cui però si possono fare motivate eccezioni per esigenze specifiche; in altre parole, per costruire un organico d’istituto davvero funzionale. Ed è a questo scopo che la “chiamata diretta” prometteva di essere molto utile. Tant’è vero che fin dal primo anno della sua applicazione la stragrande maggioranza dei dirigenti abbandonò perfino i luoghi di vacanza per rintracciare i docenti disponibili a trasferirsi nella loro scuola, impegnandosi, come la legge prevedeva, a restarvi per almeno tre anni. Purtroppo alla fine gli unici, o quasi, ad accettare il contratto, furono gli insegnanti che avevano perso la cattedra e non quelli che sarebbero serviti ad arricchire e potenziare l'offerta formativa. Forti di un allenamento quotidiano al fare di ogni necessità virtù, sia i presidi che i loro collaboratori, senza perdersi d'animo, nella gran parte dei casi riuscirono a dare comunque un senso alla presenza di questi nuovi docenti, ai quali si chiedeva non solo di fare supplenze, ma anche di mettere a disposizione dei ragazzi e dei nuovi colleghi le loro particolari competenze.
L'entusiasmo di molti presidi rispetto a questa novità non nasceva infatti, come da molte voci sindacali si sostiene per giustificare la scelta del nuovo Ministro, dal potersi sentire dei "capetti" pronti a chissà quali nefandezze e arbìtri contro gli indifesi docenti, ma proprio dal percepire la possibilità che, malgrado le approssimazioni contenute nella 107, si potesse finalmente realizzare il famoso organico funzionale. Chi, come il sottoscritto, lavorava nella scuola già dagli anni settanta non ha dimenticato che si trattava di una rivendicazione della sinistra, anche sindacale, di allora. Come darle torto? Finalmente ogni scuola avrebbe potuto contare su docenti, tenuti a rimanervi per alcuni anni, in grado di arricchire l'offerta formativa a seconda del contesto (o territorio, come allora usava dire), in cui si trovava: per esempio, potendo disporre di un numero maggiore di docenti di italiano in relazione alla presenza di molti studenti stranieri.
Certo, il meccanismo era da perfezionare. Ma quello che per i sindacati ha contato, invece, è la necessità di tutelare innanzitutto l' “autonomia” e la “dignità” degli insegnanti messa a rischio, secondo loro, dall' autoritarismo dei Presidi. E sui social si legge anche che la chiamata diretta dei docenti avrebbe potuto permettere al dirigente di utilizzarli per il proprio tornaconto e per rafforzare il proprio potere. I rischi esistono ma, come ha sottolineato Ichino, si tratta di trovare i modi per evitare abusi, non di buttare il bambino con l’acqua sporca.
In realtà con la completa abolizione di questa possibilità i sindacati della scuola, in collaborazione col Ministero, si portano a casa quella che dal loro punto di vista è una bella vittoria: essere cioè riusciti, ancora una volta, a eliminare il rischio che valorizzando il merito la classe docente possa dividersi e perdere quella compattezza che rende tanto potenti, anche sul piano economico, le sue rappresentanze.
Un’ultima considerazione. Quale che sia il metodo di assegnazione alle scuole degli insegnanti e dei dirigenti, un sistema scolastico dovrebbe garantire non solo che non ci siano “capetti” e “raccomandati”, ma soprattutto che TUTTI, nessuno escluso, siano in grado di svolgere i loro compiti. Lo si fa con una severa selezione iniziale e con l’allontanamento di chi non è all’altezza. Ma di garantire questo elementare diritto degli studenti i sindacati non parlano.
Valerio Vagnoli

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