sabato 26 giugno 2021

LETTERA AI PROMOTORI DEL “MANIFESTO PER LA NUOVA SCUOLA” (e per conoscenza ai firmatari)

Gentili colleghi,

abbiamo molto apprezzato il vostro “Manifesto per la nuova scuola” e ne condividiamo la severa critica al main stream pedagogico-educativo che ormai da qualche decennio combatte come retrograda la scuola “incentrata sulla conoscenza e sulla trasmissione del sapere”, per usare le vostre parole, e che anche nella Didattica a distanza ha visto l’occasione per auspicare nuove fumose rivoluzioni metodologiche.

Del tutto d’accordo dunque sull’insensata contrapposizione tra conoscenze e competenze; sulla necessità di riaffermare la libertà di insegnamento, restituendo ai docenti la responsabilità di scegliere le metodologie più appropriate, e di una profonda sburocratizzazione della professione di insegnante; su una sostanziale revisione dell’autonomia scolastica, con il drastico ridimensionamento delle attività aggiuntive, per restituire centralità alla didattica curricolare; su un uso degli strumenti digitali funzionale alle scelte metodologiche di ciascun docente e non scioccamente mitizzato come perno di nuovi e più avanzati modi di fare scuola.

Detto del nostro sostanziale consenso alle idee portanti del “Manifesto”, a noi pare che rimettere al centro della scuola pubblica i contenuti culturali e, come voi dite, la loro elaborazione e acquisizione, richieda necessariamente di ridare valore allo studio e rendere gli studenti consapevoli dell’impegno, a volte della fatica, che questo comporta; insomma della loro parte di responsabilità nel realizzarsi come persone libere e cittadini consapevoli. Questo aspetto andrebbe chiaramente esplicitato, dal momento che è da tempo assente nella nostra scuola e tanto più oggi in quella delle “soft skills” e dell’apprendimento giocoso.

Per quanto riguarda il reclutamento e la formazione degli insegnanti, voi giustamente sottolineate la necessità di una approfondita preparazione culturale che si accompagni a un’ autentica motivazione all’insegnamento. Ci pare importante esplicitare che questo comporta necessariamente una rigorosa selezione, che garantisca agli studenti di ogni età insegnanti preparati e consapevoli delle loro responsabilità. Come sapete in Finlandia solo un aspirante su nove riesce a diventare insegnante, mentre da noi sono moltissimi i docenti entrati in ruolo ope legis e questo comporta che una quota certo minoritaria, ma tutt’altro che irrilevante, non ha né la motivazione né la preparazione adeguata per insegnare, con grave danno per i loro allievi.

Infine due osservazioni, relative ai percorsi di alternanza scuola-lavoro e ai test Invalsi. Quanto ai primi siamo d’accordo sul vostro giudizio negativo per quanto riguarda gli indirizzi liceali, mentre pensiamo che siano importanti per gli istituti tecnici e professionali, dove anzi dovrebbero essere potenziati e forse essere anche meglio integrati nell’orario scolastico.

Quanto ai test Invalsi siamo sostanzialmente d’accordo con quanto pensava Giorgio Israel, che ne era un severo critico perché troppo ambiziosi, ma li riteneva utili se finalizzati a verificare il raggiungimento di obiettivi minimi nelle materie fondamentali. Si tratta certo di chiarirne gli obiettivi, i contenuti e le modalità di somministrazione, ma a noi pare che sia responsabilità del Ministero avere un quadro il più possibile chiaro di come funziona la scuola pubblica anche al fine introdurre eventuali correttivi.

Cordiali saluti e buon lavoro.

 Andrea Ragazzini, Sergio Casprini, Giorgio Ragazzini

Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

 

10 commenti:

Enio ha detto...

Sono d'accirdo sua con la sostanza del Manifesto che con le vostre integrazioni e dustinguo. In particolare sottolineo l'importanza di una severa selezione, anche psucologica, degli insegnanti e la centralità dell'ora di lezione curticolare, mettendo fine al progettificio.
Manca però una serie di richieste necessarie per questa inversione:
1-mettere fine allo strapotere dei sindacati e subirdinare il Contratto di lavoro alle dusposizioni delle altre leggi, e non viceversa
2-abolire il fondo di Istituto reintegrando i soldi negli stipendi di tutyi i docenti, dando per converso fondi certi di funzionamento
3- selezionare anche il personale ausiliario con la dovuta serietà, evitando fenomeni incompatibili con le funzioni da svolgere
4- abolire il barocco sistema orfanico di diritto/irganico di fatto a favore di un organico legato al numero degli studenti e a particolari esigenze .
Senza queste innovazioni tecniche ogni proposito di tirnare al valore firmativo delle discipline è vano

Antonio Manno ha detto...

D'accordo su tutto ma facciamo sempre i conti senza l'oste, ossia l'università e il suo degrado didattico.

paniscus ha detto...

Mah, io non considererei il degrado didattico dell'università come un problema distinto dal resto del quadro: secondo me, i laureati delle ultmissime generazioni hanno una preparazione scarsa non tanto a causa delle mancanze dell'università (che pure ci sono), ma proprio perché hanno fatto TUTTO il loro corso di studi in un contesto di apprendimento ludico, superficiale e deresponsabilizzante.

Gli studenti della scuola concepita solo come un centro di socializzazione e di gratificazione emotiva, accattivante e gratificante, da cui sono bandite qualsiasi contrarietà e qualsiasi richiesta di sforzo, sono già arrivati all'età adulta (e molti di loro, anche alla laurea) avendo sempre vissuto solo quel contesto. Non so come funzioni in altri paesi, ma in Italia, un trentenne di oggi, non ha mai visto nient'altro, in campo didattico. Non solo all'università, ma in tutti i gradi scolastici precedenti.

Come si può pretendere che un giovane adulto, di colpo, all'università, cambi sistema, recuperando tutti gli apprendimenti e le competenze di base che gli sono mancati nell'infanzia e nella prima adolescenza?

Se fino a 20 anni non gli sono stati corretti gli errori di ortografia, oppure gli venivano corretti ma riceveva voti altissimi lo stesso (in base allo stramaledetto principio secondo cui "la forma non conta nulla" e "l'importante è dimostrare che hai capito il concetto"), non gli è mai stato chiesto di fare un riassunto, di rileggere pazientemente quello che ha scritto, di giustificare il perché ha usato un certo passaggio matematico invece che un altro (invece di limitarsi a "usare la formula giusta"), di esercitare un minimo di memoria, e se ha sempre concepito l'apprendimento come una vaga e veloce infarinatura senza nessuna attenzione ai particolari... come fa a cambiare da adulto?

paniscus ha detto...

...e alle condivisibili proposte e osservazioni riportate qui sopra, sia quelle espresse dai firmatari del Manifesto sia le aggiunte dei nostri blogger,aggiugerei anche questa: BASTA con l'ideologia della "personalizzazione" a tutti i costi, che ha raggiunto forme al limite del patologico.

Bisognerebbe avere il coraggio di ribadire che l'istruzione pubblica non è (solo) un servizio individuale alla persona, ma è soprattutto una prezioso e importantissimo contesto di formazione sociale e collettiva,

in cui il giovane impara gradualmente a uscire dall'ambito della vita familiare, fondata sui legami affettivi e sui (legittimi) interessi e aspirazioni del piccolo gruppo ristretto, e a sperimentare una situazione in cui si è tutti alla pari e si deve essere trattati da pari, a prescindere dalle simpatie e dai sentimenti privati.

Da 20 o 30 anni veniamo martellati con il concetto che la "scuola ideale" sia quella dove ogni singolo studente deve essere trattato come se ci fosse solo lui, e dove gli insegnanti devono comportarsi come se fossero precettori privati di ognuno di loro individualmente.

Si vuole avere il coraggio di ammettere che i protocolli personalizzati dovrebbero essere limitati a una minoranza di casi problematici molto specifici che (per fortuna) rappresentano l'eccezione...

...mentre alla stragrande maggioranza dei ragazzi "normali" (in senso statistico, non di merito) si possono tranquillamente richiedere obiettivi e impegni previsti per tutti?

Visto che comunque questi obiettivi sono già infinitamente più bassi di quelli dei decenni passati, come si spiega la mania dell'eccezione individuale che diventa di massa, per il timore che altrimenti non ce la facciano?

Come è possibile che si arrivi a classi in cui più della metà sono considerati in situazione di "bisogni speciali" o che di fatto vengono trattati come se li avessero, anche se non è vero? E soprattutto, a che serve?

Se sono tutti "speciali", vuol dire che comunque sono tutti alla pari (al ribasso) e che non è speciale nessuno!

Per me la didattica personalizzata dovrebbe essere riservata a eccezioni serie e documentate: disabilità o patologie medicalmente certificati, condizioni socioculturali veramente critiche (e anche quelle, documentate, non basta l'insegnante premuroso che dice "ma secondo me questa ragazzina non è serena in famiglia..."), o scarsa conoscenza della lingua.

E la scuola dovrebbe essere tenuta a motivare il PERCHE' si sono dovute adottare misure personalizzate, e non a giustificarsi del contrario e a doversi difendere per non averlo fatto, come avviene ora.

bruno telleschi ha detto...

Basta insomma con il delirio delle regole che vuole imporre agli insegnanti cosa fare, pensare, studiare, insegnare e imparare!

VV ha detto...

A conferma di molte delle cose scritte accenno alla mia esperienza di docente di Lettere terminata nel lontano 2006. Da qualche anno mi capitava ( nei decenni precedenti neanche un caso!) in occasione del primo compito in classe al triennio, di trovarmi di fronte ad alcuni lavori scritti in stampatello. Giudicavo il lavoro regolarmente ma aggiungevo com Post scriptum al giudizio che se la cosa si fosse ripetuta anche nel prossimo compito avrei evitato di leggerlo comminando un 2 ( per me il voto più basso è stato sempre il 4 ampiamente valido a motivare una pessima prova ). Lo sconto in occasione del primo lavoro era dovuto al fatto che il ragazzo o la ragazza non avevano colpe. queste erano infatti tutte quante dei miei colleghi che mi avevano preceduto negli anni e che avevano fatto finta di nulla forse anche perché correggere un elaborato scritto in stampatello è molto più semplice. NOn mi è mai accaduto di trovarmi di fronte ad una replica anche quando l'allievo aveva rivendicato problemi di disgrafia. problemi anche esistenti ma che la scuola si era guardata bene dal farglieli risolvere.

paniscus ha detto...

per VV: il punto è che oggi non ti sarebbe nemmeno consentito, di usare quel criterio.

Nelle scuole di oggi che conosco io, se un insegnante si permettesse di dare un 2 (o anche solo di abbassare leggermente il voto reale) "solo" per un problema di presentazione grafica, si ritroverebbe immediatamente la famiglia a protestare e il DS a dare ragione allla famiglia,

perché "ognuno ha diritto di scrivere come gli pare" e perché le preferenze dei docenti in fatto di grafia sarebbero da ridurre a "solo gusti personali" e non possono essere criteri di valutazione formali.

Nicola Scannicchio ha detto...

Nicola Scannicchio
Quest’ anno mio figlio ha superato gli esami di maturità. Le vicende della vita lo hanno portato a questa tappa più di 5 lustri dopo il fratello e quasi dieci dopo me. I festeggiamenti sono tuttora in corso. Non riesco però a partecipare alla gioia generale e, quel che è peggio, credo ne provi molto poca anche lui.
La ragione, è che in questo periodo si sono verificate le circostanze rievocati da Micromega e nella Vs risposta. Ma la radice profonda sta nel fatto che, al di là dei temi di riforma, il declino ha toccato la struttura antropologica della Scuola: genitori, insegnanti e allievi insieme.
L’ unica cosa che mi viene alla mente dopo aver vissuto tutta la vicenda, è un antico detto anglosassone molto citato durante le lezioni di lingua inglese. “When everything is so big, everything is so small”. “Quando tutto è tanto grande, tutto è tanto piccolo”. Me lo sono ricordato dai tempi in cui lo citavo colleghi, studenti e genitori che si compiacevano del proliferare dei centodieci, completi di lode. Il cui progredire geometrico ha costituito una delle molte cause del declino del nostro sistema di istruzione universitaria.
Di fronte ai quadri della maturità che raccontavano dei 100 punti di ordinanza attribuiti ad intere mezze classi, ho riprovato la medesima, sensazione di insofferenza verso l’ esibizione di retorica e di apparenza, espressa nell’ antico detto inglese. Con l’aggiunta di una grande frustrazione. Perché non è possibile che persone adulte, pur prese dall’ amore dei loro figli, rifiutino di rendersi conto della incredibilità di una sfida trasformata in mero rituale, che non solo accontenta tutti, ma tutti livella alla stessa dimensione di una preordinata ‘eccellenza’. Ed ho provato soprattutto una enorme rabbia per il sacrificio delle capacità di questi ragazzi che, a forza di ricevere tutto, vedono seppellita la gioia del conquistare qualcosa. Di avere fatta qualcosa ‘loro’. Non i loro genitori, i lori maestri, la loro Scuola che, tutti quanti appassionatamente, hanno nel tempo sacrificato la crescita dei loro giovani all’ esigenza di sentirsi promossi ‘loro’, approvandosi l’ uno con l’altro.

E così non ci avvediamo che in questo finto abbraccio di autoproclamata eccellenza, i sacrificati sono i nostri ragazzi; di cui non sappiamo se hanno competenza, se hanno conoscenza e se hanno maturato la loro personalità. Sappiamo solo che hanno sostenuto una prova che sapevano di aver già superato prima ancora di farla. E siamo contenti che l’abbiano superata ‘brillantemente’. Senza avvederci che nel trasformare le loro medaglie di bronzo, d’ argento e di rame, TUTTE in medaglie d’ oro, le abbiamo in verità trasformate - come proclama il detto inglese - tutte in medaglie di latta. In un abbraccio che non è universale; perché penalizza soprattutto le effettive intelligenze, che vedono anni di studio e passione bruciati nella delusione e nel pessimismo. Ma penalizza, soprattutto, tutti gli altri. Che potrebbero anch’ essi emergere, ma vengono invece condotti ad imparare quello che nessuna scuola dovrebbe insegnare. Che la preparazione, la competenza e l’impegno non si misurano sul piano della formazione di conoscenze e cultura. Si misurano con la simpatia, la presenza, la capacitò di apparire e la propaganda di sè.
Nel farvi i migliori auguri di riuscire nel vostro intento, Non sono perciò in grado di gioire. Oggi in questo paese tempo per produrre risultati non ce n’ è più. Arriveranno sempre prima quelli che ‘comunicano’ verità che non ci sono (ve lo ricordate ‘ce la faremo ?). Intendo sottrarre mio figlio a questo spreco. Andrà a studiare all’ estero, in una Università dove nessuno lo conosce, dove non ci sono ‘amici’, dove deve parlare un’altra lingua e confrontarsi finalmente con un’altra cultura.
Dovrò sacrificare, insieme alla mia liquidazione, anche l’ amore che ho per lui e il desiderio di tenerlo vicino, Ma, alla fine, per lo meno potrò sapere quello che vale. E potrà saperlo anche lui.

VV ha detto...

Davvero una grande lezione di vita, innanzitutto per suo figlio e per i molti adolescenti che si occupano in un modo o nell'altro di SQUOLA

paniscus ha detto...

questa mi mancava: la "dispersione scolastica implicita".

https://www.tecnicadellascuola.it/test-invalsi-e-calo-competenze-alunni-ajello-lerrore-e-svalutare-la-scuola-e-fermarsi-allinfarinatura

Cioè, quelli che non finiscono davvero in dispersione scolastica, arrivano a fine ciclo e si diplomano, ma si diplomano non sapendo assolutamente nulla.

E come si spiega che si diplomino senza sapere (e senza saper fare) nulla?

Si spiega col fatto che li abbiano sempre promossi lo stesso, anche se non sapevano nulla... in nome dell'inclusione, della personalizzazione, dell'insegnante che deve stracciarsi le vesti perché se dà insufficienze la colpa è sua, delle valanghe di bes e di certificazioni pro-forma, e dei voti di consiglio a maggioranza.

La DAD c'entra abbastanza poco, ha semplicemente fatto esplodere un' evidenza che covava già da anni...