Se abbiamo bisogno di un medico, lo vogliamo competente
e magari affabile. Se dobbiamo essere ricoverati, preferiamo un ospedale noto
per la preparazione degli specialisti e l’elevata qualità dell’assistenza. Ci
serve una badante? Ne cerchiamo una con ottime referenze. Abbiamo a che fare
con la pubblica amministrazione? Ci fa piacere imbatterci in personale cortese
ed efficiente. Quando poi si tratta di iscrivere un figlio a scuola, tutti ci
auguriamo che abbia i migliori insegnanti. Insomma, sono infinite le situazioni
in cui cerchiamo il merito.
Ma come fa una società a “produrre” persone
capaci e affidabili nel loro lavoro, a qualsiasi livello? Intanto bisogna che
il merito venga riconosciuto, che non si proteggano i disonesti, non si
chiudano due occhi sugli incapaci, che si selezionino i migliori, qualunque
cosa significhi nelle diverse occupazioni e specializzazioni. Ma, soprattutto,
ci vogliono famiglie che sappiano educare e una scuola che prepari al meglio i
futuri cittadini.
Su cosa sia il merito, però, e su come si
promuova non c’è accordo. E quando se ne parla a proposito di scuola, come oggi
succede per via dell’aggiunta del termine al Ministero dell’Istruzione, una
parte dell’opinione pubblica reagisce come se si discutesse di un metodo di
selezione darwiniana. “Dobbiamo
svelare l'inganno delle parole: la scuola del merito è la scuola che smette di
investire su chi è in difficoltà". “Temo che qui si intenda il merito
conquistato attraverso la sopraffazione degli altri, la competizione sfrenata,
i privilegi della nascita, la fedeltà a un’ideologia e all’obbedienza".
" Lo vogliamo capire che la scuola non è un posto dove si vanno a
selezionare i migliori, che pensarla così è il modo più antidemocratico che
esista?” "Trovo sia sbagliato introdurre la parola merito: rischia di
essere uno schiaffo in faccia per chi può avere tanti meriti ma parte da una
situazione di diseguaglianza". "Questa parola merito accanto al
ministero dell'istruzione è allarmante e preoccupante”.
Sul
merito si è smesso di riflettere, da quando, molti decenni fa, ci si rese conto
di quanto spesso i ceti sociali più svantaggiati avessero scarse possibilità di
accedere alle superiori e all’università, benché nel secondo dopoguerra la
scuola avesse cominciato gradatamente a funzionare come ascensore sociale. Da
allora le cose sono molto cambiate: in meglio, perché i progressi del tenore di
vita hanno permesso a strati sempre più vasti della popolazione di raggiungere
i gradi più alti dell’istruzione; in peggio, perché la scuola è stata indotta a
essere indulgente invece di adoperarsi per renderla più efficace. E tuttavia
non è difficile chiarirsi le idee. Il talento innato da solo non è ovviamente
un merito; e il merito non è soltanto l’eccellenza (anche se delle eccellenze
la società ha comunque bisogno). Lo ricordava l’economista Giacomo Vaciago: il
merito “è l’impegno profuso a far crescere la dote iniziale, qualunque
essa sia”. Molti studi confermano quello che in realtà sappiamo tutti: la
tenacia e la determinazione che si mettono nello studio, nell’allenamento e nel
lavoro sono fondamentali per rafforzare le predisposizioni di cui ciascuno è
dotato. Il segreto quindi non è nelle attitudini innate: quanti non le
sfruttano perché rifiutano la fatica? Il segreto sta nell’impegno con cui si
persegue uno scopo. Facciamolo comprendere ai bambini e ai ragazzi sottolineando
tutte le piccole e grandi conquiste frutto di diligenza e lavoro assiduo, in
modo da ridare, come un tempo si diceva “onore al merito”.
Giorgio Ragazzini
1 commento:
Credo che la questione del merito vada approfondita un po' di più. Sono molti i testi che mettono in guardia sul merito e la meritocrazia, parola in origine creata per indicare una distopia. Potrei citare ad esempio il libro di Boarelli, nel quale si trovano spunti e bibliografia. Ma anche Contro i numeri di Muller è un testo illuminante sulla metrologia, senza la quale nessuna meritocrazia può esistere. La verità è che purtroppo la meritocrazia si è evoluta come un sistema di giustificazione a posteriori del successo dei pochi e dell' insuccesso dei molti. I programmi di premio dell' eccellenza all' università ci stanno creando problemi, inducono disaffezione e abbandono, investono si chi non ne avrebbe bisogno. La meritocrazia purtroppo non è socialmente giusta né trasformativa, come trent'anni di scuola ci mostrano. E allora perché usare un termine così odioso e pericoloso in associazione con la meravigliosa educazione? Io sono tra quelli molto ma molto preoccupati, naturalmente non per me ma per i miei figli e ragazze e ragazzi che a noi si affidano per il futuro. Farò quello che posso per allontanare lo spettro del merito almeno dall' università, dove insegno, e per restituire a ragazze e ragazzi una educazione ved una pedagogia che abbiano al centro loro e non ciò che una certa società vorrebbe da loro.
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