Leggere le nuove linee
guida ministeriali per l’orientamento mi ha fatto subito venire in mente DI
BENE IN PEGGIO. Istruzioni per un successo catastrofico, un ironico
libretto in cui Paul Watzlawick prende di mira le “ipersoluzioni”, cioè
“un modo di affrontare i problemi che, pur fondato sulle migliori intenzioni,
finisce sempre con l’avere effetti controproducenti”. Le ipersoluzioni non sono
certo una novità per un ministero che ha storicamente dimostrato una stabile
affezione per questo tipo di provvedimenti. Alla base ci sono in genere due fallaci
presupposizioni: il primo è “maggiore quantità = migliore qualità”; il secondo:
la novità deve innervare di sé l’intera scuola, diventare la sua chiave di
volta, il suo modo di essere – in questo caso, “orientativo”. Ecco perché, al
prezzo di forzarne parecchio il significato, vi si dice che “l’orientamento
inizia sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia,
all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e
delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel
processo di apprendimento.” Chi leggendo queste righe pensasse che si
tratta di cose che già in gran parte si fanno senza pensare all’orientamento
avrebbe perfettamente ragione. Con la riserva che raramente talenti e
attitudini si manifestano nei primissimi anni di scolarizzazione.
Il lato quantitativo
della faccenda irrompe nella scuola all’inizio della media: 30 ore di
orientamento in ognuno dei tre anni. Stesso numero nei primi due delle
superiori (ore curricolari e/o extracurricolari: ma è difficile rosicchiare più
di tanto ai programmati pomeriggi di molti allievi); e “almeno 30 ore”
(queste invece “curricolari”) negli ultimi tre anni delle superiori. Non manca
la precisazione (si fa per dire) che non si tratta di una materia aggiuntiva,
ma di “uno strumento
essenziale per aiutare gli studenti a fare sintesi unitaria, riflessiva e
inter/transdisciplinare della loro esperienza scolastica e formativa, in vista
della costruzione in itinere del proprio personale progetto di vita
culturale e professionale”.
Chiaro, no? Da notare che lo stesso sistema della materia-non materia
“trasversale” è già in opera con l’educazione civica, fra notevoli resistenze
da parte dei docenti e con esiti ignoti ai più, dato che la rendicontazione non
è il forte delle istituzioni italiane.
A questo si aggiunge la nomina, fra i docenti
di ogni classe, di un tutor ad hoc, quasi certamente dotato di scarsa
qualificazione, che si dovrà sobbarcare “un dialogo costante con lo studente,
la sua famiglia e i colleghi”, in particolare quando si tratterà di scegliere
la scuola superiore
o, dopo il diploma “di maturità”, di orientarsi verso un lavoro o ulteriori
studi.
Riemerge infine da un
passato inglorioso il “portfolio”, che sparì alla chetichella nell’era Moratti
perché ritenuto un inutile sovrappiù a furor di popolo docente; stavolta, però,
in versione digitale.
Questa, a grandi linee,
l’ingombrante ipersoluzione escogitata per l’orientamento, con i sovraccarichi
professionali facilmente immaginabili e il relativo stress. Probabilmente c’è anche
l’intento di forzare la mano ai docenti sulla cosiddetta “personalizzazione”,
la classica cosa facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Per quanto
riguarda la scuola media, una materia come educazione tecnologica avrebbe tutte
le potenzialità per individuare le attitudini che portano a studi
tecnico-professionali, purché basata essenzialmente su attività di laboratorio.
Purtroppo viene in genere svolta come una disciplina prevalentemente teorica.
Comunque, usando buon senso e senso del limite, sarebbe
senz’altro sufficiente concentrare le attività orientative in seconda e terza
media e poi negli ultimi due anni delle superiori; utilizzando, in un più
ragionevole numero di ore, il contributo diretto e la consulenza di esperti
esterni, oltre alle esperienze utili che gli insegnanti stessi possono
condividere con i colleghi. L’efficacia dell’orientamento, insomma, e non solo
di quello, dipende molto più dalla sua qualità che non da una complessa
organizzazione e da un massiccio impiego di ore.
Giorgio Ragazzini
("ilSussidiario.net", 2 febbraio 2023)
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