di Giorgio Ragazzini
Naturalmente, il “come” si realizza la
presenza attiva nella scuola dei genitori e, per le superiori, degli studenti, non
è secondario. A giudicare dalla crescente difficoltà – segnalata da molte
scuole dopo il periodo di iniziale entusiasmo – di trovare candidati per le
elezioni degli organi collegiali, c’è più di qualcosa che non funziona (ne ha
parlato di recente il preside Artini su questo giornale). Alla fine approdano
spesso nel Consiglio persone poco motivate, che si sono prestate per spirito di
servizio e, in genere, non possiedono che limitate conoscenze e attitudini per
dare un contributo significativo. Spesso la partecipazione di una parte degli
eletti è saltuaria e non sempre si raggiunge il numero legale.
Prima ancora di
ripensare gli organi collegiali, a me pare che sia prioritaria l’esigenza
segnalata già nel 2009 da Giuseppe De Rita, in un articolo intitolato “Nella
scuola può tornare l’orgoglio”, in cui sostiene che «quando si deve governare il sistema scolastico,
occorrono responsabilità organizzative ben disegnate e personale ben motivato.
Per anni invece ci siamo divisi su ipotesi di riforma o su faticosi compromessi
corporativi, evitando la banale verità che senza rinnovamento organizzativo
nessuna riforma, anzi nessuna politica, è possibile.» E da anni, in
effetti, da molte parti si indica la necessità di affiancare ai dirigenti
scolastici, in genere sovrastati da una grande mole di compiti e di
responsabilità, una squadra di docenti con accertate competenze gestionali e
progettuali, in sostituzione di un volontariato spesso generoso, ma poco preparato
allo scopo. Figure che sarebbe appropriato inserire come membri di diritto del Consiglio
di Istituto. In ogni caso, non si vede perché gli insegnanti non siano
incoraggiati a farne parte da una retribuzione, come per qualsiasi altra
attività aggiuntiva.
Venendo a come attuare al meglio la partecipazione di genitori e
studenti, condivido la tesi, ribadita più volte, del docente di Diritto
Amministrativo professor Carlo Marzuoli, per cui da un lato è necessario
superare la cogestione/confusione con i genitori e gli studenti, riservando il
Consiglio d’Istituto a chi è stato vagliato sul piano tecnico professionale da
esami e consorsi, cioè i docenti e il dirigente.
Detto questo, non si tratta affatto di togliere a genitori e ragazzi la
possibilità di contribuire alla vita della scuola. “Partecipare” vuol dire
prima di tutto avere la possibilità di far valere i propri interessi e diritti
di utenti, di ottenere resoconti, insomma di rendere l’amministrazione più
trasparente e controllata; e anche di avanzare richieste, di fare proposte, magari
con la possibilità di essere ascoltati dal Consiglio di Istituto per illustrarle.
Per questo andrebbero creato organismi ad hoc, distinti fra quelli degli
studenti e quelli delle famiglie. Il terreno su cui sviluppare l’iniziativa o
la collaborazione delle famiglie, attraverso la creazione di questi nuovi
organismi è ampio e deve essere valorizzato. Si pensi a tante “educazioni” che
si vorrebbero far entrare in classe e che in realtà sarebbero molto utili ai soprattutto
genitori, che potrebbero organizzare (o collaborare all’organizzazione) di
incontri su temi come l’educazione alimentare, il sempre più serio problema
della dipendenza da smartphone, il bullismo e molte altre.
Quanto ai ragazzi, credo che la scuola potrebbe avere un ruolo più attivo
come luogo di formazione civile e in senso lato “politica”, guidando gli
studenti ad approfondire e a valutare con spirito critico i problemi sociali.
Lo fa già attraverso lo studio delle materie scolastiche (non si sa quanto con
l’educazione civica, visto il suo problematico statuto “trasversale”), ma può
farlo anche, nelle superiori, incoraggiando e sostenendo la capacità di
auto-organizzazione degli allievi. Nella scuola che in molti auspicano sempre
aperta, un’associazione studentesca democraticamente eletta potrebbe imparare a
progettare e realizzare ogni tanto incontri e attività pomeridiane per
soddisfare interessi comuni. E sarebbe anche un modo di riconsegnare alla
maggioranza di loro la titolarità di un’autoespressione seria ed efficace,
utile a prevenire le occupazioni gestite da minoranze superficialmente ideologizzate
e non rispettose dei diritti di tutti.
Ho avuto come studente una positiva
esperienza in proposito, quando chiedemmo e ottenemmo di creare un “Circolo
culturale” nel nostro liceo, che organizzò conferenze, incontri di orientamento
per la scelta della facoltà universitaria, attività sportive, nonché un
concerto di fine anno negli spazi della scuola (in cui suonarono gli allora
celebri “Camaleonti”).
("ilSussidiario.net", 8 aprile 2024)
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