lunedì 23 settembre 2019

I “VENERDÌ PER IL FUTURO” SONO UNA BELLA COSA. MA PERCHÉ FERMARE LA SCUOLA?


Venerdì scorso la faccetta di Greta Thunberg sprizzava soddisfazione. Centinaia di migliaia di ragazzi di tutto il mondo stanno forse spingendo davvero i governi a un impegno maggiore per ridurre le emissioni di gas serra. È un movimento che può anche servire a rincuorare una generazione che le vicende economiche hanno indebolito in molti casi il naturale slancio verso il proprio futuro. Questo non ci esime, però, come facemmo  la scorsa primavera per la prima ondata di manifestazioni, dal sottolineare di nuovo che c’è un serio problema se l’impegno politico-sociale svaluta di fatto la frequenza scolastica, già erosa da molteplici interferenze, oltre che dalla possibilità di stare assenti senza conseguenze cinquanta giorni l’anno. La domanda è: c’è davvero qualche serio impedimento nel collocare le manifestazioni al di fuori dell’orario scolastico? Se disertare le lezioni poteva essere comprensibile in una fase di contestazione globale quale quella del ‘68, nel tempo è cresciuta (anche se sottaciuta) un’ovvia motivazione opportunistica: se ci mobilitiamo di mattina, viene anche chi di pomeriggio non lo farebbe. 
Di fronte a questa malsana tradizione, sarebbe ovvio un forte richiamo dei ministri di turno alla necessità di una assidua presenza a scuola, a valorizzare ogni singola ora di lezione. E al fatto che una cosa è un’ eccezione, un’altra le ripetute assenze dalle lezioni.
Alla vigilia  del primo “Venerdì per il futuro”, quello del 15 marzo di quest’anno, il ministro Bussetti si limitò a dire: “Si andrà a scuola regolarmente”. Un richiamo flebile e burocratico al valore della frequenza, ma ci fu. In vista del “Friday for Future” di ieri, invece, il suo successore lo ha definito “la lezione più importante che possano frequentare”. La scuola e gli insegnanti ne escono ovviamente svalutati. Il Ministro dell’Istruzione avrebbe fatto meglio a dire agli studenti che la scuola è il luogo dove le tematiche ambientali possono essere adeguatamente approfondite e non solo orecchiate dai media. Peraltro Fioramonti non è certo il primo che da viale Trastevere ha contribuito a indebolire l’autorevolezza dell’istruzione pubblica: basti ricordare Maria Chiara Carrozza, che incitò gli studenti a ribellarsi “ai genitori, ai prof, alla scuola”; gli elogi delle occupazioni e delle autogestioni di Davide Faraone; e – da un altro pulpito – quelli di Matteo Salvini.
Alla scuola, insomma, si dà importanza a parole, non nei fatti. Quante dichiarazioni programmatiche abbiamo sentito incentrate sul tempo scuola come migliore antidoto alla dispersione scolastica?  
Forse una maggiore consapevolezza di quanto pagano per la scuola i contribuenti potrebbe farci fare un passo avanti. L’Associazione Nazionale Presidi  tempo fa calcolò  quanto costano le occupazioni studentesche.  ”Uno studente – spiegava l’Anp – costa allo Stato circa 8mila euro l’anno.  Una classe di 25 studenti ne costa mille al giorno. Il ‘fermo’ di una scuola di 30 classi ne costa 30mila, sempre al giorno. In due giorni  di sospensione delle lezioni – evidenzia – una scuola di medie dimensioni ha ‘bruciato’ l’equivalente di quanto riceve in un anno di finanziamenti”.  Dunque, se anche solo 1000 scuole superiori su circa 12.000  si fermano per una giornata, se ne vanno in fumo 30 milioni di euro. Pensiamoci.
Giorgio Ragazzini
"ilSussidiario.net", 23 settembre 2019

4 commenti:

Prof. Massimo Rossi ha detto...

Ragazzini ha ragione da vendere; ma chi vogliamo che ci pensi, se i vari ministri che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno fatto altro che blandire gli studenti, facilitarli in ogni maniera (compresa l'ultima vergognosa modifica del colloquio dell'esame di Stato), cercare il consenso addirittura con l'esaltazione delle occupazioni come fece Faraone? Questo governo di adesso, frutto di un ignobile inciucio, non poteva certo farci aspettare qualcosa di diverso da un ministro incompetente e incapace, degno rappresentante del partito da cui proviene.

Busiride ha detto...

Non dimentichiamoci che la Svezia, il paese di Greta Tunberg, è in Europa quello che conta il maggior tasso di immigrati musulmani. Un pensiero sorge spontaneo: non è che questo degli scioperi al venerdì sia un espediente per insinuare pian piano l'idea che il venerdì sia una giornata in cui non è obbligatorio studiare o lavorare, in modo che quando i musulmani, divenuti una minoranza consistente, reclameranno il venerdì festivo, la cosa sia già realizzata nei fatti e quindi la sua ufficializzazione divenga meno traumatica? Qualcosa di simile si è già verificato: il tentativo delle compagnie telefoniche di imporre la fatturazione ogni 28 giorni anziché ogni mese non aveva forse lo scopo di abituare pian piano all'idea del calendario lunare, in modo che quando i musulmani ne chiederanno l'adozione ufficiale la cosa sia già realizzata nei fatti?

paniscus ha detto...

" Un pensiero sorge spontaneo: non è che questo degli scioperi al venerdì sia un espediente per insinuare pian piano l'idea che il venerdì sia una giornata in cui non è obbligatorio studiare o lavorare, in modo che quando i musulmani, divenuti una minoranza consistente, reclameranno il venerdì festivo, la cosa sia già realizzata nei fatti e quindi la sua ufficializzazione divenga meno traumatica? Qualcosa di simile si è già verificato: il tentativo delle compagnie telefoniche di imporre la fatturazione ogni 28 giorni anziché ogni mese non aveva forse lo scopo di abituare pian piano all'idea del calendario lunare, in modo che quando i musulmani ne chiederanno l'adozione ufficiale la cosa sia già realizzata nei fatti?"
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Un delirio complottistico come questo non lo vedevo da un bel pezzo.

Tanto più, considerando che il ciclo delle fasi lunari è di circa 29 giorni e mezzo e non di 28.

Busiride ha detto...

Ah, sì, un delirio? Ebbene, non prima di stamattina, andando a scuola, ho visto un furgone di una ditta di lavori edili che sulla fiancata aveva tutta la dicitura della ditta stessa, compresa di indirizzo, recapito telefonico ecc., tutta scritta come se fosse vista allo specchio (come l'avesse scritta Leonardo, per intenderci). Che senso ha una cosa simile? Voleva essere un "vezzo" artistico? Ma allora poteva essere scritta in obliquo, in verticale, con andamento ondulato… invece no: speculare. Si legge più facilmente rispetto alla scrittura destrorsa consueta? Certo che no. E allora quale spiegazione mai avanzare, se non che si vuole pian piano abituarci all'idea della scrittura sinistrorsa, propria della lingua araba? Stante l'irrazionalità del tutto, è l'unica spiegazione "razionale" che posso trovare.