I destini diversi dei fratelli Lovari: il primo
nascose due ebrei, Angiolo dovette fuggire in Francia
Che
i fratelli Orazio e Angiolo Lovari fossero socialisti era noto allora in tutta
la zona di Poppi. Angiolino, il minore, coltivava una vigna e andava a opra:
abitava a Lierna, un piccolo paese che si dice essere stato assai generoso di
fascisti. Orazio invece era contadino nel grande podere di Pruneto poco
distante da Lierna: uno dei tanti poderi della fattoria di Bucena, gestita
allora da una famiglia di Bibbiena.
Orazio
poteva permettersi un podere importante perché, oltre ad essere un gran
lavoratore, aveva tre figli e due figlie a garantire al padrone che i campi
avrebbero avuto, in un futuro vicino, altre buone braccia a disposizione.
L’ultima figlia, sebbene fosse la quarta, si chiamava Settimia: Orazio la volle
chiamare così in quanto nata poche ore dopo che i fascisti di Lierna e di
Poppi, durante la notte tra il 1 e 2 giugno del ‘23 avevano ucciso,
massacrandolo di bastonate e finendolo con un colpo di pistola davanti ai figli
e alla moglie, un suo amico, Settimio Moneti, un contadino socialista e
«colpevole» inoltre del fatto che i suoi due fratelli il giorno precedente si
erano ben difesi dall’assalto di una banda di camicie nere a Lierna durante la
festa del Corpus Domini.
Orazio
e Angiolino saranno invece assaliti a Poppi da un gruppo di fascisti locali
durante la festa di Santorello, anche allora la più grande di tutto il
Casentino, del 4 maggio 1924. Ma grazie alla loro corporatura riuscirono a
darle piuttosto che a prenderle. Sapevano tuttavia che non sarebbe finita con
quello scontro e che nelle notti seguenti sarebbe potuto accadere qualcosa di
molto più grave.
Perciò
Orazio fin da quella sera pensò di passare, come altre volte, le notti su una
grande quercia vicina a casa e con il fucile a portata di mano.
Angiolo,
invece, forse sentendosi protetto dal vivere dentro un borgo fitto di case,
rimase dentro la sua che, la notte stessa, fu invasa da una squadraccia che lo
riempì di legnate e di olio di ricino. Aspettarono infine che quest’ultimo
facesse effetto per obbligarlo con forza poi a svuotare dentro il paiolo
l’anima e il corpo davanti a sua moglie e ai suoi due bambini. Vale la pena di
ricordare, anche per capire la profondità dell’umiliazione, che a quei tempi il
paiolo nella tradizione rurale aveva una sua sacralità; era il simbolo stesso,
insieme al camino, dell’identità e dell’autorità famigliare. Angiolo, dopo
pochi giorni lascerà Lierna per andare in Francia, dichiarando che in Italia
non avrebbe mai più messo piede, neanche da morto, e che appena trovata una
sistemazione avrebbe scritto alla famiglia perché lo raggiungesse. Che infatti,
non appena assunto in miniera, lo raggiunse; e lui, come promesso, non posò mai
più il suo piede sul suolo italiano.
Orazio,
dopo la definitiva presa del potere da parte del fascismo, smise naturalmente
di fare politica attiva. Continuò a coltivare la terra in Pruneto educando le
figlie e i figli all’onestà e a dare sempre un aiuto a chi ne avesse bisogno e,
soprattutto, a chi fosse stato più sfortunato di loro. Ebbe il rispetto di tutti
e non piegò mai la testa di fronte alle ripetute provocazioni, negli anni, dei
fascisti del luogo. Si saprà solo alla fine della guerra che su richiesta del
padrone della fattoria, lui e la sua famiglia nell’inverno del ‘43-44 avevano
nascosto per mesi, due anziani ebrei fiorentini che avevano un figlio
partigiano sul Pratomagno, al quale Abramo, il figlio minore di Orazio, portò
molte volte i messaggi nascondendoli dentro le scarpe.
Fu
in una sera di primavera che la bottegaia di Avena, un paese poco distante,
andò trafelata ad avvertire il vecchio Lovari che i fascisti avevano scoperto
tutto e che sarebbero arrivati prima di giorno con i tedeschi a rastrellare
Pruneto e i boschi vicini. Lo aveva saputo origliando alla porta del
retrobottega dove si riunivano di solito i tedeschi e i fascisti locali. Con un
trasferimento notturno fatto di paura e di immensa fatica, gli anziani ebrei,
con i loro bagagli, furono nascosti presso certi Chiarini alle Capannacce: una
colonica e un essiccatoio nel profondo della foresta camaldolese. Per fortuna
né durante la notte né al mattino i fascisti e i tedeschi si fecero vivi; e non
si sarebbero visti neppure nelle settimane successive, probabilmente perché
impegnati in altri rastrellamenti e in stragi, compresa in quei giorni quella
terribile di Vallucciole, dove sarà sterminata anche gran parte della famiglia
Trapani: quella della sorella di mio padre, Virginia, che in quel massacro
perse il marito, il cognato e due figli poco più che ragazzi.
Orazio
Lovari era invece il mio nonno materno. E ora che mi avvicino all’età in cui
morì, sempre più spesso mi capita di riflettere sulla qualità di una buona
parte del genere umano che sembra crescere come se tutto gli fosse dovuto.
Anche per questo ho trovato giusto che Orazio, suo fratello Angiolino, le loro
religiosissime donne e le loro famiglie non continuassero a sopravvivere
soltanto nella mia memoria e in quella degli altri parenti rimasti. Sapere che
vissero persone del genere malgrado tutto può aiutarci, come è stato per me, a
non disperare degli uomini e a sentirsi senz’altro meno soli.
Valerio Vagnoli
“Corriere
Fiorentino”, 26 gennaio 2020
4 commenti:
Anch'io ho avuto antenati di quel tipo.
E il mio bisnonno si chiamava Abramo :)
Questo suo articolo ha il valore e l'incisività di un saggio di Storia Contemporanea.
Grazie prof. Vagnoli per tutto quello che mi ha affettuosamente insegnato, e di cui faccio tesoro ancora oggi, nel rapporto con i nostri " deliziosi" delinquenti!
Gentilissima professoressa Fanfani,
innanzitutto grazie per le sue bellissime parole e grazie ancora di più per il lavoro che ci ha entrambi coinvolti per anni tra i " deliziosi" delinquenti ai quali ha sempre trasmesso una passione esemplare fatta di pazienza e competenza che rimarranno in loro per sempre vive e concrete.
Un abbraccio sincero e buon paziente lavoro
Valerio Vagnoli
Sono Peter di Milano... Alcuni dicono che l'incantesimo d'amore non funziona, ma ho visto che l'incantesimo d'amore funziona tutto a causa del dottor ADELEKE il miglior lanciatore che ha lanciato un incantesimo per me e ha riportato mio marito a me e ora stiamo vivendo come una famiglia tutto grazie al dottor ADELEKE. È possibile contattarlo su WhatsApp: +27740386124 o inviarlo via e-mail: ( aoba5019@gmail.com )
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