È mortificante che esponenti della
classe dirigente, in momenti cruciali e drammatici per la vita del Paese,
anziché preoccuparsi di farvi fronte con realismo si lascino tentare dalla
retorica, forse pensando di raccogliere facili consensi (quando non si tratta
di nascondere omissioni e incapacità).
E la retorica non è mancata in
questi mesi anche a proposito di scuola. Per esempio con l’esaltazione fuor di
misura della didattica a distanza, uno strumento adatto quasi esclusivamente a
far fronte alle emergenze, che invece secondo alcuni spalancherebbe praterie di
entusiasmante rinnovamento. È poi di questi giorni la «battaglia» del sindaco
Nardella per consentire ai bambini e ai ragazzi di festeggiare la fine
dell’anno scolastico nelle loro aule, a compensare almeno in parte, il fatto,
guarda un po’, di «essere stati messi all’ultimo posto dell’agenda politica»
durante il confinamento a casa (e un invito analogo è arrivato da Luigi di
Maio). Chi non crede alla sacralità dell’ultimo giorno dell’anno scolastico ha
giustamente fatto notare che se le scuole sono idonee a far incontrare intere
classi terminali con i loro docenti tanto valeva averle già utilizzate o
utilizzarle fin da ora per fare lezione. Il sindaco si è rapidamente convinto
che in alternativa, parziale o totale, gli incontri si potranno svolgere
eventualmente negli spazi all’aperto e, chissà con quanto rispetto della
solennità dell’evento (e delle distanze), perfino nei giardini pubblici.
L’importante è farlo.
A chi scrive sarebbe apparso più
giusto che tanta foga e determinazione fossero stati spesi per dirci cosa si
sta facendo per premunirsi rispetto a quanto potrebbe accadere a settembre con
l’apertura del nuovo anno scolastico. E l’importanza delle decisioni in
proposito non permette assolutamente di perdersi in questioni del tutto
secondarie. È certo che, tra tanto altro, ci sia necessità di trovare per tutte
le scuole numerosi nuovi spazi. Che peraltro la Città metropolitana, presieduta
dallo stesso Nardella, si è da anni quasi del tutto dimenticata di costruire,
malgrado le pressanti richieste delle scuole stesse. Un esempio è un nuovo
edificio per ampliare l’istituto alberghiero «Saffi», che doveva, secondo i
progetti, essere già stato ultimato tre anni fa e che invece non è stato
neanche avviato.
Nel quadro dei gravi problemi della
nostra scuola, arriva la notizia di un emendamento presentato dal Pd e
approvato dalla Commissione scuola del Senato, grazie al quale si aboliscono i
voti nella scuola elementare, che verranno sostituiti da giudizi. La senatrice
Vanna Iori ha così potuto dichiarare che «l’emendamento prevede che nella
scuola primaria i bambini non possano essere considerati dei numeri».
Osservazione un tantino offensiva per le maestre; e comunque priva di logica,
dato che i voti non si riferiscono agli alunni, ma alla loro preparazione.
Premesso che già ora ai voti viene affiancato un giudizio, anche questo
provvedimento è frutto di una retorica molto diffusa, quella per cui il bambino
va protetto dai «traumi»; e può essere trauma ogni sia pur piccola
frustrazione, ogni incontro con la realtà delle cose. Anche il voto,
all’interno di una positiva relazione con l’insegnante, viene in genere
accettato senza problemi. La «rivoluzione» che i senatori hanno approvato è
quindi inutile nel migliore dei casi, più probabilmente dannosa rispetto alla
chiarezza della comunicazione. E poco ha a che fare con i cambiamenti, non
tutti popolari, di cui la scuola ha urgente bisogno e di cui sono in pochi a
parlare. Quasi per nulla gli addetti ai lavori, sindaci compresi.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”,
29 maggio 2020)
1 commento:
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